Civile

Stop alle formule di stile per contestare i fatti

La Suprema corte con la sentenza 31837 detta un principio di diritto

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di Patrizia Maciocchi

Il principio di non contestazione fa parte del diritto vivente del processo. Va dunque applicato anche ai procedimenti anteriori alla sua formale introduzione. E il convenuto che contesta i fatti affermati dall’attore a sostegno della sua domanda, affidandosi a semplici formule di stile, consente a quest’ultimo di farli passare senza provarli. Per scongiurare che scatti la “regola” - imposta dall’articolo 167 primo comma del Codice di rito civile, ancora prima della modifica, nel 2009, dell’articolo 115 del Codice di rito - servono argomenti chiari e specifici utili a confutare le circostanza sulle quali si regge la pretesa. Una posizione analitica che va presa dal convenuto nella comparsa di risposta. La Suprema corte (sentenza 31837) detta un principio di diritto, per escludere che la contestazione del valore dei documenti allegati alla citazione, possa avere lo stesso peso delle obiezioni sui fatti.

Del principio affermato beneficia la curatela di un fallimento che si era rivolta ai giudici di legittimità dopo che la Corte d’Appello l’aveva onerata dell’obbligo di provare l’esecuzione dei pagamenti in favore di una società, malgrado quest’ultima non li avesse contestati nello specifico. La compagine si era, infatti, affidata a quelle formule che la Cassazione boccia, limitandosi a contestare «in toto il contenuto dell’atto di citazione, riservandosi peraltro di confutare specificamente i pagamenti nel momento in cui la curatela avesse fornito prova degli stessi».

Una prova che - per la Corte territoriale - il fallimento era tenuto a fornire, perché al momento di instaurazione della lite non era ancora applicabile il precetto imposto dall’articolo 115 primo comma del Codice civile. Per la Cassazione però la “regola” era già presente nella disciplina legale del processo come diritto vivente.

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