Tifo violento, no all’incostituzionalità della messa alla prova
Il Gip del Tribunale di Potenza dichiara manifestamente infondata la questione sollevata dalla Procura
Con ordinanza del 15 febbraio 2021 il Gip del Tribunale di Potenza, Teresa Reggio, ha dichiarato rilevante ma manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, in merito alla messa alla prova, tramite affidamento ai servizi sociali, di 25 persone appartenenti alla tifoseria di una squadra di calcio locale, la Vultur Rionero, coinvolte in alcuni scontri con giovani di un altro club, il Melfi. I fatti risalgono al 19 gennaio 2020 e negli incidenti morì un supporter della Vultur, investito dall’auto di un tifoso del Melfi.
Nel processo ai tifosi violenti l’accusa ha rilevato il tema della legittimità costituzionale rispetto alla messa alla prova con la censura dell’articolo 168-bis del Codice penale (sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato), argomentando su diversi punti. In primis l’assenza di una necessaria valutazione preventiva sul rischio che gli ultras commettano altri reati, come quelli già contestati nei loro confronti e cioè tentate lesioni, danneggiamento, violenza privata e porto di armi improprie.
Altra questione sollevata dal Pm è stata la sproporzione rispetto al trattamento concesso a chi è accusato di rissa, reato che non può mai godere di modalità alternative di definizione del processo, se dal fatto è derivata la morte di uno dei partecipanti (articolo 550, comma 2, Codice di procedura penale). Secondo la prospettazione della pubblica accusa, «la scelta di consentire l’accesso all’istituto della messa alla prova con riferimento a reati, quelli per i quali è prevista la citazione diretta, il cui accertamento è ritenuto evidentemente più agevole e, quindi, indipendentemente dalla gravità degli stessi (rientrano nell’elenco anche reati molto gravi quali la ricettazione e il furto aggravato), determinerebbe una evidente violazione del principio di uguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza». Questa situazione porterebbe a escludere «dall’ambito di operatività dell’istituto reati sì gravi, ma, comunque, meno gravi, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, di alcuni di quelli di cui al comma 2 dell’articolo 550 del Codice di procedura penale».
Per il Gip la questione va affrontata tenendo presente quanto già evidenziato dalla Corte costituzionale (ordinanza 54/2017) sulla natura dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, che richiede sempre una collaborazione dell’imputato in relazione ai contenuti prescrittivi e di sostegno del programma di trattamento. L’istituto in questione, secondo la Consulta, «ha effetti sostanziali perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale alternativo al giudizio».
Il Gip rileva che i parametri previsti dall’articolo 133 del Codice penale (tra cui la capacità a delinquere del reo) non sono richiamati dall’articolo 168-bis del Codice penale ma lo sono dall’articolo 464-quater, comma 3, del Codice di procedura penale e costituiscono uno strumento per orientare il giudizio sulla idoneità del programma, in una valutazione complessiva circa la rispondenza del trattamento alle esigenze del caso concreto, che presuppone anche una prognosi di non recidiva.
Infine, in relazione alla possibilità di accedere alla messa alla prova per i reati indicati dall’articolo 550, comma 2, del Codice di procedura penale, il Gip evidenzia che il legislatore ha scelto di includerli proprio perché il loro accertamento da parte del giudice è ritenuto più agevole.
Di qui la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
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Alberto Cisterna
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