Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 14 e il 18 novembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si sono pronunciate in tema di cessione di credito, mutuo agrario, fallimento, contratto di appalto e, infine, azione revocatoria ordinaria.
Da parte loro i Tribunali intervengono in materia di divieto di patti successori, ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, diligenza e responsabilità del funzionario di banca, sinistri stradali (risarcimento danni) e infine sulla manifestazione della volontà di garantire personalmente un debito.


CONTRATTI
Contratto di cessione del credito - Credito risarcitorio – Non trasferito
(Cc, articoli 1260, 1263)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Campobasso come il contratto di cessione del credito, in base all'articolo 1260 c.c., si realizzi mediante un accordo tra creditore cedente e cessionario, e preveda che, ai sensi dell'articolo 1263, I, c.c., insieme al contratto vengano trasferiti i privilegi, le garanzie personali e reali, e gli altri accessori, ritenendo ricomprese in tale definizione le azioni poste a tutela del credito.
In particolare, la Corte ha modo di delineare quali siano concretamente "gli accessori" trasferiti per effetto della cessione, delimitandone, altresì, il contenuto ed i limiti.
La nozione di accessori – si osserva in sentenza - non ha una definizione legislativa e, pertanto, si è discusso, in dottrina e in giurisprudenza, se nella stessa possano essere ricomprese, oltre alle azioni poste a tutela del credito, anche quelle relative al contratto dal quale lo stesso prende origine.
Un orientamento ha avuto modo di precisare che le azioni concesse al cessionario, e rientranti nella nozione di accessori, sono tutte quelle dirette alla cognizione e alla soddisfazione del credito sicché, nel novero delle azioni trasferite al cessionario, non possono essere ricomprese le azioni risarcitorie scaturenti dall'inefficacia dell'originario contratto, anche se ne consegue l'inesigibilità del credito stesso. Ciò in quanto con la cessione del credito, non viene trasferita al cessionario la titolarità dello stesso, ma solo la sua esecuzione, nonché la sua effettiva tutela.
Il cessionario, dunque, potrà agire solo per la tutela del credito, acquisendo soltanto i diritti derivanti dal contratto rivolti alla sua realizzazione.
A sostegno di tale motivazione viene evidenziata, la distinzione sostanziale intercorrente tra la posizione del cessionario nella cessione del contratto, che subentra in tutti i diritti e gli obblighi relativi alla posizione contrattuale, e nella cessione del credito, nella quale invece ha poteri circoscritti alla sola realizzazione e tutela del suo credito.
La cessione del credito non implica, quindi, una successione del cessionario nel "credito risarcitorio" e la responsabilità per asseriti comportamenti illegittimi è destinata a rimanere in capo alla parte cedente.
Corte di Appello di Campobasso, sentenza 14 novembre 2022, n. 272

BANCHE
Mutuo agrario – Garanzia – Beni vincolati - Riduzione e restrizione
(Cc, articolo 2783; Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articolo 39)
In sentenza la Corte d'Appello di Catanzaro sottolinea come al contratto di mutuo agrario si applichi l'articolo 39 Dlgs n. 385/1993 (TUB), rubricato "Ipoteche", e come se è ben vero che la norma contempli due distinte fattispecie (quella riduzione della somma iscritta a garanzia, e quella della restrizione dei beni vincolati), tuttavia si tratta di fattispecie che hanno titolo nel medesimo presupposto, e cioè a dire che il debito originario sia stato estinto almeno per un quinto.
Tanto emerge sia dalla lettura della citata norma (che utilizza l'avverbio "ancora"), sia dall'assetto grafico della medesima norma (che non è contenuta in un comma isolato, ma segue al primo inciso contenente la condizione della riduzione della quinta parte del debito) e riscuote decisiva conferma, sul piano logico, non avendo senso che alla restrizione dell'ipoteca si possa procedere in difetto di una riduzione del debito originario (appunto nella misura di un quinto), tanto più considerando che la prestazione della garanzia, rispetto alla quale la restrizione dovrebbe rendersi efficace, è di regola commisurata all'entità del debito da garantire, sicché non sarebbe concepibile una riduzione di essa svincolata rispetto alla riduzione del debito iniziale.
Il vaglio della domanda di riduzione e di quella di restrizione presuppone, dunque, il previo accertamento dell'avvenuta estinzione, da parte dei debitori, della quinta parte del debito originario.
A tal proposito osserva ancora l'adita Corte che l'articolo 39 cit. non contiene alcuna indicazione circa il momento temporale in cui debba calcolarsi il quinto del debito originario al fine di ottenere la richiesta riduzione-restrizione dell'ipoteca.
Tale lacuna si ritiene possa essere colmata applicando il principio di diritto elaborato in giurisprudenza relativamente all'articolo 2873 c.c., e secondo cui è al momento in cui viene disposta la riduzione che deve essere accertato se sia stato estinto almeno il quinto del debito originario.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione II, sentenza 15 novembre 2022 n. 1293

