Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 23 e il 27 gennaio 2023

di Giuseppe Cassano

Le Corti d'Appello, nel corso di questa settimana, si pronunciano sull'obbligo indennitario dell'assicuratore, sul dovere generale di cautela, sulla demolizione di un immobile in comunione e, infine, sull'esercizio di attività pericolose.
Da parte loro i Tribunali trattano della risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, dell'usura bancaria, dell'efficacia probatoria del bilancio di una società approvato dall'assemblea, delle spese condominiali incombenti sui proprietari pro indiviso di un appartamento, dell'imputazione del pagamento al debito che il debitore intende soddisfare e, infine, della tutela del marchio.


ASSICURAZIONE
Assicurazione della responsabilità civile – Assicurato responsabile in solido – Obbligo indennitario
(Cc, articoli 1299, 1916, 1917, 2055)
La questione all'attenzione della Corte d'Appello di Firenze concerne, quanto al contratto di assicurazione della responsabilità civile, l'estensione dell'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, quando questi sia obbligato in solido con altro soggetto non assicurato e, quindi, sulla base della solidarietà passiva, sia tenuto, a richiesta del danneggiato, a pagare l'intero, salvo il successivo regresso nei confronti del coobbligato.
Afferma la Corte adita che, in tema di assicurazione della responsabilità civile, in un caso di tal fatta, l'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, nei limiti del massimale, non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell'assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma concerne l'intera obbligazione dell'assicurato nei confronti del terzo danneggiato, ivi compresa quella relativa alle spese processuali cui l'assicurato, in solido con il coobbligato, venga condannato in favore del danneggiato vittorioso, solo in tal modo risultando attuata - attraverso la conformazione della garanzia sulla obbligazione - la funzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile di liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento, ferma restando la surroga dell'assicuratore, nel diritto di regresso dell'assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale.
Una diversa interpretazione contrasterebbe con il tenore letterale dell'articolo 1917 c.c., secondo cui nell'assicurazione della responsabilità civile "l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi (...) deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto".
La limitazione della garanzia assicurativa alla quota di responsabilità priverebbe di concreta tutela l'assicurato rispetto alla quota di responsabilità posta a carico del condebitore solidale, nel caso in cui quest'ultimo sia insolvibile o di difficile solvibilità.
L'istituto della surrogazione dell'assicuratore, ex articolo 1916 c.c., consente, poi, alla società assicuratrice di rivalersi sul corresponsabile non assicurato, esercitando il diritto di regresso ex articolo 1299 c.c. o articolo 2055 c.c..
Corte di Appello di Firenze, sezione I, sentenza 24 gennaio 2023 n. 160

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità civile – Regole di condotta – Dovere di cautela
(Costituzione , articolo 2; Cc, articolo 1227)
Il dovere di generale cautela – così come osserva in sentenza l'adita Corte d'Appello di Milano - è previsto dal nostro ordinamento giuridico, e discende direttamente dal principio di solidarietà enunciato dall'articolo 2 Cost., operando nel senso che, quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Con la precisazione che l'espressione "fatto colposo" che compare nell'articolo 1227 c.c., non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi quale sinonimo di un comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
L'accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell'evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio fatti riservata esclusivamente all'apprezzamento del Giudice di merito.
E così, argomenta ancora la Corte meneghina, se una persona - che opera in autonomia nella preparazione dei cibi - si avvicina alla fiamma fino a bruciarsi, questo costituisce un comportamento imprudente e imprevedibile tale da interrompere il nesso causale tra la custodia dell'impianto per cucinare e l'evento dannoso.
Corte di Appello di Milano, sezione II, sentenza 24 gennaio 2023 n. 208

