Penale

Sull’estorsione pesa l’efficacia della minaccia e cioè se il male risulta certo e realizzabile

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di Giuseppe Amato

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, deve essere individuato valutando la concreta efficacia coercitiva della minaccia, dovendosi ritenere l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile a opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato; si verte, invece, nella truffa quando il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente. Lo hanno chiarito i giudici penali della Cassazione con la sentenza n. 6278 del 2017.

In questa prospettiva - prosegue la Corte - se si individua nella concreta efficacia coercitiva della minaccia l'attributo della condotta utile per distinguere la truffa dall'estorsione perde rilevanza anche l'eventuale irrealizzabilità del male prospettato, essendo l'analisi richiesta limitata alla verifica ex ante della concreta efficacia coercitiva dell'azione minatoria, sicché l'eventuale irrealizzabilità del male non consentirebbe comunque di invocare l'articolo 49 del Cp.

Il criterio distintivo tra truffa ed estorsione - È pacifico in giurisprudenza che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa (articolo 640, comma 2, numero 2, del Cp) se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile a opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (tra le tante, sezione II, 9 luglio 2009, D'Aranno e altro).

È in questa ottica ricostruttiva che, esemplificando, si risolve l'ipotesi paradigmatica dell'attività di intermediazione svolta per far riottenere al derubato la cosa sottrattagli. Si sostiene, in proposito, che integra il reato di estorsione la condotta di colui che chiede e ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo per l'attività di intermediazione posta in essere per la restituzione del bene sottratto, in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia implicita della mancata restituzione del bene come conseguenza del mancato versamento di tale compenso: il soggetto passivo è infatti posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta o subire il danno.

Invece, il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario si configura allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo: in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà (sezione II, 16 ottobre 2013, Proc. Rep. Trib. Taranto in proc. Perniola e altro).

Corte di cassazione – Sezione II penale - Sentenza 9 febbraio 2017 n. 6278

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