FALLIMENTO
Fallimento - Stato d'insolvenza – Manifestazione
(Rd 16 marzo 1942, n. 267, articolo 5)
La Corte d'Appello di Milano è chiamata a pronunciarsi sulla corretta esegesi della norma ex articolo 5 Rd n. 267/1942 secondo cui l'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito. A sua volta lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti, o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Si chiarisce così che l'insolvenza rilevante al fine della declaratoria di fallimento non indica un fatto (cioè un avvenimento puntuale) bensì uno stato, e cioè una situazione dotata di un certo grado di stabilità, intendendosi tale uno stato d'impotenza economico - patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi normali, ai propri debiti.
Un tale stato di insolvenza, inteso quale incapacità finanziaria, strutturale e irreversibile del debitore a soddisfare le proprie obbligazioni, può manifestarsi esteriormente in vari modi; fermo restando che la legge fallimentare non prevede un requisito di manifestazione all'esterno dello stato di insolvenza, ma degli indizi che ne costituiscono gli elementi sintomatici e sono apprezzabili dal Giudice al fine della dimostrazione della sua sussistenza.
Eventuali protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti non costituiscono un parametro esclusivo del giudizio di dissesto, con la conseguenza che lo stato di insolvenza dell'imprenditore è configurabile anche in assenza di tali atti.
Lo stato di insolvenza sottende, quindi, un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore, oggetto di una valutazione complessiva: quanto ai debiti, il computo non si limita alle risultanze dello stato passivo nel frattempo formato, ma si estende a quelli emergenti dai bilanci e dalle scritture contabili o in altro modo riscontrati, anche se oggetto di contestazione, quando (e nella misura in cui) il giudice ne riconosca incidentalmente la ragionevole certezza ed entità; quanto all'attivo, i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di mercato, ma anche in rapporto all'attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione - di regola - dell'operatività dell'impresa, salvo che l'eventuale fase della liquidazione in cui la stessa si trovi renda compatibile anche il pronto realizzo dei beni strumentali e dell'avviamento.
Corte di Appello di Milano, sezione V, sentenza 15 novembre 2022 n. 3606

APPALTI
Contratto di appalto – Elementi caratterizzanti – Fasi critiche del rapporto

(Cc, articoli 1655, 1658, 1659, 1660, 1661, 1664)
Si sofferma in sentenza l'adita Corte d'Appello di Bari sul contratto di appalto con il quale (ex articolo 1655 c.c.) una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Il committente è un soggetto, persona fisica o giuridica, pubblica o privata; l'appaltatore è necessariamente un imprenditore che si impegna ad eseguire l'opera con i mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, in cambio di un corrispettivo in denaro. Elemento essenziale, e quindi requisito contrattuale, è l'assunzione del rischio d'impresa che l'appaltatore è disposto ad accollarsi.
Oltre all'esecuzione dell'opera o del servizio, l'appaltatore deve fornire anche il materiale necessario che si deve intendere compreso nel prezzo pattuito, come disposto dall'articolo 1658 c.c. (che disciplina la fornitura della materia).
Gli articoli successivi regolano le fasi critiche del contratto.
L'articolo 1659 c.c. pone il divieto per l'appaltatore di apportare variazioni alle modalità convenute dell'opera se il committente non le ha autorizzate per iscritto; e anche se autorizzate, l'appaltatore non ha diritto a compenso se il prezzo dell'intera opera è stato determinato globalmente.
L'articolo 1660 c.c. disciplina le variazioni necessarie del progetto e prevede l'intervento del Giudice in mancanza di accordo tra le parti.
L'articolo 1661 c.c. regola il caso delle variazioni ordinate dal committente, purchè non comportino un aumento del prezzo superiore di un sesto del prezzo complessivo dell'appalto, salvo che le variazioni, pur essendo contenute nei limiti suddetti, importino notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima.
Infine, l'articolo 1664 c.c. prende in considerazione il caso in cui, per effetto di circostanze imprevedibili, si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto.
In tale ipotesi l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo, ma solo per quella differenza che eccede il decimo.
Corte di Appello di Bari, sezione II, sentenza 16 novembre 2022 n. 1672