COMUNIONE
Comunione – Bene in comunione – Ordine di demolizione
(c.p.c., articolo 354)
Sottolinea in sentenza l'adita Corte d'Appello di Napoli come, nell'azione legale volta alla riduzione in pristino di una abitazione in proprietà, o in possesso, di più persone, una sentenza che venga pronunciata non nel contraddittorio di tutti i proprietari/possessori risulti invalida e inutiliter data, per il fatto che l'eventuale demolizione del bene comporterebbe pregiudizi per tutti tali soggetti, non essendo ipotizzabile una riduzione in pristino limitata alla quota di un solo comproprietario.
Se dunque l'azione diretta alla demolizione di un bene comune a più persone, dovendo necessariamente essere proposta nei confronti di tutte, dà vita ad una ipotesi di litisconsorzio necessario, allora di conseguenza, ove, nel giudizio di primo grado, sia mancata l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli interessati non citati a comparire, il giudice di appello è tenuto a rimettere la causa al primo giudice a norma dell'articolo 354 c.p.c., per la riassunzione del giudizio nei confronti di costoro.
Lo stesso è a dirsi con riferimento al giudizio avente ad oggetto una domanda di condanna alla demolizione di parte di un immobile in cui sono necessari contraddittori tutti i comproprietari pro indiviso del manufatto, in quanto, anche in questa ipotesi, stante l'unitarietà ab origine del rapporto dedotto in giudizio, una sentenza di demolizione pronunciata soltanto nei confronti di alcuni di essi sarebbe inutiliter data.
E così, se si agisce per la demolizione di un manufatto realizzato su una striscia di terreno in comproprietà con il coniuge del convenuto, pur se in base all'assunto attoreo soltanto questi è l'autore delle opere, il contraddittorio deve esser integrato nei confronti di entrambi i comproprietari e la relativa violazione è rilevabile anche per la prima volta in cassazione, se emerge dagli atti e sul punto non si è formato il giudicato.
Corte di Appello di Napoli, sezione II, sentenza 24 gennaio 2023 n. 272

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Attività pericolose – Accertamento giurisdizionale
(Cc, articoli 2043, 2050)
La Corte d'Appello di Torino si pronuncia in tema di responsabilità per l'esercizio di attività pericolose ex articolo 2050 c.c.. che non devono essere limitate alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di legge, ma devono essere estese a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche proprie dei mezzi adoperati, comportino una possibilità rilevante del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un'attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata, o dei mezzi impiegati per espletarla.
In particolare, la valutazione in termini di pericolosità concreta dell'attività, lungi dal poter essere effettuata ex post, deve essere condotta per il tramite di un ragionamento predittivo, di "prognosi postuma", sulla base dell'esame delle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attività, venendo in rilievo, non soltanto la probabilità dell'accadimento dannoso derivante da un'azione, ma anche dall'omissione di cautele che, in concreto, sarebbe stato necessario adottare in relazione all'attività esercitata, alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza
L'inquadramento di un'attività nell'ambito della suddetta norma codicistica comporta precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti: spetta all'attore provare il danno e la sua derivazione dall'attività pericolosa, mentre è onere del convenuto dimostrare non solo di non aver commesso alcuna violazione di legge o di comune prudenza, ma anche di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Orbene, osserva in particolare l'adita Corte piemontese che la responsabilità in esame implica l'accertamento di presupposti di fatto in parte diversi da quelli propri della responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 c.c., con relativa diversità delle due domande cosicché, qualora il danneggiato faccia valere l'un tipo di responsabilità, il Giudice non può ravvisare d'ufficio l'altro.
Con la precisazione che è contestualmente anche vero che tale diversità non impedisce al Giudice di prendere in considerazione la domanda ai sensi dell'articolo 2050 c.c., pur se introdotta formalmente ai sensi dell'articolo 2043 c.c., qualora nell'atto introduttivo del giudizio l'attore abbia enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee ad integrare la fattispecie di attività pericolosa.
Corte di Appello di Torino, sezione III, sentenza 24 gennaio 2023 n. 72

