Responsabilità

Trattamenti terapeutici e omesse informazioni, il danno va provato

Nel caso esaminato dalla Cassazione sarebbero state omesse comunicazioni sull'esistenza di una tecnica di intervento innovativa

di Mario Benedetti Claudia Genuardi

Nella sentenza 1936/2023 la sezione terza della Corte di cassazione torna ad affrontare il dibattuto tema della responsabilità della struttura ospedaliera per i danni subiti dal paziente nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione circa l’esistenza di una tecnica innovativa, alternativa a quella “tradizionale”, che avrebbe evitato gli esiti infausti e permanenti dell’intervento chirurgico performato dall’équipe medica sul paziente danneggiato.

Il tema si impone con forza soprattutto alla luce dell’impiego ormai scientificamente validato e sempre più massivo delle innovazioni tecnologiche in ambito medico e della crescita di approcci terapeutici sempre più all’avanguardia: basti pensare all’uso di stampanti 3D, o di soluzioni di machine learning, nonché all’ausilio di tecniche di chirurgia robotica assistita, e all’utilizzo di big data in campo sanitario.

Nel caso che ha formato oggetto della sentenza in scrutinio, il paziente danneggiato chiedeva la condanna dell’azienda ospedaliera a risarcire sulla base degli articoli 1176, 1218 e 1225 del Codice civile i danni patiti in conseguenza delle lesioni asseritamente subite a valle dell’esecuzione di un intervento chirurgico operato presso la medesima, poiché in seguito all’intervento si verificava una massiva fibrosi delle anse intestinali, e conseguente occlusione intestinale. La struttura sanitaria convenuta eccepiva l’irrilevanza causale della condotta di omessa informazione del chirurgo circa l’esistenza di una tecnica operatoria più “moderna” (cosiddetta tecnica “Evar”), in quanto la scelta e l’esecuzione della tecnica obsoleta (cosiddetta tecnica “Open”) non fu di per sé colposa. In particolare, l’ospedale eccepiva la circostanza per la quale il paziente, anche se fosse stato correttamente informato, non avrebbe scelto la tecnica meno obsoleta, dal momento che il chirurgo cui si era rivolto era un esperto proprio nella tecnica “Open”.

Orbene, la Corte di legittimità, muovendosi sul solco del consolidato orientamento in tema di responsabilità medico-chirurgica, ha ribadito che, laddove il danneggiato lamenti un danno da mancata informazione preventiva al trattamento terapeutico, è onere dello stesso provare in base all’articolo 2697 del Codice civile l’effettiva lesione del proprio diritto all’autodeterminazione, allegando che avrebbe compiuto una scelta differente rispetto al trattamento performato, nonché gli ulteriori danni subìti, escludendo, pertanto, qualsiasi automatismo risarcitorio e negando che la violazione del diritto all’autodeterminazione determini un danno in re ipsa. In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, che sarà tenuta ad accertare l’eventuale sussistenza del nesso eziologico tra il fatto colposo del medico - ossia, l’omessa informazione al paziente sulla tecnica operatoria alternativa - e l’evento di danno - ovverosia, le complicazioni post-operatorie e la fibrosi delle anse intestinali.

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