FALLIMENTO
Azione revocatoria ordinaria – Credito - Relazione
(Cc, articoli 2740, 2901)
Afferma, in punto di diritto, la Corte d'Appello di Torino come tra azione revocatoria (ex articolo 2901 c.c.) e credito esista una relazione di mezzo a fine, poiché la prima, tramite la ricostituzione della garanzia patrimoniale, serve ad accrescere l'aspettativa di soddisfacimento del secondo e non ha altro possibile risultato utile all'infuori della tutela del credito.
Tutela rispetto alla quale l'esistenza di una ragione di credito è solo uno dei presupposti che non deve essere necessariamente costituito da un accertamento già definitivo, essendo sufficiente una ragione lata, anche eventuale, di credito, rilevando a tal fine anche i crediti litigiosi o comunque oggetto di contestazioni purché non manifestamente implausibili.
Nel testo dell'articolo 2901 c.c. è ravvisabile una "nozione lata di credito" comprensiva altresì della ragionevole aspettativa, purché non si riveli prima facie pretestuosa e possa valutarsi come probabile anche se non definitivamente accertata, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell'azione, la quale non persegue scopi restitutori.
L'eventuale valutazione di fondatezza dell'azione revocatoria comporta infatti l'inefficacia dell'atto "impugnato", in sé pienamente valido, nei soli confronti del creditore riconosciuto leso da esso; l'effettività ed incontrovertibilità della qualità di creditore deve sussistere affinchè sia possibile a colui che ha vittoriosamente agito ex articolo 2901 c.c. colpire esecutivamente i beni, usciti dal patrimonio del debitore sulla base dell'atto dichiarato inefficace, fermo restando che l'eventuale sentenza dichiarativa dell'inefficacia dell'atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l'esistenza del credito non sia accertata con efficacia di giudicato.
Dunque, come evidenziato dalla Corte piemontese, anche un credito solo eventuale o litigioso è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione ai sensi dell'articolo 2901 c.c. avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore.
Con la precisazione, ancora, che l'accertamento dei presupposti per l'esercizio dell'azione revocatoria deve essere eseguito assumendo come punto di riferimento cronologico l'epoca in cui è sorto il debito.
Corte di Appello di Torino, sezione I, sentenza 16 novembre 2022 n. 1209

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Patti successori – Divieto – Nullità
(Cc, articolo 458)
Il Tribunale di Bologna, chiamato a pronunciarsi in tema di patti successori, precisa in sentenza che, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'articolo 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato.
Di conseguenza, configurano un patto successorio - nullo ex articolo 458 c.c. - sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera e propria istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle aventi per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un vinculum iuris, di cui la successiva disposizione testamentaria rappresenti l'adempimento.
Con la precisazione che, sempre in tema di patti successori, l'atto mortis causa, rilevante gli effetti di cui alla innanzi citata disposizione codicistica, è esclusivamente quello nel quale la morte incide non già sul profilo effettuale (ben potendo il decesso di uno dei contraenti fungere da termine o da condizione), ma sul piano causale, essendo diretto a disciplinare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto, o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione, sicché la morte deve incidere sia sull'oggetto della disposizione sia sul soggetto che ne beneficia: in relazione al primo profilo l'attribuzione deve concernere l'id quod superest, ed in relazione al secondo deve beneficiare un soggetto solo in quanto reputato ancora esistente al momento dell'apertura della successione.
Tribunale di Bologna, sezione III, sentenza 15 novembre 2022 n. 2824

