Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 26 e il 29 aprile 2022

di Giuseppe Cassano

Durante questa settimana le Corti d'Appello intervengono in materia di: azione revocatoria fallimentare; indebito oggettivo; contratto di somministrazione (fornitura di acqua potabile); tutela dell'acquirente; mandato (differenze con la mediazione); adozione di minori.
A loro volta i Tribunali sono chiamati a pronunciarsi sul contratto d'opera professionale, sulla responsabilità contrattuale, sul contratto di vendita (in ipotesi dell'aliud pro alio), sulla spesa sanitaria pubblica.


AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE
Azione revocatoria fallimentare - Scientia decoctionis - Prova (Rd 16 marzo 1942, n. 267, articoli 66, 67)
La Corte d'Appello di Potenza osserva come, in tema di azione revocatoria fallimentare, la qualità di operatore economico qualificato della banca convenuta pur non integrando, da sola, la prova dell'effettiva conoscenza dei sintomi dell'insolvenza, impone di considerare la professionalità ed avvedutezza con cui normalmente gli istituti di credito esercitano la loro attività.
Con la conseguenza che la scientia decoctionis della prima non può escludersi solo perché, in sede di concessione o di rinnovo di un fido, abbia effettuato un qualunque esame dei bilanci della correntista poi fallita, concluso con la mera affermazione della sua solvibilità, dovendosi, piuttosto, verificare - per scongiurare analisi funzionali non all'accertamento della solvibilità del cliente, ma alla protezione della stessa banca da eventuali revocatorie – se sia stato svolto un esame critico ed attento della effettività, della coerenza e della congruità delle singole voci esposte nei bilanci, e se i criteri di giudizio in concreto utilizzati corrispondano o meno alla prassi degli istituti nella concessione del credito.
In tema di rapporti tra revocatoria fallimentare e revocatoria ordinaria, l'articolo 67 Rd n. 267/1942 (Lf) non facendo alcun riferimento alla sorte dei diritti di coloro che abbiano subacquistato dal primo acquirente del debitore fallito, è inapplicabile agli atti di acquisto dei subacquirenti, dovendosi fare riferimento in questa ipotesi al regime giuridico dell'azione revocatoria ordinaria con salvezza dei diritti acquistati a titolo oneroso da terzi di buona fede.
Dunque, l'azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare, ai sensi dell'articolo 66, comma II, Lf nei confronti dei terzi aventi causa del primo acquirente del fallito, pur presupponendo l'esercizio della revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto dispositivo posto in essere dal fallito che è all'origine della catena dei trasferimenti, e la conseguente dichiarazione d'inefficacia di tale atto, è una revocatoria ordinaria, il cui accoglimento presuppone l'accertamento della mala fede del subacquirente, consistente nella consapevolezza della revocabilità, ai sensi dell'articolo 67 cit., del trasferimento intervenuto tra il primo dante causa ed il debitore fallito.
Consegue che il Giudice, pronunciata l'inefficacia dell'atto dispositivo che sta all'origine della catena dei trasferimenti, deve accertare se il primo acquirente abbia compiuto un atto di disposizione del bene così acquistato, impedendo la sua retrocessione in favore della procedura concorsuale, nella consapevolezza delle circostanze che rendevano revocabile l'atto compiuto dal fallito.
Corte d'Appello di Potenza, sentenza 27 aprile 2022 n. 283

INDEBITO OGGETTIVO
Indebito oggettivo – Accipiens – Buona fede – Presunzione (c.c., articolo 2033)
Osserva la Corte d'Appello di Lecce come, in materia di indebito oggettivo, la buona fede dell'accipiens al momento del pagamento sia presunta per principio generale, sicché grava sul solvens che faccia richiesta di ripetizione dell'indebito, al fine del riconoscimento degli interessi con decorrenza dal giorno del pagamento stesso e non dalla data della domanda, l'onere di dimostrare la malafede dell'accipiens all'atto della ricezione della somma non dovuta.
Occorre, in tema, ricordare il principio di diritto secondo cui chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell'accipiens l'azione di indebito oggettivo per la somma pagata in eccedenza, ha l'onere di provare l'inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta. E al contempo sottolineare che l'azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione di un provvedimento giudiziale, provvisoriamente esecutivo, successivamente riformato in sede di sua impugnazione, non si inquadra nell'istituto della condictio indebiti (articolo 2033 c.c.), sia perchè si ricollega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente al provvedimento stesso, sia perchè il comportamento dell'accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi dell'articolo 2033 c.c. non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti.
L'articolo 2033 c.c. riguarda, invero, un pagamento eseguito nell'ambito un rapporto privatistico, pur se erroneamente ritenuto, e non nell'ottemperanza di un atto pubblico autoritativo.
Corte d'Appello di Lecce, sezione I, sentenza 28 aprile 2022 n. 495

