Società unipersonale priva di autonomo centro di interessi, non si applica il Dlgs 231/2001
Affinché possa configurarsi un'ipotesi di responsabilità a carico dell'ente è necessario che le evidenze probatorie dimostrino l'alterità tra l'interesse della persona fisica e l'interesse collettivo dell'ente stesso, oltre alla sussistenza di un centro di imputazione della scelta criminosa del tutto autonomo e indipendente rispetto a quello del singolo individuo
La sentenza in esame offre interessanti spunti di riflessione sull'ambito di applicazione della normativa dettata dal D.Lgs. 231/2001 e, in particolare, sull'applicazione di tale disciplina nei confronti di enti giuridici privi di un autonomo centro di interessi e rapporti giuridici rispetto ai soggetti apicali.
Questa, in estrema sintesi, la vicenda: ai due odierni imputati - entrambi quali Amministratori di una Società a responsabilità limitata operante nel settore della costruzione e del noleggio di macchine per il sollevamento - veniva contestata la violazione dell'art. 640 comma 2 c.p. per aver falsificato le ricevute di avvenuto pagamento dei bollettini relativi ai tributi per l'occupazione del suolo pubblico, procurandosi così un ingiusto profitto in danno dell'ente pubblico locale.
Al contempo, sempre nell'ambito del medesimo procedimento, alla Società veniva contestata la violazione dell'art. 24 D.Lgs. 231/2001 - ovviamente in relazione all'art. 640, comma 2 c.p. - per non aver adottato ed efficamente attuato, prima della commissione dei fatti qui contestati ai due amministratori, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di tali fatti, commessi nell'interesse e a vantaggio della Società stessa.
Ciò posto, come si può leggere nelle motivazioni, l'Ufficio per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano dichiara non luogo a procedere nei confronti dell'ente, il quale - nel frattempo - era stato posto in liquidazione ed era stato cancellato dal registro delle imprese (i due imputati persone fisiche invece avevano chiesto ed ottenuto l'ammissione alla messa alla prova).
Nel pervenire a tale conclusione, la pronuncia ripercorre brevemente l'attuale panorama giurisprudenziale dedicato all'applicazione della disciplina ex D.Lgs. 231/2001 nei confronti delle società sostanzialmente unipersonali che non presentano alcune reale distinzione tra persone fisica e persona giuridica.
In questo senso, un primo orientamento attribuisce rilevanza - e, di conseguenza, ammette l'applicabilità del D.Lgs. 231/2001 anche alle società unipersonali - sulla scorta del mero dato formale, il quale sancisce autonomia tra persona giuridica e persona fisica.
Altro orientamento, invece, non si limita al dato formale e - riconoscendo rilevanza ai profili fattuali sostanziali - ritiene che tale aspetto debba necessariamente accompagnarsi a una disamina - alla luce, ovviamente, delle evidenze probatorie emerse nel corso del procedimento - della concreta organizzazione che contraddistingue ogni realtà societaria.
Detto altrimenti, una struttura semplice non è idonea a fondare alcuna separazione sostanziale tra ente e persona fisica, a differenza dell'ipotesi in cui la struttura organizzativa aziendale abbia assunto una complessità tale da configurare la società come un soggetto terzo ed autonomo dalla persona fisica apicale.
Alla luce di quanto detto, la pronuncia accoglie questa seconda impostazione e statuisce che - nel caso che ci occupa - "chi scrive [...] davvero non riesce a scorgere un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici nella (omissis) che possa distinguersi dagli interessi della persona fisica" (p. 3).
Conclude poi: "L'ente giuridico, in relazione al reato presupposto fondante la responsabilità amministrativa della persona giuridica non era davvero necessario ed infungibile trattandosi di contegno pacificamente riferibile a persone fisiche che lo avrebbero potuto realizzare senza alcuno schermo societario. Viene a mancare, pertanto, la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche la quale immagina contegni penalmente devianti tenuti da persone fisiche nell'interesse di strutture organizzative di un certo livello di complessità quale centro di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato" (p. 3).
Tutto ciò detto, la pronuncia evidenzia quindi come la complessità dell'organizzazione societaria - in forza della quale l'ente diviene sostanzialmente una struttura terza ed "infungibile" rispetto al vertice aziendale - possa costituire un elemento chiave in grado di fondare l'autonoma e distinta responsabilità dell'ente ex D.Lgs. 231/2001 rispetto alla tradizionale ipotesi di responsabilità penale della persona fisica apicale.
Tale soluzione, è evidente, accoglie le indicazioni fornite da tempo dalla migliore dottrina penalistica - la quale ha evidenziato come la ratio della normativa dettata dal D.Lgs. 231/2001 sia quello di configurare un'ipotesi di responsabilità il cui è destinatario è l'organizzazione pluripersonale portatrice di interessi terzi ed indipendenti rispetto a quelli del soggetto agente - e si pone in conformità con le indicazioni previste dalla Relazione di accompagnamento al decreto nel quale si leggeva chiaramente che l'ipotesi di responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 è stata dettata dalla presa d'atto che "le principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere […] da soggetti a struttura organizzata complessa quale autonomo centro d'interessi e di rapporti giuridici e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell'interesse dell'ente".
Affinché, pertanto, possa configurarsi un'ipotesi di responsabilità a carico dell'ente, è necessario che le evidenze probatorie dimostrino - al di là di ogni ragionevole dubbio - l'alterità tra l'interesse della persona fisica e l'interesse collettivo dell'ente stesso, oltre alla sussistenza di un centro di imputazione della scelta criminosa del tutto autonomo e indipendente rispetto a quello del singolo individuo.
Ragion per cui la soluzione qui adotta - nel porsi in piena conformità con la ratio su cui trova fondamento il D.Lgs. 231/2001 - non si arresta quindi al mero dato formale legato alla semplice esistenza di due soggetti apparentemente distinti anche nell'ipotesi di enti formalmente riferibili in toto alla persona fisica ma, piuttosto, sottolinea la necessità di approndire (del corso del procedimento penale) la concreta organizzazione societaria, al fine di prendere contezza dell'eventuale complessità così razionalizzare i reali rapporti tra ente e persona fisica apicale e - nel caso di enti privi di un autonomo centro di interesse rispetto al vertice aziendale - da scongiurare di conseguenza un'inammissibile duplicazione delle sanzioni a loro carico.