Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 9 e il 13 maggio 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello sono chiamate a pronunciarsi in tema di contratto preliminare, perdita del rapporto parentale, concessione di servizi, locazione immobiliare.
Da parte loro i Tribunali intervengono in materia di condominio, garanzie personali, appalto, resp
onsabilità dei consulenti finanziari, locazione finanziaria, danno e risarcimento.


CONTRATTO PRELIMINARE
Contratto preliminare - Compravendita immobiliare – Condizione (codice civile, articoli 1358, 1359)
Secondo la Corte d'Appello di Milano la "condizione" può ritenersi apposta nell'interesse di uno solo dei contraenti esclusivamente in presenza di una clausola espressa in tal senso, ovvero di elementi che inducano a ritenere che l'altra parte non abbia alcun interesse al suo verificarsi (profilo, questo, da accertarsi tenuto conto della situazione esistenze al momento della conclusione del contratto).
Precisa così la Corte che, ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la pratica.
La mancata erogazione del prestito comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ex articolo 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all'avveramento della condizione (cosiddetta condizione bilaterale), sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista.
Peraltro chi si obbliga sotto condizione sospensiva dell'ottenimento di determinate autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l'altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (articolo 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l'avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la Pa provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi, con la conseguenza che deve rispondere delle conseguenze dell'inadempimento di questa sua obbligazione contrattuale nei confronti dell'altra parte.
A tal fine è necessario accertare, con riguardo alla situazione di fatto esistente quando si verifica l'inadempimento, se la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile.
Corte d'Appello di Milano, sezione IV, sentenza 10 maggio 2022,n. 1540

PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE
Perdita del rapporto parentale – Danno - Risarcimento
Il danno da perdita del rapporto parentale – precisa in sentenza la Corte d'Appello di Catania - deve essere liquidato seguendo le Tabelle del Tribunale di Milano, tenuto conto delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali sono indefettibili l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga una liquidazione non fondata sulla tabella.
Si tratta, nel complesso, di una valutazione secondo equità giudiziale, cosiddetta integrativa o correttiva.
Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, peraltro, non persegue lo scopo di reintegrare il congiunto a fronte del semplice venir meno della titolarità del rapporto leso, bensì di ristorare il pregiudizio consistente nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno, e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti.
E così, sotto il profilo risarcitorio, in tale ambito (perdita ma anche lesione del rapporto parentale) il Giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l'unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l'interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso.
Corte d'Appello di Catania, sezione II, sentenza 11 maggio 2022 n. 980

CONCESSIONI DI SERVIZI
Concessioni di servizi – Controversie – Giurisdizione
(Cost., articolo 97; Cc, articoli 1175, 1375; Dlgs 2 luglio 2010, n. 104, articolo 133; legge 7 agosto 1990, n. 241)
La Corte d'Appello di Lecce osserva, in punto di diritto, come il contratto avente ad oggetto il servizio di riscossione (di una parte) delle entrate comunali sia sussumibile nell'ambito dei contratti relativi a servizi pubblici, dovendosi pertanto ritenere la ricorrenza, nel caso di contestazioni, dalla giurisdizione del Go.
Alla luce del disposto di cui all'articolo 133, I, lettera c, del Dlgs n. 104/2010, in tema di concessioni di servizi, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, successiva all'aggiudicazione, sia se implicanti la costruzione (e gestione) dell'opera pubblica, sia se non collegate all'esecuzione di un'opera, sono devolute alla giurisdizione del Go, al quale spetta di giudicare sugli adempimenti (e sui relativi effetti) con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell'amministrazione e del concessionario, nonché di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo; resta ferma, invece, la giurisdizione del Ga nei casi in cui l'amministrazione, sia pure successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241/1990, oltre che nei casi tassativamente previsti (come quello di cui all'articolo 133, I, lettera e, n. 2, Dlgs n. 104/2010).
Emerge dunque che, quando non viene in considerazione l'esercizio di poteri autoritativi da parte della Pa, ma unicamente il rispetto da parte delle stessa dei criteri generali di correttezza e buona fede (articoli 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'articolo 97 Cost., la giurisdizione appartiene al Go.
In particolare, quando l'oggetto della controversia ruota attorno al comportamento della Pa, all'affidamento ingenerato in capo al privato ed alle regole di buona fede, il contegno dell'amministrazione va valutato su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo.
Corte d'Appello di Lecce, sezione I, sentenza 11 maggio 2022 n. 554