CONTRATTI
Contratti a prestazioni corrispettive - Risoluzione per inadempimento – Effetti
(Cc, articoli 1422, 1458, 1463, 2033)
Secondo il Tribunale di Latina, nei contratti a prestazioni corrispettive, l'efficacia retroattiva della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento (articolo 1458, I, c.c.), collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta per ciascun contraente, indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, l'obbligo di restituire la prestazione ricevuta.
Parimenti è a dirsi per la risoluzione dichiarativa di diritto, atteso che il venir meno della contratto determina il diritto di ripetizione delle somme corrisposte in esecuzione del contratto stesso; diversamente si avrebbe un indebito oggettivo ex articolo 2033 c.c., rilevato che disciplina della ripetizione dell'indebito ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di "pagamento", qualunque ne sia la causa.
Con la precisazione secondo cui, con il termine "pagamento", l'articolo 2033 c.c. si riferisce a qualsiasi prestazione derivante da un vincolo obbligatorio che risulti a posteriori non dovuta in quanto tale disposizione codicistica è volta ad apprestare un rimedio giuridico completo per tutte le situazioni in cui un'attribuzione patrimoniale a favore di taluno sia stata eseguita senza una giustificata ragione giuridica (a nulla rilevando che tale assenza sia originaria o sopravvenuta, totale o parziale).
L'irrilevanza della ragione per la quale il pagamento non sia dovuto si giustifica in virtù sia del tenore letterale della legge (la quale non fa distinzioni circa la ragione della "non spettanza" del pagamento), sia della storia dell'istituto (caratterizzata da un processo di accorpamento delle varie ipotesi di azioni di ripetizione previste dal diritto romano ed intermedio) sia, infine, della finalità della legge, che è di tutelare l'affidamento del terzo incolpevole.
Né può poi sottacersi, sotto il profilo sistematico, che tanto le norme in tema di nullità (articolo 1422 c.c.), quanto quelle in tema di risoluzione (articolo 1463 c.c.) espressamente rinviano alla disciplina dell'indebito: dal che si desume che quest'ultima ha senz'altro carattere generale, e si applica in tutti i casi di inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo giustificativo dell'attribuzione patrimoniale.
Tribunale di Latina, sentenza 24 gennaio 2023, n. 153

USURA
Usura – Usura sopravvenuta – Irrilevanza
(Legge 108/1996, articolo 2)
Secondo il Tribunale di Roma non è ipotizzabile, né giuridicamente rilevante, sostenere accanto all'usura genetica o contrattuale (è tale quella esistente, in epoca successiva alla legge n. 108/1996, al momento della conclusione del contratto o delle sue eventuali variazioni nel caso di esercizio dello ius variandi da parte della banca) la sussistenza della cosiddetta usura sopravvenuta (era tale quella che si caratterizzava per pattuizioni, che, pur se valide al momento della contrattazione, successivamente fossero venute a trovarsi disallineate rispetto ai valori numerici rilevati periodicamente ed espressi dai tassi soglia).
E dunque, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.
Inoltre, ai fini della determinazione del tasso soglia non è possibile procedere al cumulo materiale delle somme dovute alla banca a titolo di interessi corrispettivi e di interessi moratori.
Invero, per potersi dire sussistente l'usura bancaria, è necessario procedere al calcolo separato della incidenza degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori, stante la diversa funzione che gli stessi perseguono in relazione alla natura corrispettiva dei primi e di penale per l'inadempimento dei secondi, per i primi ricorrendo alle previsioni dell'articolo 2, IV, legge n. 108 cit., e per i secondi, ove non citati nella rilevazione dei decreti ministeriali attuativi della previsione legislativa de qua, comparando il tasso effettivo globale, aumentato della percentuale di mora, con il tasso effettivo globale medio del periodo di riferimento.
Orbene, nella sentenza, in esame, il Tribunale di Roma, da parte sua, precisa come, ove ricorra l'usurarietà del tasso di mora, ciò non ne comporta l'automatica estensione delle conseguenze (nullità della pattuizione) anche agli interessi convenzionali.
Tribunale di Roma, sezione XVII, sentenza 24 gennaio 2023 n. 1112

