Comunitario e Internazionale

“Status di rifugiato” per le donne che si identificano nella “parità” con gli uomini

Lo ha stabilito la Corte Ue, sentenza nella causa C-646/21 depositata oggi, con riguardo alla domanda di due adolescenti irachene che dopo aver vissuto nei Paesi Bassi hanno dedotto il rischio di essere perseguitate in patria per lo stile di vita acquisito

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Le donne, anche minorenni, che condividono come caratteristica comune l’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso di un soggiorno in uno Stato membro, possono essere considerate, a seconda delle condizioni esistenti nel paese d’origine, come appartenenti a un «determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato. Lo ha stabilito la Corte Ue con la sentenza nella causa C-646/21 (Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid) .

Due adolescenti irachene che soggiornano ininterrottamente nei Paesi Bassi dal 2015, in seguito al rigetto delle loro domande di protezione internazionale iniziali, hanno presentato domande reiterate affermando di aver assimilato le norme, i valori e i comportamenti dei giovani della loro età nella società europea. In caso di ritorno in Iraq, ritengono di non essere in grado di conformarsi alle norme di una società che non concede alle donne e alle ragazze gli stessi diritti di cui dispongono gli uomini e temono di essere esposte a un rischio di persecuzione in ragione dell’identità che si sono forgiate nei Paesi Bassi.

Dopo che anche tali domande reiterate sono state respinte dalle autorità dei Paesi Bassi, le giovani donne hanno adito un giudice dei Paesi Bassi che ha deciso di interrogare la Corte di giustizia sull’interpretazione della direttiva 2011/95 sulla protezione internazionale, che definisce i requisiti per la concessione dello status di rifugiato di cui possono beneficiare i cittadini dei paesi terzi. Tale status, ricorda la Corte, è previsto in caso di persecuzione di ogni cittadino di un paese terzo per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

Nella sentenza odierna, la Corte ha dichiarato che le donne, di qualsiasi età, che si identificano nel valore della parità con gli uomini, a seguito di un soggiorno in uno Stato membro, possono essere considerate come facenti parte di un «determinato gruppo sociale» passibile di «persecuzione» e dunque idonee al riconoscimento dello status di rifugiato.

La decisione poi precisa che, se il richiedente protezione internazionale è un minore, le autorità nazionali devono necessariamente tenere conto del suo interesse superiore nell’ambito di un esame individuale relativo alla fondatezza della sua domanda di protezione internazionale.

Inoltre, per valutare una domanda di protezione internazionale fondata su un motivo di persecuzione quale «l’appartenenza a un determinato gruppo sociale», può essere preso in considerazione un soggiorno di lunga durata in uno Stato membro, soprattutto quando coincide con un periodo nel corso del quale il minore richiedente ha forgiato la propria identità.

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