LOCAZIONE IMMOBILIARE
Locazione immobiliare - Uso non abitativo - Disciplina
(Cc, articoli 1372, 1376, 1705; 2032; legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27; legge 23 dicembre 1998, n. 431, articolo 1)
Secondo la Corte d'Appello di Bari il contratto di locazione adibito ad uso diverso dall'abitativo è disciplinato dalla legge n. 392/1978 (in particolare dagli articoli 27 ss.) e, per colmare le lacune proprie di tale disciplina, o per espresso rinvio della medesima si applicano le norme del codice civile (articoli 1571 ss. c.c.).
Con particolare riferimento alla forma del contratto, mentre per la locazione delle abitazioni, l'articolo 1 della lehhe n. 431/1998 ("Legge sulle locazioni abitative") stabilisce che per la valida stipula sia necessaria le forma scritta (a pena di nullità), nessuna simile previsione si rinviene all'interno della legge n. 392/1978.
In ragione di ciò, si ritiene in sentenza che per la locazione commerciale vige il principio della libertà della forma ai fini della validità dello stesso contratto, con la ragionevole conseguenza che possono ritenersi validi gli accordo verbali.
Dunque, i negozi realizzati in forma orale rispondono al principio pacta sunt servanda, sancito nel nostro ordinamento dagli articoli 1372 e 1376 c.c., regole secondo le quali il contratto ha forza di legge tra le parti.
Altresì osserva l'adita Corte che – sempre in tema di locazione immobiliare per uso non abitativo - è ammessa la registrazione tardiva con effetti ex tunc del contratto e che la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'articolo 2032 c.c., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'articolo 1705, II, c.c., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato articolo 2032, esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa.
Corte d'Appello Bari, sezione III, sentenza 12 maggio 2022 n. 770

CONDOMINIO
Condominio – Assemblea – Delibere – Impugnazioni
(Cc, articoli 1137, 1343)
Sottolinea in sentenza il Tribunale di Roma come l'articolo 1137 c.c. sottoponga inequivocabilmente al regime dell'azione di annullamento, senza distinzioni, tutte "le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento condominiale"; ciò vuol dire che sono annullabili non solo le deliberazioni assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato.
La preoccupazione del Legislatore di assicurare la certezza dei rapporti giudici di una entità così complessa, come il condominio degli edifici, spiega perché la relativa disciplina normativa sia improntata a un chiaro favore per la stabilità delle deliberazioni dell'assemblea dei condòmini, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal Giudice e perché, nel completo silenzio normativo, le sole ipotesi di nullità radicale di tali deliberazioni – ricavabili, pur sempre, dal sistema – siano assolutamente residuali e, cioè, quelle di: 1) mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali (una parvenza di volontà deliberante; un oggetto; una causa e la forma scritta sub specie di verbale), di guisa che l'atto che si pretenda di ricondurre al modello legale si riveli, invece, affetto da un'insanabile deficienza strutturale (o perché adottato senza la votazione dell'assemblea o perché privo di un contenuto determinato o almeno determinabile o di una ragione giustificativa meritevole di tutela o, infine, perché non risultante dal verbale); 2) impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico (perché quanto deliberato sia fisicamente inattuabile o esuli completamente dalle attribuzioni dell'assemblea); 3) illiceità (a norma dell'articolo 1343 c.c., perché quanto deliberato risulti contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume).
All'infuori di tali circoscritte ipotesi deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della deliberazione, denunziabile giudizialmente solo nei modi e nei tempi ex articolo 1137 c.c..
In particolare, le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, e quelle affette da vizi formali attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, non possono che essere considerate annullabili e, perciò non possono essere ritenute inefficaci in via meramente incidentale (in assenza, cioè, di un'esplicita domanda e se non con apposita pronunzia al riguardo).
Tribunale di Roma, sezione V, sentenza 9 maggio 2022 n. 7123

