Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 22 e il 26 maggio 2023

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello affrontano i temi della protezione e custodia del paziente in ospedale, dell'azione revocatoria, della responsabilità precontrattuale, del danno biologico cosiddetto intermittente e, infine, dell'accesso al fondo del vicino.
Da parte loro i Tribunali trattano della chance non patrimoniale, della diligenza dei patronati nell'attività di consulenza, della responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, del trattamento pensionistico erogato dagli enti previdenziali privatizzati e, infine, del rapporto di prestazione d'opera professionale.


CONTRATTO
Contratto di spedalità – Obbligazioni – Obbligazione di protezione e custodia

(L. 13 maggio 1978, n. 180)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Salerno che il contratto atipico di assistenza sanitaria si sostanzia in una serie complessa di prestazioni che la struttura eroga in favore del paziente, sia di natura medica, che latu sensu di ospitalità alberghiera, nonché di obbligazioni di assistenza e protezione; fattispecie, tutte, destinate a personalizzarsi in relazione alla patologia del soggetto e alle condizioni nelle quali viene svolto il rapporto.
Con particolare riferimento all'estensione e al contenuto dell'obbligo di vigilanza e attività di controllo afferente alla sfera assistenziale, esso varia in funzione delle circostanze del caso concreto: l'obbligo è tanto più stringente quanto maggiore è il rischio che il degente possa causare danni o patirne.
Detta obbligazione di protezione e custodia, accessoria a quella principale di cura, costituisce oggetto del contratto di spedalità allorquando i destinatari dell'assistenza ospedaliera siano persone di menomata o mancante autotutela per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale e, talora, massima della cura.
Nei confronti di una persona ospite di reparto psichiatrico, o di altra struttura equipollente, ancorché non interdetta né sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della legge n. 180/1978, la configurabilità di un dovere di sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo.
È dunque configurabile la responsabilità della struttura sanitaria per i danni a sé provocati da un paziente in condizioni di disagio psichico, che si sia rivolto al pronto soccorso e sia stato lì lasciato solo in una stanza, affidato esclusivamente alla sorveglianza di un suo parente, atteso l'inadempimento della struttura stessa nel vigilare sulla sicurezza del soggetto in menomate condizioni di capacità di intendere e di volere, poiché l'ospedale è tenuto a spiegare un atteggiamento di protezione differenziato, a seconda della patologia lamentata dalla persona ricoverata, sin dalla fase di primo intervento.
Corte di Appelllo di Salerno, sezione I, sentenza 23 maggio 2023 n. 675

GARANZIA PATRIMONIALE
Azione revocatoria ordinaria – Adempimento di debito scaduto – Onere della prova
(c.c., articoli 1209, 2697, 2740, 2901)
In sentenza l'adita Corte d'Appello di Brescia si sofferma in tema di revocatoria ordinaria quale azione preordinata unicamente a preservare, e garantire, il diritto del creditore di agire in via esecutiva sul patrimonio del proprio debitore, cosicché resti salva la garanzia patrimoniale generica spettantegli ex articolo 2740 c.c. e si ricostituisca quel patrimonio nella sua consistenza qualitativa e quantitativa anteriore all'atto dispositivo, attualmente o potenzialmente pregiudizievole.
Osserva così che sulla parte la quale deduca l'irrevocabilità della vendita a norma dell'articolo 2901, III, c.c., incombe l'onere di provare che la vendita sia stata necessaria per l'adempimento di un debito scaduto.
Tale principio si giustifica con la considerazione che la finalizzazione del pagamento all'estinzione di un debito scaduto — e di qui, quale atto dovuto, anche la vendita strumentale a detto pagamento — si colloca dal versante dei fatti impeditivi all'accoglimento dell'azione revocatoria, con l'ulteriore conseguenza che, in applicazione del secondo comma dell'articolo 2697 c.c., la relativa prova — una volta provato dall'attore il fatto costitutivo - grava sul convenuto in revocatoria.
Se l'adempimento di un debito scaduto non è soggetto a revocazione, e se tale esenzione trova la sua ragione giustificatrice nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore, una volta che si siano verificati gli effetti della mora di cui all'articolo 1209 c.c., allora questa esclusione trova applicazione anche con riferimento all'azione revocatoria esercitata avverso l'alienazione di un bene immobile da parte del debitore qualora il relativo prezzo sia stato destinato, anche in parte, al pagamento di debiti scaduti del venditore-debitore, atteso che, in tale ipotesi, la vendita riveste carattere di strumentalità necessaria nei riguardi del soddisfacimento di debiti scaduti, che è da sola sufficiente ad impedire la revocabilità dell'atto di disposizione.
Quanto innanzi a condizione, però, che venga accertata la sussistenza della necessità di procedere all'alienazione, quale unico mezzo al quale il debitore, privo di altre risorse, poteva fare ricorso per procurarsi il denaro, salva restando la revocabilità degli ulteriori atti con i quali il debitore abbia disposto della somma residua.
Corte di Appello di Brescia, sezione I, sentenza 24 maggio 2023 n. 873


RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità precontrattuale – Contraente in buona fede - Tutela
(c.c., articoli 1337, 1338)
Nella sentenza in esame la Corte d'Appello di Cagliari-Sassari fa applicazione del principio di diritto secondo cui la norma dell'articolo 1338 c.c., finalizzata a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dalla ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta e che non era nei suoi poteri conoscere, è applicabile a tutte le ipotesi di invalidità del contratto, e pertanto non solo a quelle di nullità, ma anche a quelle di nullità parziale e di annullabilità, nonchè alle ipotesi di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche in tal caso si riscontra la medesima esigenza di tutela delle aspettative delle parti al perseguimento di quelle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del contratto medesimo.
Occorre poi ricordare che quando la causa di invalidità del negozio derivi da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali - cioè - da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell'altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l'esistenza delle norme stesse.
Anche nel diritto amministrativo è applicabile un principio corrispondente a quello di cui all'articolo 1338 c.c. e così, chi chiede il rilascio di un provvedimento amministrativo, in assenza dei relativi presupposti, e dunque chiede ciò che non ha titolo di ottenere, non si può dolere del fatto che, in applicazione doverosa del principio di legalità, il provvedimento medesimo sia annullato o in sede giurisdizionale (su ricorso di chi vi abbia interesse) o in sede di autotutela (da parte dell'autorità emanante).
Fermo restando che è il Giudice a dover verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell'univocità dell'interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l'invalidità.
Corte di Appello di Cagliari, sez. dist. Sassari, sentenza 24 maggio 2023 n. 171


RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Danno biologico - Danno biologico intermittente – Risarcimento

Secondo la Corte d'Appello di Catanzaro per il danno biologico cd. intermittente non può trovare applicazione il criterio risarcitorio normalmente utilizzato ai fini della liquidazione del danno alla persona nell'ipotesi in cui il danneggiato sia ancora in vita, poiché esso si basa sull'astratta previsione di vita media del soggetto (danno futuro), mentre, ove il danneggiato sia deceduto per causa indipendente dalla lesione, si dovrà adottare un criterio che circoscriva la liquidazione al lasso di tempo trascorso tra la lesione e la morte (danno passato).
Più precisamente, la difficoltà alla base dell'utilizzo del sistema tabellare ordinario per la liquidazione del danno intermittente risiede nel fatto che detto criterio di liquidazione considera il fattore anagrafico come elemento significativo per calcolare l'aspettativa di vita, aspettativa che è considerata in relazione ad un evento (il decesso) ancora incerto; ciò perché il punto percentuale di invalidità tabellare viene calcolato anche sul presupposto che la persona danneggiata sia ancora in vita.
Quando, però, il danneggiato muoia prima che gli sia stato liquidato il risarcimento, la durata della vita è nota, non costituendo più un dato incerto e presunto ma un dato reale.
È così affermato, in punto di diritto, il principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno biologico, ove la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, l'ammontare del danno spettante agli eredi del defunto iure successionis deve essere parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella probabile, in quanto la durata della vita futura, in tal caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica, ma è un dato noto.
Invero, ai fini della liquidazione del danno biologico, l'età in tanto assume rilevanza in quanto con il suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Ne consegue che quando la durata della vita futura è un dato noto (essendo il soggetto deceduto), allora il danno biologico (riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni) va correlato alla durata della vita effettiva.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione II, sentenza 24 maggio 2023 n. 632


SERVITU'
Accesso al fondo del vicino – Condizioni - Limiti
(c.c., articolo 843)
Secondo la Corte d'Appello di Messina l'accesso al fondo del vicino per la manutenzione di parti del proprio immobile, diversamente non accessibili, non può sostanziarsi in un indiscriminato e permanente permesso di accesso, atteso che la richiesta di tale accesso deve essere riconosciuta, ai sensi del primo comma dell'articolo 843 c.c., "sempre che ne venga riconosciuta la necessità".
Ne discende che la mera richiesta di accesso con generica motivazione, e senza prova della corrispondente necessità, non costituisce un diritto del richiedente.
In tema di limitazioni legali della proprietà, gli accessi e il passaggio che, ai sensi della citata norma codicistica, il proprietario deve consentire al vicino per l'esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, danno luogo a un'obbligazione propter rem e non possono determinare la costituzione di una servitù.
Il richiedente non può vantare un diritto di ingresso nel fondo del suo vicino in forma continuativa e senza alcun previo preavviso. Il disposto dell'articolo 843 c.c. non lo consente; conferma di ciò si rinviene proprio nella natura di obbligazione propter rem che presuppone la collaborazione della controparte, dando vita ad un rapporto obbligatorio di durata temporanea non assimilabile, per la mancanza di una perpetua causa servitutis, ad una servitù prediale.
Ai fini della verifica delle condizioni di cui all'articolo 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio.
Ne consegue che, ove il Giudice pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi "aliunde" l'invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità.
Corte di Appello di Messina, sezione II, sentenza 24 maggio 2023 n. 447

