Lavoro

Stock option ai dipendenti e capital gain: si applica il trattamento tributario quello vigente alla data di esercizio dei diritti

L' Ordinanza in commento ribadisce che, ai fini della tassazione del capital gain su stock option assegnate ai lavoratori dipendenti dal datore di lavoro, la disciplina applicabile è quella vigente alla data dell'esercizio del diritto di opzione e non quella della loro attribuzione, confermando con rigore che questo non costituisce, in alcun modo, violazione del principio di legittimo affidamento del contribuente.

di Monica Peta*

Il quadro fiscale applicabile alle stock option ha subito rilevanti modifiche normative susseguitesi a partire dall' allora art. 48 del D.P.R. n. 917/1986 e a tutt'oggi non è un tema scevro di dubbi interpretativi. Tanto è vero che, la Cassazione il 17 agosto 2021, con l'Ordinanza n. 22998, torna a pronunciarsi sulla corretta applicazione della tassazione da parte del datore di lavoro, blindando la regola per la quale: "la disciplina applicabile è quella adottabile al momento di esercizio dei relativi diritti, non anche il diverso regime in essere alla loro attribuzione".

Invero, il nodo tributario attiene alla disciplina applicabile al plusvalore determinato dalla differenza tra il prezzo di vendita delle azioni ed il prezzo di esercizio dei diritti di opzione al momento della loro attribuzione, in considerazione del mutamento del quadro normativo di riferimento. In particolare, la natura delle stock option, quali strumenti finanziari finalizzati ad estendere la partecipazione al capitale sociale d'impresa ai dipendenti ed in particolare agli alti dirigenti, ha determinato, sin dalla loro diffusione in Italia, l'esigenza di (ri)definire, di volta in volta, il perimetro normativo che disciplina la determinazione del reddito del lavoro dipendente. Al riguardo, si ricorda che nel tentativo di incentivare la diffusione dello strumento, attraverso l'introduzione di benefit fiscali e al tempo stesso di limitare comportamenti elusivi, il legislatore in più tempi ha modificato l'art. 51 del TUIR, ed in particolare:

- le condizioni ed i vincoli per le stock option in senso proprio assegnate ai singoli dipendenti;

- concentrandosi sulla corretta procedura dell'assegnazione dei piani di azionariato piuttosto che sui diritti e sulle condizioni di opzione, ai quali la norma si estende indirettamente (lo stesso è avvenuto nelle disposizioni previste dal Codice civile).

L' Ordinanza in commento ribadisce che, ai fini della tassazione del capital gain su stock option assegnate ai lavoratori dipendenti dal datore di lavoro, la disciplina applicabile è quella vigente alla data dell'esercizio del diritto di opzione e non quella della loro attribuzione, confermando con rigore che questo non costituisce, in alcun modo, violazione del principio di legittimo affidamento del contribuente. Ciò si spiega con il fatto che, al momento dell'offerta l'assegnatario non ha certezza circa l'incremento di valore delle azioni e l'immutabilità delle norme agevolative (tra le più recenti, Corte di cassazione Ordinanza n. 29891/2020, n. 1238/2020, "ai fini della tassazione del reddito di lavoro si applica il regime in vigore al momento della corresponsione dell'elemento retributivo" ;).

Nel caso de quo, un lavoro dipendente beneficiario di un piano di azionariato aveva contestualmente esercitato le opzioni attribuitegli e venduto i titoli, subendo il prelievo fiscale sul differenziale tra il corrispettivo di rivendita degli stessi ed il prezzo pagato per il loro acquisto. Di conseguenza, instaurava un giudizio invocando, oltre alle agevolazioni vigenti alla data di assegnazione dei diritti, il regime tributario delle rendite finanziarie, nonché degli effetti della rivalutazione operata con la corresponsione dell'imposta sostitutiva. I giudici in appello, riformando parzialmente la sentenza di secondo grado, riconoscevano nell'esercizio delle stock option il momento impositivo ai fini del reddito di lavoro e riferivano la rivendita dei titoli a redditi diversi. La Corte Suprema nell'Ordinanza in commento ha rafforzato il principio per il quale la disciplina applicabile ai componendi di reddito di lavoro dipendente è quella in vigore alla loro percezione, cioè al momento dell'esercizio delle opzioni, puntualizzando il perimetro tra reddito di lavoro, da misurarsi nell' atto dell'acquisto dei titoli e senza alcun rilievo della rivalutazione facoltativa a pagamento, e le successive vicende da valutarsi nell'ottica dei redditi diversi. I diritti sono stati assegnati al beneficiario nell'anno 2004, e previa rivalutazione nell'anno 2005 (ex art. 11-quaterdecies, comma 4, D.L. 203/2005), esercitati in data 15 dicembre 2006, con contestuale rivendita delle azioni.