GARANZIE PERSONALI
Garanzie personali – Fideiussione – Contratto autonomo di garanzia – Differenze
(Cc, articoli 1322, 1945, 1952)
È affermazione del Tribunale di Bari, nella sentenza in esame, quella secondo cui la fideiussione e il contratto autonomo di garanzia sono annoverabili tra le garanzie personali che conferiscono al soggetto che ne beneficerà una pretesa creditoria da far valere nei riguardi del soggetto garante.
Il contratto autonomo di garanzia, espressione dell'autonomia negoziale ex articolo 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, contrariamente al contratto del fideiussore che garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante).
La causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale.
Ne deriva che, mentre il fideiussore è un vicario del debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
L'assenza dell'accessorietà della garanzia, che caratterizza il contratto autonomo di garanzia rispetto alla fideiussione, comporta l'esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all'articolo 1945 c.c., e la conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché ad opporre al garante tali eccezioni successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo, là dove l'accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante ha l'onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell'articolo 1952, II, c.c., allo scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore.
In ragione poi dell'assenza dell'accessorietà propria della fideiussione, il garante, nel contratto autonomo di garanzia, non può opporre eccezioni riguardanti il rapporto principale, ossia il rapporto di valuta, salva l'esperibilità del rimedio generale dell'exceptio doli, potendo però sollevare nei confronti del creditore eccezioni fondate sul contratto di garanzia.
Tribunale di Bari, sezione imprese, sentenza 10 maggio 2022 n. 1795

APPALTO
Appalto - Esecuzione delle opere – Danni a terzi – Responsabilità
(Cc, articoli 2043, 2051)
Secondo il Tribunale di Firenze dei danni cagionati a terzi durante e a causa dell'esecuzione dell'opera appaltata è direttamente responsabile l'appaltatore ex articolo 2043 c.c., quando questi svolge autonomamente la propria attività, organizzando e apprestando autonomamente i mezzi e curando le modalità esplicative, atteso che egli si è obbligato verso il committente a prestargli il risultato della sua opera: pertanto è l'appaltatore (o il soggetto che materialmente operava nel cantiere) che deve rispondere dei danni subiti da terzi, sempre che non vi sia prova che il committente abbia concorso, direttamente o indirettamente, nella produzione dell'evento dannoso con un fatto suo proprio.
Invero, può configurarsi una corresponsabilità del committente nel caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex articolo 2043 c.c., ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per culpa in eligendo, per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea, ovvero, quando l'appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive.
Altresì precisa l'adito Giudice che nei confronti dei terzi danneggiati dall'esecuzione di opere, effettuate in forza di un contratto di appalto, il committente è sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all'articolo 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell'immobile all'appaltatore ai fini dell'esecuzione delle opere stesse, bensì trova un limite esclusivamente nel caso fortuito.
La responsabilità del custode invero viene meno solo se sussiste il caso fortuito che può coincidere non automaticamente con l'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente bensì con una condotta dell'appaltatore imprevedibile e inevitabile nonostante il costante e adeguato controllo esercitato - se del caso - per il tramite del direttore dei lavori.
Tribunale di Firenze, sezione II, sentenza 10 maggio 2022 n. 1399