RESPONSABILITÀ SANITARIA
Responsabilità sanitaria – Danno da perdita di chance – Chance non patrimoniale

Adito in tema responsabilità medica il Tribunale di Arezzo osserva che il danno da perdita di chance costituisce una sottospecie del danno emergente, consistendo nella lesione di un'aspettativa attuale di risultato.
Rimarca poi le differenze morfologiche che sussistono tra chance patrimoniale (in cui preesiste un quid patrimonialmente apprezzabile che consente di parametrare il danno al valore del risultato perduto) e chance non patrimoniale (in cui il risarcimento va commisurato, in via equitativa, alla possibilità perduta di realizzare un risultato; possibilità che, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza).
La chance patrimoniale presenta in apparenza le stimmate dell'interesse pretensivo, postulando la preesistenza di una situazione positiva, ovvero un quid su cui andrà ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa.
La chance non pretensiva, rappresentata anch'essa (e segnatamente nel sottosistema della responsabilità sanitaria), sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente, diverge strutturalmente dalla prima, ogni volta che l'apparire del sanitario sulla scena della vicenda patologica lamentata dal paziente coincide sincronicamente con la creazione di una chance, prima ancora che con la sua (eventuale) cancellazione colpevole, e si innesta su di una preesistente situazione non favorevole (patologica) rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un quid inteso quale pregresso positivo, e positivamente identificabile ex ante.
E cioè a dire, il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell'intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance, allo stato inesistente senza l'intervento dello stesso medico.
Ne consegue che il Giudice di merito è chiamato a tener conto, in una prospettiva strettamente equitativa, di tale diversità nella liquidazione del danno: se in sede di accertamento del valore di una chance patrimoniale è spesso possibile il riferimento a valori oggettivi, diverso è il criterio di liquidazione da adottare per la perdita di una chance a carattere non patrimoniale, rispetto alla quale il risarcimento non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato, in via equitativa, alla possibilità perduta di realizzarlo.
Tribunale di Arezzo, sentenza 23 maggio 2023 n. 489


PREVIDENZA E ASSISTENZA
Istituti di patronato – Attività di consulenza - Diligenza
(c.c., articoli 1176, 1710; legge 152/2001, articolo 10)
Il Tribunale di Bologna, chiamato a fornire la corretta esegesi dell'articolo 10, III, L. 152/2001 (secondo cui "gli istituti di patronato possono svolgere attività di consulenza e trasmissione telematica di dati in materia di assistenza e previdenza sociale") osserva che la facoltà ivi prevista di solito riservata alle categorie dei professionisti delle categorie protette (avvocati; consulenti del lavoro) – ha una doppia veste.
Da un canto, rientra nel mandato (che, nel caso degli avvocati del processo civile, li rende anche procuratori, dunque rappresentanti, della persona che difendono); d'altro canto, la prestazione ha anche un valore di prestazione d'opera di tipo intellettuale.
In relazione alla prima funzione, si tratta di un rapporto di mandato con assistenza e rappresentanza: l'istituto di patronato assume l'onere di svolgere, tramite il potere di rappresentanza, atti giuridici i cui effetti si sarebbero riversati direttamente nella sfera del mandante-assistito e sono ad esso immediatamente riferibili.
Alla funzione di mandato con rappresentanza, che, come tale, già onera il mandatario di obblighi di diligenza (articolo 1710 c.c.), si aggiunge una diligenza specifica che rende questo contratto anche un contratto di assistenza, dunque una prestazione d'opera.
Dunque il patronato, con il contratto per attività di consulenza e trasmissione telematica di dati, rappresenta e assiste l'utente.
In un normale mandato, la diligenza richiesta è quella ordinaria (che si identifica con ciò che è lecito attendersi da qualunque soggetto con media avvedutezza e accortezza, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 1176 c.c.); quando il contratto di mandato è stipulato per far fronte a delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un attività professionale, la diligenza è quella del II comma dell'articolo 1176 c.c..
Vero è che la seconda parte dell'articolo 1710 c.c. prevede che, nel caso in cui il mandatario non riceva un compenso per la propria opera, la responsabilità per colpa viene valutata con minor rigore; tuttavia, una volta accertata la responsabilità del mandatario egli è comunque tenuto a risarcire il danno.
Tribunale di Bologna, sezione II, sentenza 23 maggio 2023 n. 1107