CONTRATTO DI FORNITURA
Contratto di fornitura di acqua potabile – Somministrazione – Obblighi per le parti (c.c., articoli 1341, 1342, 2214, 2709)
Secondo quanto argomentato dalla Corte d'Appello di Messina il contratto di fornitura di acqua potabile deve essere ricondotto nell'ambito del contratto di somministrazione, che genera obbligazioni nei confronti dei soggetti che lo stipulano, di guisa che il somministrante può pretendere il pagamento del corrispettivo all'altro contraente.
Nel contratto di somministrazione le prestazioni che ne costituiscono l'oggetto si effettuano ad intervalli periodici o continuativamente, costituendo un rapporto di durata; ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle atre prestazioni pur non frantumandosi, con la pluralità delle prestazioni, l'intrinseca unità contrattuale e non dandosi vita ad una pluralità di negozi giuridici.
Una volta provata l'esistenza del vincolo contrattuale (utenza acqua) il contraente è tenuto al pagamento dell'acqua somministrata, ancorchè non fruita personalmente, così che unico soggetto contrattualmente obbligato nei confronti dell'azienda erogatrice è l'intestatario dell'utenza, non costituendo la proprietà dell'immobile valida fonte dell'obbligazione di pagamento ed essendo, semmai, esperibile nei confronti degli effettivi utilizzatori della fornitura l'azione di indebito arricchimento. Il contratto di utenza acqua è un contratto di somministrazione a prestazione continuativa posto in essere con adesione ad un contratto con moduli prestampati predisposti da una parte contraente (articoli 1341, 1342 c.c.) a cui il soggetto è obbligato a sottostare per poter avere la fornitura del servizio.
La particolarità di tale contratto sta nel fatto che lo schema è in parte direttamente fissato da provvedimenti legislativi o amministrativi pur conservando natura contrattuale di diritto privato (i rapporti tra società concessionaria e utente sorgono e si muovono nell'ambito di un diritto soggettivo perfetto).
La bolletta emessa nell'ambito del rapporto di utenza ha natura di atto unilaterale (fattura commerciale) ed è inidonea, in quanto documento proveniente dalla parte che se ne avvale, a fornire la prova del credito in esso indicato (articoli 2214 e 2709 c.c.)
Corte d'Appello di Messina, sezione I, sentenza 28 aprile 2022, n. 272

ACQUIRENTE
Acquirente – Vizi della cosa veduta – Tutela (c.c., articoli 1492, 1494)
In sentenza la Corte d'Appello di Milano precisa come l'azione di risarcimento dei danni riconosciuta in favore del compratore dall'articolo 1494 c.c. per vizi della cosa venduta sia autonoma rispetto alle azioni di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo che, in relazione ai medesimi vizi, gli vengono attribuite dall'articolo 1492 c.c..
Essa può essere esercitata anche da sola, purché ricorrano i presupposti - comuni alle altre due azioni - della tempestiva denuncia e dell'esistenza dei vizi, oltre che quello ulteriore della colpa del venditore, richiesto per l'azione risarcitoria. Di conseguenza, se l'azione di risoluzione sia stata rigettata perché i vizi, pur se accertati e tempestivamente denunciati, siano stati ritenuti dal giudice di merito di gravità tale da giustificare soltanto la riduzione del prezzo, e non la risoluzione del contratto, la domanda di risarcimento va presa in considerazione anche se l'azione di riduzione non è stata proposta, atteso il diritto del compratore ad ottenere in ogni caso dal venditore il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei vizi.
La garanzia per vizi della cosa sussiste per il solo fatto di non avere il venditore trasmesso una cosa in condizioni normali, cioè esente da vizi: essa ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma, a prescindere da ogni indagine sulla colpa del venditore.
La protezione del compratore si realizza attraverso la riduzione del prezzo (azione cosiddetta estimatoria o quanti minoris) e la risoluzione del contratto (azione cosiddetta redibitoria), mentre non compete al compratore l'azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta o la sua sostituzione, salvo che il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene (o nelle ipotesi di vendita dei beni di consumo o garanzia buon funzionamento).
Mentre risoluzione e riduzione del prezzo, stanno fra loro in concorso alternativo, il risarcimento del danno si cumula sia con l'una che con l'altra e quindi con quella fra le due che venga scelta dal compratore, fermo restando che l'azione di risarcimento del danno può essere esercitata anche da sola, cioè senza chiedere né la risoluzione, né la riduzione del prezzo. La tipologia dei danni risarcibili varia a seconda che l'azione di danni sia proposta in via autonoma o sia invece congiunta alla domanda di risoluzione o di riduzione del prezzo.
Corte d'Appello di Milano, sezione IV, sentenza 28 aprile 2022 n. 1370