CONSULENTI FINANZIARI
Consulenti finanziari - Offerta fuori sede – Responsabilità
(Cc, articolo 2049; Dlgs 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 31)
Osserva in sentenza il Tribunale di Verbania come l'articolo 2049 c.c. configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del preponente per i fatti illeciti posti in essere dai preposti nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti, indipendentemente dal comportamento colposo o meno del preponente nella scelta o nella sorveglianza dei preposti.
Il preponente, in altri termini, servendosi di altri per lo svolgimento della propria attività d'impresa, si vede imputati, secondo il canone cuius commoda eius et incommoda, i danni che derivino a terzi.
In particolare, i presupposti a cui la citata disposizione codicistica collega la responsabilità dei preponenti sono due:
- il rapporto di preposizione, anche temporaneo o occasionale, purché caratterizzato, in fatto, da una manifestazione di volontà del dominus, che incarichi altri di svolgere una determinata attività nel proprio interesse;
- il fatto che l'illecito del preponente possa dirsi compiuto nell'esercizio delle incombenze a cui lo stesso è adibito. Al riguardo, non occorre che tra le mansioni espletate e il fatto dannoso ricorra un rigoroso rapporto di causa-effetto, essendo sufficiente un nesso di occasionalità necessaria. Basta cioè che le mansioni espletate dal preposto abbiano reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, trasgredendo gli ordini ricevuti e/o agendo con dolo nel proprio esclusivo interesse (ancorché tale comportamento costituisca reato), purché sempre nell'ambito delle sue mansioni, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di preposizione.
Alla luce di tale argomentare precisa ancora l'adito Giudice come la disposizione di cui all'articolo 31 del Dlgs n. 58/1998, appartenente alla medesima area concettuale dell'articolo 2049 c.c., nel porre a carico dell'intermediario finanziario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori, trova la sua ragion d'essere, per un verso, nel fatto che l'agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo la richiamata regola per cui ubi commoda et eius incommoda, e, per altro verso, e in termini più specifici, nell'esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall'intermediario per il tramite del promotore, giacché appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata.
Tribunale di Verbania, sentenza 10 maggio 2022 n. 187

LOCAZIONE FINANZIARIA
Locazione finanziaria – Natura giuridica – Contratti collegati
(Cc, articolo 1526; legge 4 agosto 2017, n. 124)
Osserva il Tribunale di Milano come il contratto di locazione finanziaria sia caratterizzato dalla presenza di due operazioni: la prima è un'operazione di finanziamento volta a consentire all'utilizzatore il godimento di un bene grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito, il concedente; la seconda operazione è un'ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente volta all'acquisto del bene del quale l'utilizzatore intende godere, attraverso la quale il concedente diventa proprietario del bene che darà in locazione all'utilizzatore da lui finanziato.
In particolare, nel leasing: se l'utilizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna pure a fronte di una consegna mancante od incompleta da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione o far constare il rifiuto nel relativo verbale), pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere alla propria obbligazione verso il fornitore e non gli è consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa oppure non è avvenuta né può legittimamente pretendere di sospendere il pagamento dei canoni; vi è l'obbligo per l'utilizzatore di comportarsi secondo buona fede nell'esecuzione del contratto stipulato con il concedente, con la conseguenza che anche la semplice negligenza nel firmare il verbale di ricezione della merce, lo vincola agli obblighi nascenti dalla locazione finanziaria, anche a fronte di una effettiva omessa consegna dei beni; fra concedente, utilizzatore e fornitore non è configurabile un rapporto trilatero, bensì si è in presenza di un collegamento negoziale tra due distinti contratti.
Infine, la legge n. 124/2017 ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione unitaria del contratto di leasing quale fattispecie negoziale autonoma, valorizzandone la causa di finanziamento e così distinguendola dalla vendita con riserva di proprietà, con la conseguenza che non può trovare spazio l'applicazione analogica dell'articolo 1526 c.c.
Tribunale di Milano, sezione VI, sentenza 12 maggio 2022 n. 4130

DANNO E RISARCIMENTO
Danno e risarcimento – Danno patrimoniale - Lucro cessante
(Cc, articoli 1223, 1226, 2056, 2059; Cp, articolo 185 )
Ai sensi del combinato disposto degli articoli 1223 e 2056 c.c., il risarcimento del danno patrimoniale deve comprendere il danno emergente (ovvero, le effettive perdite subite dal danneggiato rispetto all'epoca precedente all'avvenuta lesione) ed il lucro cessante (ovvero, il mancato guadagno, vantaggio, utilità che il soggetto leso avrebbe potuto conseguire se il fatto illecito non si fosse verificato).
Sul piano del diritto positivo, l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due richiamate forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.).
Con riferimento al profilo risarcitorio il Tribunale di Palermo osserva in sentenza come il criterio sussidiario di valutazione equitativa del danno, di cui all'articolo 1226 c.c.., sia utilizzabile - sempreché sia certa l'esistenza di un danno - solo se la sua precisa determinazione incorra in una impossibilità probatoria o, quanto meno, sia ostacolata da una rilevante difficoltà.
E, ancora, sottolinea come il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il Giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito.
Tribunale di Palermo, sezione III, sentenza 12 maggio 2022 n. 2023

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