TRANSAZIONI COMMERCIALI
Transazioni commerciali – Pagamenti - Ritardi – Mora
(Dlgs 9 ottobre 2002, n. 231, articoli 1, 2; Dir. 29 giugno 2000/35/CE)
Osserva il Tribunale di Palermo come con il Dlgs n. 231/2002, il Legislatore nazionale abbia dato attuazione alla Direttiva 2000/35/CE in materia di ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali.
L'ambito applicativo di tale decreto (articolo 1) è quello delle transazioni commerciali, ovvero quei contratti, comunque denominati, tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo (articolo 2).
Quanto alla delimitazione soggettiva dell'ambito di applicazione di tale disciplina normativa, si offre, da parte del medesimo Legislatore, la definizione di "pubblica amministrazione", nonché quella di imprenditore (quest'ultimo individuato in ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata, o una libera professione (articolo 2, II, lett. c).
Il Legislatore ha poi stabilito un tasso di mora particolarmente elevato, diretto non solo a ristorare il creditore del danno subito, ma anche a sanzionare il ritardo nell'adempimento della prestazione pecuniaria, con funzione dissuasiva di comportamenti abusivi del debitore.
In particolare, si è cercato di introdurre un sistema idoneo a limitare al massimo i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, nella consapevolezza che gli eccessivi ritardi impongono pesanti oneri finanziari alle imprese – specie quelle di piccole e medie dimensioni e agli artigiani – e costituiscono una tra le principali cause di insolvenza determinando la perdita di numerosi posti di lavoro.
Se per un verso, quindi, non può dubitarsi dell'applicabilità della disciplina anche ai rapporti tra imprese e pubbliche amministrazioni – espressamente incluse nell'ambito di applicazione della disciplina – è altrettanto evidente che, ai fini dell'applicabilità della disciplina, è necessario che il rapporto tra la pubblica amministrazione e l'impresa sia una "transazione commerciale", vale a dire un rapporto contrattuale di natura privatistica che si svolga, dal punto di vista dell'impresa a tutela della quale è dettata la disciplina, in regime di concorrenza.
Tribunale di Palermo, sezione V, sentenza 15 novembre 2022 n. 4663

BANCHE
Istituti di credito - Diligenza del funzionario – Responsabilità
(Cc, articolo 1176; Circolare ABI, S.T, 12 giugno 2014, n. 21)
Affronta in sentenza il Tribunale di Pisa il tema della responsabilità della banca in caso di pagamento di assegni con firma di traenza falsa e, ancora, con riferimento alla emissione di assegni circolari a fronte di richieste corredate da sottoscrizione apocrifa.
Il principio di diritto che l'adito Tribunale toscano fa proprio in tali ipotesi è quello secondo cui la responsabilità dell'istituto di credito viene in rilievo qualora la falsità sia apprezzabile ictu oculi.
Il canone in base al quale apprezzare la diligenza del funzionario di banca è quello previsto dall'articolo 1176 c.c., che va rapportato alla normalità dell'attività bancaria e cioè alla diligenza media, non essendo tenuto il funzionario a disporre delle qualità di un esperto grafologo, né la banca a dotarsi di specifici strumenti meccanici o fisici ai fini del controllo sull'autenticità delle firme.
Resta inteso, al tempo stesso, che il funzionario di banca è tenuto a rilevare difformità palesi tra la sottoscrizione apposta sul titolo e quella contenuta nello specimen fornito dal cliente ed in possesso della banca.
È una responsabilità che non può essere esclusa in virtù del mero riscontro della conformità della sottoscrizione allo specimen, dal momento che, in presenza di circostanze del caso concreto tali da suggerire, secondo le regole di diligenza cui è tenuto il mandatario, ulteriori controlli, l'omissione degli stessi integra un comportamento colposo ostativo alla configurabilità di una situazione di apparenza idonea a giustificare l'esonero della banca da detta responsabilità.
Tale principio trova giustificazione nella natura professionale dell'attività svolta dal banchiere nella ricezione e nell'esecuzione degl'incarichi affidatigli, la quale gli impone, a sensi dell'articolo 1176, II, c.c., di predisporre l'organizzazione necessaria per garantire la sicurezza nell'effettuazione delle operazioni e di adottare tutte le cautele suggerite dalla tecnica e dall'esperienza, al fine di impedire l'esecuzione di pagamenti non autorizzati.
Infine, la conoscenza del bancario medio, ossia il parametro da esigersi al fine di escludere una condotta negligente imputabile all'istituto di credito, in materia di negoziazione di assegni, deve essere ricostruita in forza della Circolare ABI, Serie Tecnica n. 21, datata 12 giugno 2014, che disciplina i requisiti standard per la stampa degli assegni e talune misure antifrode.
Tribunale di Pisa, sentenza 15 novembre 2022 n. 1400