MANDATO
Mandato - Mediazione atipica unilaterale - Differenze
(c.c., articoli 1703, 1754, 1755; Legge 3 febbraio 1989 n. 39, articoli 2, 6)
È affermazione, in punto di diritto, dell'adita Corte d'Appello di Napoli quella secondo cui il conferimento di un incarico per la ricerca di una persona interessata alla conclusione di un affare a determinate condizioni prestabilite dà luogo a un mandato e non a una cosiddetta mediazione atipica unilaterale (riguardante solo una della parti interessate) o a una mediazione creditizia, allorché il pagamento della provvigione sia svincolato dall'esito dell'operazione, l'attività demandata abbia natura giuridica e sia insussistente il connotato dell'imparzialità.
In tal caso, l'incaricato ha l'obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione dell'affare e può pretendere il pagamento della provvigione dalla sola parte che gli ha attribuito l'incarico, senza necessità della sua iscrizione all'albo (ex articolo 2 della legge n. 39/1989), restando indifferente l'effettiva conclusione dell'affare.
Precisa così l'adita Corte come, accanto alla mediazione ordinaria, ricorra nella prassi una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale).
Tale contratto atipico ricorre ogni qual volta una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni.
In siffatta evenienza l'esercizio dell'attività di mediazione "atipica", quando l'affare abbia ad oggetto beni immobili, resta soggetto all'obbligo di iscrizione all'albo (ex articolo 2 cit.), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'articolo 6 della medesima legge del 1989, il diritto alla provvigione.
In conclusione, ai fini della differenziazione della fattispecie contrattuale di cui agli articoli 1703 ss. c.c. e la figura di cui agli articoli 1754 ss. c.c., rileva – sempre secondo l'adita Corte - l'insegnamento per cui il conferimento dell'incarico di reperire un acquirente dà vita a un contratto di mandato e non già a mediazione, giacché tale ultima figura è incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti. Ulteriormente, si richiama l'insegnamento per cui, in ipotesi di mandato, il mandatario è obbligato a compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante, e non attività meramente materiali.
Corte d'Appello di Napoli, sezione IX, sentenza 28 aprile 2022 n. 1779

MINORI
Minori – Abbandono - Adozione
(Legge 4 maggio 1983, n. 184, articoli 1, 8)
La Corte d'Appello di Palermo osserva, in punto di diritto, che ferma restando l'applicabilità della legge italiana al minore che si trovi nel territorio dello Stato e per il quale sia richiesta al Giudice italiano l'adozione - ovvero uno degli atti a monte (come la dichiarazione di adottabilità) - la giurisdizione in materia non può che essere attribuita al medesimo Giudice italiano.
Sottolinea, altresì, come le disposizioni della legge n. 184/1983 (articoli 1 e 8) esprimano l'esigenza che l'adozione del minore, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisca una misura eccezionale cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio.
Il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito, pertanto, solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali, idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il Giudice di merito deve dare conto.
Ai fini dell'accertamento dello stato di abbandono quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, non basta, pertanto, che risultino insufficienze o malattie mentali, anche permanenti, o comportamenti patologici dei genitori, essendo necessario accertare la capacità genitoriale in concreto di ciascuno di loro, a tal fine verificando l'esistenza di comportamenti pregiudizievoli per la crescita equilibrata e serena dei figli e tenendo conto della positiva volontà dei genitori di recupero del rapporto con essi.
Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre, quindi, nelle sole ipotesi nelle quali entrambi i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabili per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore.
Il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è espressamente tutelato dall'articolo 1 della legge n. 184/1983.
Ne consegue che il Giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno per rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento di tale tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, allora la dichiarazione dello stato di adottabilità è legittima.
Corte d'Appello di Palermo, sezione I, sentenza 28 aprile 2022 n. 11

INCARICO PROFESSIONALE
Incarico professionale – Conferimento – Onere probatorio
(c.c., artticoli 1218, 2697)
Osserva in sentenza il Tribunale di Firenze come, in ossequio ai criteri di riparto degli oneri probatori invalsi nella prassi in tema di azioni contrattuali, incombe sul professionista che agisca per il pagamento del compenso l'onere della prova del titolo negoziale della pretesa creditoria azionata, costituito dal conferimento dell'incarico e dallo svolgimento effettivo della prestazione professionale in favore del proprio (asserito) cliente.
La prova del contratto di prestazione d'opera intellettuale (in particolare, del conferimento dell'incarico professionale), in assenza di un obbligo legale di forma scritta ad substantiam, può essere fornita, da chi ne affermi l'esistenza, con ogni mezzo e può anche essere aggiunta mediante presunzioni.
Di conseguenza, quando sia contestata l'instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull'attore l'onere di dimostrare l'avvenuto conferimento, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al Giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva.
Soltanto una volta assolto dal professionista onerato un tale onere probatorio graverà sul cliente, convenuto per l'adempimento, la prova dell'avvenuto pagamento o di altri fatti impeditivi o estintivi dell'avversa pretesa.
Si fa così applicazione del principio di diritto secondo cui, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (articoli 1218, 2697 c.c.).
Tribunale di Firenze, sentenza 27 aprile 2022 n. 1230

RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE
Responsabilità contrattuale – presunzione di colpa – Danni - Onere della prova
(c.c., articolo 1223)
Osserva il Tribunale di Bari che, in tema di responsabilità contrattuale, trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all'attore-creditore solo l'onere della prova dell'inadempimento e dell'entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetta, per sottrarsi all'obbligo risarcitorio, dimostrare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili.
Ex articolo 1223 c.c. il risarcimento del danno dovuto all'inadempimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore (danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante) in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (nesso di causalità fra inadempimento e danno).
Di conseguenza, per l'insorgere del diritto al ristoro dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità.
In particolare il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della pretesa nel caso particolare, può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il Giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito.
Tribunale di Bari, sezione II, sentenza 28 aprile 2022 n. 1605

CONTRATTO DI VENDITA
Contratto di vendita - Vizi della cosa venduta – Aliud pro alio
((c.c., articoli 1453, 1495)
Secondo il Tribunale di Bologna, in tema di vendita, è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell'acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all'uso che abbia costituito elemento determinante per l'offerta di acquisto.
Inoltre, con particolare riferimento al rapporto intercorrente tra aliud pro alio e vizi di natura redibitoria chiarisce il Tribunale che: si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata al compratore qualora questa presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione o di fabbricazione che la rendano inidonea all'uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero appartenga ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita; si ha, invece, consegna di aliud pro alio che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ai sensi dell'articolo 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'articolo 1495 c.c., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta.
Con particolare riferimento ai trasferimenti immobiliari, si ritiene che: ricorra l'ipotesi di vendita di aliud pro alio qualora sussista il difetto assoluto d'abitabilità, oppure l'assenza delle condizioni necessarie per ottenerla a cagione d'insanabili violazioni della legge urbanistica; per potersi ravvisare la consegna di aliud pro alio, non è sufficiente che l'immobile sia stato realizzato in maniera difforme dal progetto assentito occorrendo che l'immobile stesso sia privo in maniera assoluta della licenza di abitabilità, oppure che non sussistano le condizioni per ottenerla a causa della presenza di insanabili violazioni urbanistiche; se l'acquirente espressamente rinunci al requisito dell'abitabilità (oppure esoneri il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza) non può chiedere giudizialmente la risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio.
Tribunale di Bologna, sezione II, sentenza 28 aprile 2022 n. 1114

SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO
Servizio sanitario pubblico - Assistenza sanitaria – Spesa a carico della Pa
(Cost., articolo 117)
L'articolo 117 Cost. ha inserito la materia della tutela della salute fra quelle di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, consentendo così di diversificare l'organizzazione dei modelli regionali. Ha poi riservato alla legislazione esclusiva dello Stato la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio", individuando, così, un contenuto minimo essenziale del diritto alla salute, rappresentato dalle prestazioni necessarie ad assicurare una esistenza libera e dignitosa a chi ha bisogno di cure e alla sua famiglia, non comprimibile da esigenze relative all'equilibrio della finanza pubblica.
E così, alla luce della richiamata norma costituzionale, sottolinea l'adito Giudice di Torino come, nel caso in cui una prestazione socioassistenziale prescinda dalla congiunta realizzazione dello scopo terapeutico (ossia nel caso in cui il ricovero in una struttura residenziale non sia accompagnato da un piano di cura personalizzato), la prestazione rimane estranea all'ambito dell'assistenza sanitaria obbligatoria.
Ferma restando la tendenziale autonomia delle prestazioni socio-assistenziali, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite se non congiuntamente all'attività di natura socio-assistenziale, sicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni, di natura diversa, debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria essendo dirette a consentire la cura della salute dell'assistito, e dunque la complessiva prestazione deve essere erogata a titolo gratuito.
E così la disciplina del servizio sanitario pubblico che assicura a tutti i cittadini livelli essenziali uniformi di assistenza sanitaria, con spesa interamente a carico della Amministrazione pubblica, concerne l'erogazione di prestazioni sanitarie o di prestazioni sanitarie inscindibili con quelle socioassistenziali, e presuppone, pertanto, che l'assistito debba essere sottoposto ad un programma di trattamento terapeutico riabilitativo o conservativo
Tribunale di Torino, sezione III, sentenza 28 aprile 2022 n. 1848

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