Bimbi in carcere con le mamme detenute, verso lo stop - Primo sì della Camera
L'Aula di Montecitorio ha approvato la Pdl "Modifiche al Cp, al Cpp e alla L. 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori" a firma del deputato dem Siani
Potrebbe essere la volta buona per lo stop ai bambini piccoli, figli di madri detenute, in carcere. Nella giornata di ieri infatti c'è stato il via libera, in prima lettura, della Camera (con 241 voti favorevoli e 7 contrari) alla Pdl "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori" a prima firma del deputato dem Paolo Siani (relatore Walter Verini).
Il provvedimento introduce alcune modifiche alla disciplina delle misure cautelari, volte a escludere l'applicazione della custodia cautelare in carcere per le madri con figli di età inferiore ai 6 anni prevedendo al contempo che, in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il giudice possa disporre la custodia cautelare solo negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM). La proposta inoltre equipara alla condizione dell'ultrasettantenne - per il quale la custodia cautelare in carcere è consentita solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - quella dell'imputato unico genitore di una persona con disabilità grave.
Interviene sull'istituto del rinvio dell'esecuzione della pena, prevedendo un più ampio ricorso a tale beneficio, che viene esteso anche al padre di un bambino che abbia meno di un anno (quando la madre sia deceduta o comunque impossibilitata a dare assistenza ai figli) e alla madre (o al padre) di un figlio con disabilità grave che abbia meno di 3 anni.
Interviene anche sull'ordinamento penitenziario per coordinare gli istituti della detenzione domiciliare e della detenzione domiciliare speciale con la previsione, in presenza del concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti, del ricorso alla custodia in ICAM.
Infine, incide sulla disciplina delle case famiglia protette di cui alla legge n. 62 del 2011 prevedendo l'obbligo per il ministro della Giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee. I comuni dovranno utilizzare come case famiglia protette prioritariamente immobili di loro proprietà e dovranno adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva.
Lo scopo - come ha spiegato lo stesso Siani - è quello di superare la normativa in vigore, quella che una decina di anni fa istituiva gli Istituti di detenzione attenuata. Se la nuova norma avesse anche l'ok del Senato, le mamme che hanno con sé un bambino fino a 6 anni sarebbero collocate in case famiglia protette, "dove il bambino non ha alcuna percezione di vivere in un carcere, può crescere meglio e avere migliori rapporti con la sua mamma, che è sicuramente più serena e più pronta anche a cambiare e a redimersi", perché "lo sviluppo del cervello di un bimbo è più veloce nei primi due anni di vita e molto influenzato dall'ambiente in cui vive. E sarà influenzato in maniera positiva se l'ambiente è stimolante, mentre se cresce in un carcere il suo cervello avrà solo effetti tossici".
L'articolo 1, novellando il comma 4 dell'art. 275 c.p.p., prevede che quando imputati siano una donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero un padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, la custodia cautelare in carcere - salvo la sussistenza di rilevanti eccezionali esigenze cautelari - possa essere disposta o mantenuta esclusivamente presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri (comma 1). Conseguentemente, per esigenze di coordinamento viene disposta l'abrogazione dell'art. 285-bis c.p.p. disciplinante a normativa vigente la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (comma 2).
L'articolo 2 dispone all'articolo 146 c.p. che il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena:
- sia esteso alla madre di un minore inferiore ai tre anni che sia portatore di disabilità avente connotazione di gravità, e sia applicato, altresì, nei confronti di padre della medesima prole, qualora la madre sia deceduta o impossibilitata a dare assistenza;
- non operi se "il condannato" (a legislazione vigente il riferimento è alla "madre") viene dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale sul figlio.
All'articolo 147 c.p. relativo al rinvio facoltativo della pena si prevede:
- la possibilità di rinviare l'esecuzione della pena al padre di prole di età inferiore a tre anni qualora la madre sia dare assistenza alla prole e non vi siano parenti;
- che il rinvio dell'esecuzione della pena non sia concesso o, se concesso, sia revocato, se "il condannato" viene dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.
L'articolo 3 invece interviene sulla disciplina dell'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione. In particolare, (articolo 47-ter) si prevede che in determinate ipotesi la detenzione domiciliare può essere negata e la persona sarà ristretta in un istituto a custodia attenuata per detenute madri, solo quando sussista il concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti (comma 1, n. 1).
Tali ipotesi fanno riferimento a donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente e a padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.
Inoltre, sul regime della detenzione domiciliare speciale (articolo 47-quinquies) viene ammessa la possibilità di espiare la pena – anche laddove sussista il concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti - presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri (comma 1, n. 2).
Infine, l'articolo 4 sostituisce il comma 2 dell'art. 4 della legge n. 62/2011, recante disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, prevedendo che il Ministro della giustizia stipuli (a fronte della mera possibilità prevista a normativa vigente) con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette (comma 1, cpv. comma 2). A tal fine i comuni riconvertono e utilizzano prioritariamente immobili di proprietà comunale purché idonei, utilizzando i fondi disponibili.
Un punto però che pone problemi di copertura. Il Dossier parlamentare infatti evidenzia come la previsione secondo cui gli oneri derivanti dalla realizzazione delle case famiglia protette sono poste a carico della disponibilità della cassa delle ammende non sia definita nel suo ammontare.