La normativa di riferimento è l'art. 51, comma 2, lettera g-bis, TUIR.

In particolare la Corte di Cassazione riguardo la disciplina applicabile al caso di specie, ha affermato che: "l'attribuzione da parte della società datrice di lavoro, a titolo gratuito, dell'opzione di acquisto di proprie azioni (granting), da effettuare entro una certa data (vesting), assume rilevanza fiscale solo nell'esercizio dell'opzione al prezzo di acquisto fissato al momento della concessione dell'opzione (exrcising) risulti minore del valore dei titoli al momento dell'acquisto, in modo tale da determinare un guadagno per il beneficiario, che non integra una plusvalenza ma concorre a formare il reddito di lavoro dipendente, con conseguente riconduzione delle reddito coì conseguito nel regime di tassazione ordinaria (Cass. Ordinanza n. 23054/2020). Sicché la disciplina applicabile prevede l'applicazione dell'aliquota progressiva per il reddito ordinario prodotto, in ordine alla differenza del minor prezzo pagato rispetto al valore delle azioni acquistate e poi rivendute a terzi", con conseguente erroneità della scissione delle operazioni di esercizio dell'opzione e di rivendita in caso di operazioni contestuali". In particolare, le azioni acquistate al prezzo di valore al momento dell'offerta della stock option pari ad euro 74.375,00, valevano al momento dell'assegnazione euro 432.284,39 ed a tal prezzo sono state poi cedute contestualmente a terzi. Di conseguenza, non può ravvisarsi la costituzione di una plusvalenza.

Nell'Ordinanza in commento, la Corte ritorna altresì, sul tema di determinazione del reddito imponibile ai sensi dell'art. 5 della legge 488/2001, ribadendo che, la citata norma nel consentire al contribuente la rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni (qualificate e non qualificate), previo versamento di un'imposta sostitutiva sulla rivalutazione, disciplina le plusvalenze e minusvalenze, in caso di cessione a titolo oneroso da redditi diversi di natura finanziaria, con la conseguenza che la norma non è applicabile alle stock option relativamente all'imposizione di plusvalenze imputabili a redditi di lavoro dipendente.

A conclusione, si può ribadire quanto già detto in premessa: la disciplina applicabile alle stock option è quella vigente alla data di esercizio del relativo diritto di opzione e non quella della loro attribuzione, senza che ciò violi il principio di legittimo affidamento del contribuente, poiché questi al momento dell'offerta non dell'offerta, non ha certezza del futuro incremento delle azioni e né della immutabilità della disciplina agevolativa.

Sotto questo profilo, potrebbero sorgere dubbi sulla violazione del divieto di retroattività della norma tributaria. Tuttavia, si può affermare che non sussiste violazione, in quanto l'operazione alla quale consegue la tassazione non va individuata nell'attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta ad imposizione tributaria, ma nell'effettivo esercizio del diritto di opzione mediante l'acquisto delle azioni, che è rimesso alla libera scelta del beneficiario, il quale può o meno esercitarlo secondo proprie valutazioni e criteri di scelta.

Altro punto da evidenziare, è il confine tra il reddito di lavoro da misurarsi all'atto dell'acquisto dei titoli e senza alcuna rilevanza della rivalutazione effettuata dal contribuente (che di conseguenza esclude l'attrazione ad imposta sostitutiva) e le successive vicende da valutarsi in ottica di redditi diversi. Al riguardo deve escludersi, senza ombra di dubbio anche il rischio di una doppia imposizione, giacché il contribuente potrà far valere il rimborso del pagamento della stessa.

*Dottore Commercialista- Revisore Legale- PhD in Scienze Aziendali
Componente del Comitato Scientifico Nazionale Fondazione School University
Componente Commissione Crisi da Sovraindebitamento ODCEC Roma
Componente del Comitato Scientifico Nazionale Istituto Governo Societario

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