Penale

Truffa all'Inps, sospensione condizionale senza restituzione se non si è costituita la parte civile

La ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 23290 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Nel caso di truffa aggravata ai danni dell'Inps, la sospensione condizionale della pena non può essere subordinata alla restituzione dell'importo indebitamente riscosso – nel caso oltre 8mila euro –, se l'istituto di previdenza non si è costituito parte civile. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 23290 depositata oggi annullando (senza rinvio perché il reato si è prescritto) la decisione della Corte di appello di Salerno che aveva condannato la ricorrente a quattro mesi di reclusione e ancorato la sospensione alle restituzioni.

La giurisprudenza prevalente, spiegano i giudici di Piazza Cavour, contrariamente all'opinione della Corte di merito, è infatti ferma nel ritenere che il giudice non può subordinare la sospensione condizionale della pena, in difetto della costituzione di parte civile, all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni di beni conseguiti per effetto del reato, "perché queste, come il risarcimento, riguardano solo il danno civile e non anche il danno criminale, che si identifica con le conseguenze di tipo pubblicistico che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale e che assumono rilievo, a norma dell'art. 165 cod. pen., solo se i loro effetti non sono ancora cessati" (n. 3958/2013).

Si è dunque chiarito, prosegue il ragionamento della Seconda Sezione penale, quali siano i rapporti che intercorrono fra l'obbligo restitutorio di cui all'art. 165 c.p., comma I, prima parte, e l'obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose di cui all'art. 165 c.p., comma I, seconda parte, che, invece, può essere imposto d'ufficio dal giudice anche in assenza di costituzione di parte civile. Si è infatti evidenziato, con riguardo al tenore letterale della disposizione, che la locuzione "risarcimento danni e obbligo di restituzioni" si trova invariabilmente abbinata alle pretese della parte civile (artt.74, 538 e 578 c.p.p.) mentre con l'espressione "eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato", introdotta con la L. n. 689 del 1981, il legislatore ha inteso tutelare il bene giuridico protetto dalla norma penale violata mediante la riparazione del "danno criminale".

Del resto, prosegue la Corte, la differenza fra danno criminale e danno civilistico mentre è di immediata percezione per alcune tipologie di reati, in altri casi, come ad esempio con riguardo ai reati contro il patrimonio , può essere "più sfuggente". Ma è, comunque concettualmente enucleabile ove si consideri che la norma, facendo riferimento "all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato" ha, evidentemente inteso riferirsi agli effetti del reato che si protraggono nonostante il suo perfezionamento e che il reo ha la possibilità di far cessare".

Pertanto, mentre gli obblighi della restituzione e del risarcimento del danno di cui all'art. 165 c.p., comma 1, prima parte, devono essere riferiti al solo danno civilistico, con la conseguenza che, indipendentemente dalla natura giuridica del reato commesso, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento degli stessi solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui vi sia stata costituzione di parte civile e questa abbia formulato espressa domanda al riguardo, l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato di cui all'art. 165 c.p., comma I, seconda parte, concerne il danno criminale e la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'assolvimento del relativo obbligo può essere disposta dal giudice anche ove non vi sia costituzione di parte Civile, sempre che si tratti di reati permanenti o di reati che, benché consumati abbiano provocato un danno criminale che continua a perpetuarsi anche dopo la consumazione (come nei reati istantanei ad effetti permanenti) e che l'imputato ha la possibilità di eliminare.

Appare dunque impropria la riconduzione dell'obbligo di restituzione all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato e non condivisibile l'orientamento minoritario fatto proprio dalla sentenza impugnata (n. 1324/2014). In conclusione, in aderenza alla giurisprudenza dominante, "deve ritenersi che l'imposizione dell'obbligo delle restituzioni o del risarcimento del danno sia inscindibile dall'accertamento in sede penale di un credito del danneggiato che postula, nel sistema vigente, l'introduzione e la positiva delibazione nel processo della relativa domanda civile mediante l'atto di costituzione di parte civile".

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