Penale

Stupefacenti: bilancino di precisione e modalità di occultamento fanno cadere la lieve entità

immagine non disponibile

di Giuseppe Amato

In tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dall'articolo 2 del decreto legge 146 del 2013 (convertito dalla legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio . Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 24092 del 2018 .

Nel caso specifico è stata ritenuta legittima l'esclusione dell'ipotesi attenuata attraverso la valorizzazione negativa del rilevante quantitativo della droga, del possesso di un bilancino di precisione utilizzabile per il confezionamento delle dosi, delle particolari modalità di occultamento della droga: circostanze considerate indicative di una pur minima organizzazione finalizzata allo spaccio di quantitativi non modesti di droga, tali da soddisfare un numero non esiguo di tossicodipendenti.

È assunto pacifico quello secondo cui, in tema di sostanze stupefacenti, il fatto di lieve entità può essere riconosciuto solo in ipotesi di «minima offensività penale» della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri (cfr. Sezioni unite, 21 giugno 2000, Primavera e altri; di recente, tra le tante, sezione IV, 8 giugno 2016, Agnesse). Ciò in quanto la finalità dell'ipotesi attenuata si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante dall'articolo 3 della Costituzione, che impone - tanto al legislatore, quanto all'interprete - la proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l'offensività del fatto.

In proposito, dovendosi solo ricordare che nessuna conseguenza, sotto questo specifico profilo, deriva dal novum normativo introdotto dal decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014 n. 10, che ha trasformato l'ipotesi di cui al comma 5 dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 in fattispecie autonoma di reato (scelta normativa ribadita anche a seguito dell'ulteriore modifica introdotta dal decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla legge n. 79 del 2014), giacché i presupposti del reato sono rimasti gli stessi che potevano giustificare (o, per converso, negare) la concessione dell'attenuante (cfr. Sezione IV, 17 febbraio 2016, Silvestri).

In questa ottica, la giurisprudenza della Cassazione ha sempre ribadito che nella “ricostruzione” della nuova fattispecie autonoma di reato sono utilizzabili gli stessi parametri che caratterizzavano la previgente previsione di circostanza attenuante. Il fatto di “lieve entità”, cioè, deve essere apprezzato considerando i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione nonché la qualità e quantità delle sostanze stupefacenti, riproponendo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, che vale tuttora per cogliere il proprium anche della nuova fattispecie di reato.

I principi cardine, in proposito, sono quelli della «valutazione congiunta» dei parametri normativi e della rilevanza ostativa anche di un solo parametro quando risulti “esorbitante” e cioè chiaramente dimostrativo della “non lievità” del fatto. La valutazione congiunta, infatti, consente di apprezzare, in modo equilibrato, il fatto in tutte le sue componenti, senza peraltro trascurare le connotazioni particolari che assumono, nel concreto, i singoli parametri di riferimento.

Corte di cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 29 maggio 2018 n. 24092

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©