Stipendi, i limiti al pignoramento si estendono al sequestro penale
Il pignoramento è limitato se sul conto corrente del debitore confluiscono lo stipendio, la pensione o indennità equiparate. Lo richiede l’esigenza di garantire al lavoratore dipendente o al pensionato il minimo vitale per sostentarsi in modo dignitoso. Per questa ragione il decreto legge 83/2015 ha modificato gli articoli 545 e 546 del Codice di procedura civile, che oggi fissano paletti alla possibilità che il creditore svuoti il conto del debitore per soddisfare le sue pretese.
La riforma non riguarda gli autonomi, gli imprenditori, i professionisti o i disoccupati le cui entrate, se versate in banca o in posta, perdono l’identità di crediti da lavoro o pensionistici e, in quanto beni fungibili, si confondono con gli altri risparmi divenendo integralmente pignorabili.
Stipendi e pensioni
Per stipendi e pensioni è prevista una tutela in primo luogo nel pignoramento di stipendi presso terzi (che avviene alla fonte): quanto dovuto al privato come credito di lavoro è pignorabile e compensabile nella misura di un quinto. Questo limite però non opera se i contrapposti crediti hanno origine da un unico rapporto lavorativo (Tribunale di Cremona 52/2019); mentre è impignorabile il rateo della pensione (Tribunale di Aosta 10/2018).
Lo stipendio, la pensione, il trattamento di fine rapporto, le indennità equivalenti dovute a causa di licenziamento o gli assegni di quiescienza si possono aggredire anche in caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, ma solo per l’importo eccedente 1.373,97 euro, ossia il triplo dell’assegno sociale che, per il 2019, è di 458 euro. Oltre questa soglia, scatterà il blocco ai prelievi.
Attenzione però: la regola riguarda solo i casi in cui i soldi finiscono sul conto prima del pignoramento. Lo sancisce l’articolo 546 del Codice di procedura civile, quando precisa che se l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, il pignoramento segue i limiti indicati dal terzo, quarto, quinto e settimo comma dell’articolo 545 o da speciali disposizioni di legge. L’intento è evidente: segnare la distinzione tra crediti e risparmi.
Se il pignoramento viene eseguito su somme maggiori rispetto a quelle stabilite dalle norme, sarà considerato parzialmente inefficace e l’inefficacia potrà essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. Mentre resterà valido il pignoramento effettuato entro la soglia.
L’ambito penale
La tutela dei diritti inviolabili della persona perché garantiti dalla Costituzione impone di estendere al versante penale del sequestro preventivo i limiti di impignorabilità previsti per il denaro accreditato sul conto corrente a titolo di stipendio, pensione e indennità (Cassazione, sentenze 13422/2019 e 17386/2019). Un’estensione possibile grazie al richiamo ai «limiti in cui la legge consente il pignoramento» operato dall’articolo 316, comma 1, del Codice di procedura penale, che disciplina il sequestro conservativo.
Di conseguenza, in caso di “congelamento” di somme finalizzato alla confisca per equivalente non potrà essere vincolato il triplo della pensione sociale che giace sul conto del destinatario della misura cautelare. Ciò purché sia certo che si tratti di emolumenti corrisposti in ambito lavorativo (Cassazione, sentenza 14606/2019).
I tempi
Peraltro la Consulta, con la sentenza 12 del 31 gennaio 2019, ha affermato l’illegittimità costituzionale della norma che non prevede l’applicazione delle disposizioni modificate dal decreto 83/2015 anche alle procedure esecutive pendenti al 27 giugno 2015, data di entrata in vigore delle modifiche. Così pronunciandosi, la Corte – nel bilanciamento tra valori protetti – ha cristallizzato il valore retroattivo della legge perché l’obiettivo di assicurare al debitore i mezzi minimi di sostentamento (come dispone l’articolo 38 della Costituzione) prevale sul diritto al credito.
Vedi le indicazioni dei giudici