Termine nullo e risarcimento, la “disoccupazione” non va comunque restituita
Lo hanno chiarito le Sezioni unite civili sciogliendo un contrasto interpretativo (sentenza n. 23876 del 26 agosto scorso) e respingendo il ricorso dell’Inps che chiedeva la ripetizione delle somme erogate ad un lavoratore
La sentenza definitiva che accerta la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e determina la conversione del medesimo a tempo indeterminato, oltre a riconoscere l’indennità risarcitoria al lavoratore, non fa sorgere il diritto dell’Istituto previdenziale a ripetere l’indennità di disoccupazione nel frattempo corrisposta. È questo l’importante approdo delle Sezioni unite civili, sentenza n. 23876 del 26 agosto scorso, che hanno così respinto il ricorso dell’Inps.
Il caso era quello di un dipendente di una stazione termale umbra che alla scadenza dell’ultimo di una serie di contratti a termine, poi dichiarati illegittimi, era stato beneficiario dell’indennità di disoccupazione per un anno. Dopo la declaratoria giudiziale della nullità del termine, e la ricostituzione del rapporto, l’Inps aveva chiesto al restituzione di quanto erogato ed il Tribunale gli aveva dato ragione. Proposto ricorso, il dipendente ha sostenuto l’esistenza “solo formale del rapporto di lavoro per effetto dell’anzidetto giudicato”, al quale, in realtà, “non aveva fatto seguito il versamento dei contributi” per il periodo contestato. E la Corte di appello di Perugia gli ha dato ragione dichiarando la somma irrepetibile in quanto al momento dell’erogazione non era in atto alcun rapporto di lavoro; non era dunque stata percepita “alcuna retribuzione né gli erano stati accreditati contributi”; non potendo del resto “annettersi alla tutela indennitaria, forfettaria ed onnicomprensiva, pari a dodici mensilità di retribuzioni, la natura di corrispettivo del rapporto di lavoro per effetto della ricostituzione, ex tunc, del rapporto di lavoro, come se non si fosse mai interrotto”.
Proposto ricorso da parte dell’Inps, la Sezione Lavoro (ordinanza interlocutoria n. 22985/2025), ha rimesso gli atti alla Prima Presidente in considerazione della importanza della questione e del “latente contrasto esistente” nella giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni unite, al termine di una elaborata ricostruzione giurisprudenziale, anche di rango costituzionale, hanno chiarito che nel caso di accertamento della nullità del termine di durata del rapporto di lavoro - con conseguente ricostituzione ex tunc dello stesso e riconoscimento al lavoratore dell’indennità risarcitoria (ex art. 32, comma 5, l. n. 183 del 2010), per il periodo intercorrente tra la scadenza del termine nullo e la sentenza dichiarativa di tale nullità è dovuta l’indennità di disoccupazione. Tale indennità, spiegano il Massimo consesso, risponde infatti ad una funzione previdenziale - volta a porre rimedio alla situazione di bisogno conseguente alla perdita della retribuzione - del tutto diversa rispetto a quella, attinente al piano del rapporto di lavoro, sottesa alla corresponsione dell’indennità ex art. 32, comma 5, della legge 183/2010, che invece è ispirata alla finalità di forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, quale integrazione della garanzia della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
“È il programma tracciato dalla Costituzione – si legge nella decisione - che inequivocabilmente indica come quella promessa di «libertà dal bisogno», costituente l’essenza delle forme di tutela dei diritti sociali, implichi non soltanto la garanzia di ristoro rispetto agli effetti pregiudizievoli dell’evento dannoso che non sia stato possibile evitare, ma, soprattutto, e ancor prima, la «serenità» derivante, di fatto, dalla consapevolezza di poter fondatamente confidare su un efficace sistema di prevenzione nei confronti degli stessi eventi generatori di bisogno”.
Quanto al rischio paventato dall’ente previdenziale di ledere il principio della incumulabilità della contribuzione effettiva, la Cassazione osserva che la “contribuzione figurativa cessa nel momento in cui viene erogata quella effettiva e non vi è sovrapposizione tra contribuzione figurativa derivante dalla prestazione previdenziale e contribuzione obbligatoria per effetto del ripristino del rapporto assicurativo”.
In definitiva, spiega la Corte, “la condizione oggetto di protezione viene meno solo con il ripristino del sinallagma del rapporto lavorativo e della retribuzione, proprio perché, durante il periodo intercorrente fra la scadenza del termine nullo e la sentenza dichiarativa di tale nullità, in mancanza della prestazione lavorativa si giustifica la mancata prestazione retributiva”; e allora, conclude la sentenza, “la tutela contro la disoccupazione involontaria non potrà che essere diretta a compensare l’assenza della retribuzione e a garantire misure di adeguato sostegno al lavoratore”.