CIRCOLAZIONE STRADALE
Circolazione stradale – Sinistri stradali – Risarcimento danni
(Cc, articolo 2059)
Il Tribunale di Potenza, adito in materia di danni da circolazione stradale, tratta (tra l'altro) del risarcimento del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.), argomentando quanto alla cosiddetta personalizzazione del danno biologico, e così precisando che ciò non costituisce un automatismo ma deve trovare giustificazione nel positivo accertamento di specifiche condizioni eccezionali ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione.
Tali aspetti devono essere allegati e provati dalla vittima e consistono in circostanze eccezionali, specifiche e diverse da quelle che invece ordinariamente sono conseguenti alla menomazione e che già sono incluse nella liquidazione tabellare "standard" del danno.
Deve essere, quindi, allegato e dimostrato, ai fini della personalizzazione, un pregiudizio che concerna un'attività della vita che non è praticata dalla persona standard, ma che assuma connotati specifici, "eccezionali" e "peculiari".
Conseguentemente, secondo il Tribunale, non può esser considerata "personalizzante" l'impossibilità per la vittima a cimentarsi in attività fisiche e nemmeno la lesione alla capacità lavorativa generica, che è già ricompresa nell'ambito delle conseguenze ordinarie del danno biologico.
Muovendo dal principio per cui il danno biologico è un danno dinamico-relazionale si statuisce di conseguenza che la perduta o ridotta o modificata possibilità di attendere alle ordinarie attività, come pure di intrattenere rapporti sociali o dedicarsi a "passatempi" (quali l'hobby, le attività ludiche o sportive allegate dall'attore) in conseguenza di una invalidità permanente costituisce una delle "normali" conseguenze (e perciò non idonee ad applicare la personalizzazione) delle invalidità gravi, nel senso che qualunque persona affetta da una grave invalidità non può non risentirne sul piano dei rapporti sociali.
Infine, se l'impossibilità di compiere attività fisica, come conseguenza ordinaria di una lesione grave, non dà diritto alla personalizzazione, a maggior ragione per le lesioni di lieve entità deve escludersi la stessa che, sia pur astrattamente ipotizzabile, comporta una valutazione assai più stringente dei connotati peculiari ed eccezionali.
Tribunale di Potenza, sentenza 15 novembre 2022 n. 1222

FIDEIUSSIONE
Fideiussione – Manifestazione della volontà
(Cc, articoli 1936, 1937)
Il Tribunale di Firenze si sofferma in sentenza sulla corretta esegesi dell'articolo 1937 c.c., dettato in tema di manifestazione della volontà di garantire personalmente un debito, e secondo cui la volontà di prestare fideiussione deve essere espressa.
Si sottolinea così come costituisca principio pacifico e univoco quello secondo cui la volontà di prestare fideiussione, seppure non richieda la forma scritta o l'utilizzo di formule sacramentali, deve essere comunque manifestata in modo chiaro ed inequivocabile ed essere dichiarata senza incertezze e ambiguità.
E, d'altro canto, l'articolo 1937 c.c. non pone limiti all'ammissibilità dei mezzi di prova volti a dimostrare la sussistenza della fideiussione tanto che sono ammissibili la prova per testi e quella per presunzioni.
Orbene, nella ricerca in concreto circa le modalità da cui (eventualmente) far discendere il cosddetto intento fideiussorio occorre considerare che la surrichiamata norma codicistica deve essere interpretata tenendo presente il principio - vigente nell'ordinamento, se non espressamente derogato - della libertà delle forme contrattuali.
Il limite posto dalla disposizione in esame all'ampia libertà di forma consentita al prestatore della garanzia personale nel manifestare il proprio intendimento di obbligarsi in qualità di fideiussore è dato – come detto - dalla non equivocità e dalla oggettività di manifestazione di volontà.
L'accertamento della volontà di prestare fideiussione - comunque - costituisce una indagine di fatto, riservata al Giudice di merito, censurabile in Cassazione solo se compiuta in violazione delle regole di ermeneutica contrattuale o se non adeguatamente motivata.
In altre parole, l'articolo 1937 c.c., riferendosi alla volontà espressa, impone, in senso lato, un onere di forma: tale onere va inteso nel senso che l'intento negoziale, diretto alla costituzione dell'obbligazione fideiussoria, deve essere manifestato dal garante, con dichiarazione apposita di volersi costituire garante del debitore principale (con il solo limite dell'inequivocità ed oggettività di tale manifestazione di volontà).
Con la precisazione che l'obbligazione fideiussoria promana da un contratto risultante, nella sua configurazione tipica (articolo 1936 c.c.), dalla proposta del fideiussore non rifiutata dal creditore, e non richiede quindi, perché si perfezioni, l'accettazione espressa di quest'ultimo.
Tribunale di Firenze, sezione III, sentenza 17 novembre 2022 n. 3211

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