Comunitario e Internazionale

Stabilizzazione degli insegnanti di religione solo se la "precarietà" è discriminatoria

Il divieto di conversione di abusivi contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato è superabile solo se vi è discriminazione

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di Paola Rossi

Per l'Avvocato generale della Corte Ue, la stabilizzazione in Italia dei contratti degli insegnanti di religione è solo astrattamente possibile, e per circostanze eccezionali, visto il generale divieto nel pubblico impiego di conversione dei rapporti, oggetto di ripetuti contratti a termine, in rapporti a tempo indeterminato. Con le sue conclusioni sulla causa C-282/19, l'Avvocato generale chiarisce che stante la legittimità del divieto questo è superabile solo se non vi sono rimedi alternativi all'assunzione stabile. Ma il rimedio c'è in Italia dove è previsto l'indennizzo monetario. Un ristoro all'illegittima precarizzazione dovuta al ricorso abusivo di contratti a termine con cui, di fatto, la pubblica amministrazione sopperisce alle esigenze garantite dagli insegnanti di ruolo. L'eccezione, però, al funzionamento del divieto scatta se il giudice nazionale dovesse verificare che la sequela di contratti a tempo corrisponde a una finalità discriminatoria fondata su motivi religiosi o altri.
La vicenda parte nel 2015, quando alcuni insegnanti di religione cattolica di scuole pubbliche italiane, assunti con reiterati contratti a termine di durata complessiva superiore a 36 mesi, hanno proposto un ricorso davanti al Tribunale di Napoli chiedendo la trasformazione dei loro contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato ("stabilizzazione") contro il Ministero competente. In giudizio è intervenuto anche il sindacato firmatario del Ccnl Scuola (la Federazione Gilda-Unams).
L'Avvocato Ue nel valutare il rinvio pregiudiziale del giudice napoletano, suggerisce alla Corte di dichiarare che la reiterazione di contratti a tempo determinato per gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane non è giustificata da alcuna ragione obiettiva e che si tratta sicuramente di un abuso ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Però il divieto italiano di stabilizzazione nell'impiego pubblico non può essere "disapplicato" dal giudice nazionale in virtù dell'accordo quadro, perché questo fornisce delle indicazioni ai Legislatori nazionali, ma non accorda direttamente diritti ai singoli. E, soprattutto, non prevede un obbligo generale di stabilizzazione dei lavoratori pubblici. In conclusione, è sufficiente ai fini del rispetto delle norme Ue la prevista possibilità di ottenere un giudizio terzo su un'eventuale illegittima precarizzazione e un conseguente ristoro contro il comportamento abusivo della pubblica amministrazione. L'avvocato Ue mette però in luce un'eccezione al funzionamento del divieto nazionale e cioè che i lavoratori vittime dell'abuso, non si trovino in tale situazione precaria perché bersagli di discriminazioni, dirette o indirette, fondate sulla religione o su qualsiasi altro motivo menzionato nell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Infatti, la Carta e il principio di non discrimenazione in essa declinato - a differenza dell'accordo quadro - attribuiscono diritti soggettivi ai singoli che possono quindi invocarli direttamente in giudizio nei fori nazionali.

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