SOCIETÀ
Società – Bilancio – Efficacia probatoria
(Cc, articolo 2709)
Il bilancio di una società approvato dall'assemblea – afferma in sentenza il Tribunale di Bari - è vincolante per tutti i soci, anche quelli assenti o dissenzienti, e costituisce piena prova dei crediti della società nei confronti dei soci, ma solo quando i crediti siano indicati chiaramente nel bilancio.
Il principio della libera valutabilità da parte del Giudice di merito dei libri e delle scritture contabili, e quindi anche del bilancio, dell'impresa soggetta a registrazione, ai sensi dell'articolo 2709 c.c., non si estende ai rapporti fra società e socio, per essere agli stessi applicabile, anche con riguardo alle rispettive posizioni debitorie e creditorie il principio della vincolatività.
Infatti, è vero che a norma dell'articolo 2709 c.c. i libri e le scritture contabili – (e cioè tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attività svolta, anche in relazione ai documenti informatici, estrapolati legittimamente dai computer nella disponibilità dell'imprenditore, nei quali sia contenuta contabilità non ufficiale) e quindi anche il bilancio - dell'impresa soggetta a registrazione fanno prova contro l'imprenditore e non a suo favore (impregiudicata la loro libera valutabilità da parte del Giudice); ma è anche vero che tale regola non è invocabile nei rapporti fra società e socio, che sono retti dal principio della vincolatività delle deliberazioni assembleari.
E tale principio, affermato con riguardo ai soci dissenzienti che non abbiano provveduto ad impugnare la deliberazione nei modi e nei termini prescritti, a maggior ragione è destinato a valere nei confronti di un socio, il quale abbia concorso con il proprio voto favorevole all'approvazione di quella deliberazione.
Valendo il principio di vincolatività della deliberazione assembleare, soltanto la pronuncia di annullamento e/o nullità della delibera di approvazione può consentire al socio di sottrarsi al vincolo: ed infatti, il voto con cui il socio debitore ha concorso ad approvare in assemblea l'indicata situazione patrimoniale avrà valenza ricognitiva del debito.
Tribunale di Bari, sezione spec. impr., sentenza 25 gennaio 2023 n. 261

CONDOMINIO
Condominio – Spese condominiali - Condebito ad attuazione solidale
(Cc, articolo 1294; disp. att. c.c., articoli 67, 68)
Afferma, in punto di diritto, il Tribunale di Napoli che i comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'articolo 1294 c.c. (secondo cui nel caso di pluralità di debitori la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi.
Precisamente, l'obbligazione relativa alle spese condominiali incombente sui proprietari pro indiviso di un appartamento ha carattere solidale, sia perché l'obbligazione stessa viene determinata in funzione della porzione reale dell'immobile, sia perché i comunisti pro indiviso di una porzione non possono essere considerati direttamente condomini.
Rilevano per giungere a tale conclusione:
(a) l'articolo 68 disp. att. c.c., il quale prevede che le spese vanno corrisposte con riferimento al valore della singola entità immobiliare, considerata nella sua unitarietà;
(b) l'art. 67 disp. att. c.c., ai cui sensi qualora un piano o porzione di piano appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea condominiale (dal lato soggettivo dunque, nel caso di comunione inquadrata nel condominio quale elemento complesso, la comunione medesima viene riguardata, dal diritto positivo, più nel suo aspetto unitario che non in quello della scomposizione nei singoli diritti di proprietà sulla quota ideale).
Di conseguenza l'amministratore del condominio può esigere da ciascuno di essi l'intero ammontare del debito, salvo il regresso del solvens nei confronti dei condebitori, contitolari della stessa porzione di piano.
In altri termini, poichè l'obbligo del contributo grava sul titolare del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e poichè i comproprietari costituiscono, rispetto al condominio, un insieme, ciascuno è tenuto in solido verso il condominio.
Tribunale di Napoli, sezione IV, sentenza 25 gennaio 2023 n. 856