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Rovina e difetti di cose immobili – Accertamento – Responsabilità
(c.c., articoli 1669, 2043)
Precisa in sentenza il Tribunale di Busto Arsizio che, in tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l'articolo 1669 c.c. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell'appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore - costruttore), due ulteriori termini: uno di decadenza, per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti, di un anno dalla "scoperta" dei vizi o difetti, e l'altro di prescrizione, per l'esercizio dell'azione di responsabilità, di un anno dalla denuncia. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere.
In particolare, il termine decennale non è previsto quale termine né di prescrizione né di decadenza, ma è semplicemente il termine finale di un rapporto sostanziale: se gli eventi si verificano entro tale termine l'appaltatore è tenuto all'integrale risarcimento.
L'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell'articolo 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella posta dagli articoli 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, rientra nei compiti propri del Giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto.
Al Giudice di merito spetta altresì stabilire - con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato - se le acquisizioni processuali siano sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell'immobile.
Con la precisazione che la condotta negligente del subappaltatore, che integra inadempimento contrattuale nei confronti del subappaltante, ben può dar luogo a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti del committente originario, mentre non può ingenerare una sua responsabilità ai sensi dell'art. 1669 c.c., presupponendo l'operatività di tale norma il rapporto diretto tra committente ed appaltatore.
Tribunale di Busto Arsizio, sezione III, sentenza 23 maggio 2023 n. 756

PREVIDENZA E ASSISTENZA
Enti previdenziali privatizzati – Trattamento pensionistico – Contributo di solidarietà
(Cost., articolo 23; c.c., articoli 2946, 2948; Dlga 509/1994; Rdl 1827/1935, articolo 129)
Il Tribunale di Roma chiarisce in sentenza che gli enti previdenziali privatizzati non possono adottare, sia pure in funzione dell'obbiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall'incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (quale è un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del "pro rata" e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex articolo 23 Cost., la cui imposizione è riservata al Legislatore.
Con la precisazione, ancora, che in materia di previdenza obbligatoria (quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del Dlgs n. 509/1994) la prescrizione quinquennale prevista dall'articolo 2948, n. 4, c.c. - così come dall'articolo 129 Rdl n. 1827/1935 - richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell'assicurato, sicché, ove sia in contestazione l'ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all'articolo 2946 c.c..
Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l'applicazione del medesimo, la differenza tra l'importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi "pagabile" e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell'articolo 2948 c.c., ma quella decennale ordinaria dell'articolo 2946 c.c..
Tribunale di Roma, sezione lavoro I, sentenza 23 maggio 2023, n. 5309

PROFESSIONISTI
Rapporto di prestazione d'opera professionale – Corrispettivo – Onere della prova
(c.c., articoli 2230, 2233)
Secondo il Tribunale di Brindisi, presupposto essenziale e imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento del compenso.
Infatti, allorché si verta in ipotesi di prestazione d'opera professionale intellettuale, che si assume richiesta dal cliente, si è in presenza di un vero e proprio contratto, come lo qualifica l'articolo 2230 c.c. individuandolo alla stregua di una sotto categoria del contratto d'opera.
Ciò comporta che in merito a detto contratto vi sia stato uno scambio di consensi, costituito dalla proposta contrattuale, nonché dell'accettazione (in genere espressa per fatti concludenti) dal professionista, che esegue la prestazione richiesta. Ciò costituisce, prima ancora che un principio regolatore dei contratti di prestazione d'opera intellettuale, un principio regolatore dell'intera materia contrattuale.
La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia contestato dal convenuto sotto il profilo della mancata instaurazione di un rapporto siffatto, deve essere fornita dall'attore, che ha l'onere di dimostrare l'an del credito vantato e l'entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del compenso.
L'onerosità del contratto d'opera professionale, che in genere ne costituisce elemento normale, come risulta dall'articolo 2233 c.c., non ne integra un elemento essenziale, né può essere considerato un limite di ordine pubblico alla autonomia contrattuale delle parti, le quali, pertanto, ben possono prevedere espressamente la gratuità dello stesso, per i motivi più vari, come l'affectio o la benevolentia ovvero ragioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio.
Con la precisazione che l'onerosità del contratto d'opera professionale è espressione di un principio generale della materia, in base al quale il compenso costituisce elemento essenziale del contratto di cui all'articolo 2230 c.c., che è di per se sinallagmatico, salvo il caso di rinuncia preventiva al compenso, allorchè le parti abbiano voluto un negozio a titolo gratuito, che deve essere pertanto provato e che non può, quindi, essere presunto.
Tribunale di Brindisi, sentenza 24 maggio 2023 n. 816

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