OBBLIGAZIONI
Rapporto obbligatorio di debito – Imputazione del pagamento – Dichiarazione del debitore
(Cc, articoli 1193, 1195)
Sottolinea il Tribunale di Potenza come, a norma dell'articolo 1193 c.c., se il debitore ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, quando effettua il pagamento, può dichiarare quale debito intende soddisfare e, in mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato dal creditore al debito scaduto, fra più debiti scaduti a quello meno garantito, fra più debiti ugualmente garantiti al più oneroso per il debitore e fra più debiti ugualmente onerosi al più antico.
Con la precisazione che, a fronte della dichiarazione del debitore che con il pagamento eseguito abbia indicato il debito che intendeva soddisfare, il creditore non può procedere ad una diversa imputazione del pagamento, essendo la dichiarazione del debitore ostativa all'applicazione di uno dei criteri sussidiari che consentono la dedotta diversa imputazione di pagamento ai sensi della citata disposizione codicistica.
Specificamente si pone un problema di imputazione del pagamento quando il debitore ha nei confronti del creditore più debiti della stessa specie e la prestazione non è sufficiente ad estinguerli tutti.
In questo caso, il debitore ha la facoltà di imputare il pagamento al debito che intende soddisfare, ovvero di determinare quale sia il debito che con il pagamento eseguito vuole estinguere; facoltà che viene esercitata mediante una dichiarazione unilaterale recettizia che può essere anche non espressa e il cui accertamento è comunque insindacabile in Cassazione.
In assenza dell'imputazione del pagamento ad uno specifico debito, operano le cennate regole sussidiarie di cui all'articolo 1193, II, c.c..
Inoltre, se il debitore non esercita tale facoltà, l'imputazione può essere fatta dal creditore in sede di rilascio della quietanza, ai sensi dell'articolo 1195 c.c., ed in questo caso, se il debitore riceve la quietanza, accetta anche l'imputazione compiuta dal creditore e non può più pretendere una diversa imputazione, fatta eccezione per le ipotesi specificamente previste in cui vi sia stato dolo o sorpresa da parte del creditore.
In conclusione, la imputazione del pagamento è una facoltà che inerisce ad un rapporto obbligatorio di debito - credito principale, che deve essere esercitata dal debitore all'atto del pagamento a pena di inefficacia e che se esercitata successivamente è efficace solo se vi sia il consenso del creditore.
Tribunale di Potenza, sentenza 25 gennaio 2023 n. 64

MARCHI E BREVETTI
Marchio – Registrazione – Preuso
(Dlgs 20/2005, articoli 12. 19)
Osserva il Tribunale di Milano come l'articolo 12 Dlgs. n. 30/2005 (CPI) regoli l'ipotesi di conflitto nell'uso del marchio, disciplinando le diverse fattispecie che possono verificarsi, e individui nel concetto di "novità" il criterio distintivo.
In considerazione di ciò, la registrazione di un marchio può considerarsi valida in quanto dotata del requisito della novità ai sensi dell'articolo 12, I, lett. a), CPI, purché non ricorra l'uso del segno anteriore da parte di un terzo (cd. preuso).
Tale ipotesi si verifica allorquando il segno anteriore sia caratterizzato da notorietà intesa quale conoscenza reale da parte del pubblico dei consumatori interessati, corrispondente a un radicamento della forza distintiva del segno in relazione al pubblico di riferimento.
La normativa, che tende a tutelare il soggetto che, senza registrare il marchio, ne abbia sempre fatto uso purché tale uso sia meritevole di tutela, ovvero sia qualificato dalla diffusione e della notorietà, chiede, però, che il terzo preutente di un marchio di fatto fornisca una prova rigorosa sia del preuso che della notorietà acquisita presso il pubblico di consumatori, tenuto conto che il preuso, nel prevalere sul dato formale della registrazione, prova ex lege l'invalidità della registrazione successiva per difetto di novità e inibisce conseguentemente al soggetto registrante l'uso del marchio stesso.
L'uso effettivo del segno deve essere ravvisato solo quando esso sia realmente utilizzato sul mercato per i prodotti e e/o i servizi per i quali è stato contrassegnato, dovendosi trattare di un impiego concreto e reale, non simbolico e/o sporadico del marchio, assolvendo in tal guisa allo scopo di rendere edotto il consumatore sull'origine del prodotto.
Ancora, in riferimento all'articolo 19, II, CPI, il quale prevede che: "non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede", osserva il Collegio adito che tale norma trova applicazione in tutte le ipotesi in cui, per una qualsiasi ragione, un soggetto possa vantare su un segno delle legittime aspettative che tuttavia non siano ancora "consolidate" in un diritto opponibile a terzi e in cui un altro soggetto, essendo a conoscenza di tali aspettative, anticipi il primo nella registrazione ostacolandone il progetto imprenditoriale.
Tribunale di Milano, sezione XIV, Trib. Imprese, sez. spec. impr. A, sentenza 26 gennaio 2023 n. 639

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