Lavoro

Tutela dell'infortunio e rifiuto del lavoratore a sottoporsi al programma vaccinale

La tutela assicurativa è riconosciuta a condizione che il lavoratore provi l'origine professionale del contagio ovvero che la stessa sia accertata dal medico-legale, in caso di rifiuto di adesione al programma vaccinale possibile il ricollocamento e - ove non possibile - la sospensione

di Luca Barbieri, Aurora Beatrice Mamprin*


Con nota 1° marzo 2021, n. 2402, l'INAIL ha reso precisazioni in risposta a un quesito posto dall'Ospedale Policlinico San Martino di Genova in tema di tutela assicurativa nell'ipotesi in cui il personale infermieristico si rifiuti di sottoporsi al vaccino anti-Covid-19.

L'Istituto ha chiarito che, in carenza di una disposizione di legge che sancisca l'obbligo di vaccinazione, la mancata adesione al piano vaccinale da parte di un lavoratore non determina il venir meno della tutela infortunistica, che opera al ricorrere dei presupposti e delle condizioni stabiliti dall'ordinamento.

Seppur riferite al solo personale infermieristico, le considerazioni dell'Istituto consentono di svolgere argomentazioni ulteriori in relazione alla generalità dei lavoratori, in quanto incardinate su principi generali dell'ordinamento.

Come già precisato dall'Istituto con le precedenti circolari 3 aprile 2020, n. 13 e 20 maggio 2020, n. 22, il contagio da Covid-19 in occasione di lavoro si configura come infortunio in quanto la causa virulenta è equiparata a quella violenta.

L'assicurazione infortunistica comprende, quindi, tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta o virulenta ‘in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni' (art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124).

Fermo restando quanto sopra, è altresì opportuno precisare che in relazione a lavoratori tenuti a svolgere un'attività di lavoro che li espone a un elevato rischio di contagio - trattasi, ad esempio, i) di operatori sanitari e, più in generale, ii) di lavoratori che hanno un costante rapporto con il pubblico -, opera il principio di presunzione semplice, in base al quale l'origine professionale del contagio è presunta.

Diversamente, la tutela assicurativa è riconosciuta a condizione che il lavoratore provi l'origine professionale del contagio ovvero che la stessa sia accertata dal medico-legale.

La tutela antinfortunistica è riconosciuta al lavoratore a prescindere:

a) da un eventuale inadempimento dell'obbligo assicurativo da parte del datore di lavoro (soggetto assicuratore), ad esempio nel caso in cui lo stesso non adempia agli obblighi posti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (art. 67 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124);

b) da un'eventuale condotta colposa del lavoratore stesso (è il caso, ad esempio, dell'ipotesi in cui lo stesso vìoli l'obbligo di utilizzare dispositivi di protezione individuale).

La realizzazione di tali condotte incide infatti solo in materia di responsabilità civile o penale del datore di lavoro o del lavoratore, non avendo alcuna attinenza con la tutela assicurativa.
Ad esempio, la condotta colposa del lavoratore può comportare la riduzione o l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro, precludendo l'esercizio da parte dell'infortunato dell'azione volta al riconoscimento del risarcimento del danno così come l'esercizio dell'azione di regresso da parte dell'INAIL.

Il regime di tutela assicurativa è escluso nelle sole ipotesi di:
1) infortunio doloso (art. 65 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124);
2) rischio elettivo, configurabile quando per un atto volontario del lavoratore - illogico ed estraneo rispetto all'attività di lavoro svolta e mirante al perseguimento di impulsi personali -, questi si esponga ad un rischio diverso da quello lavorativo. In tale ipotesi, non essendo l'infortunio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa, l'Istituto non riconosce la tutela infortunistica.

Alla luce di quanto sopra, la tutela assicurativa è garantita anche quando il lavoratore rifiuti di vaccinarsi. Inoltre, la mancata vaccinazione da parte del lavoratore non può configurare l'ipotesi di rischio elettivo, in quanto verificandosi il contagio in occasione di lavoro, il lavoratore non si espone volontariamente a un rischio diverso da quello lavorativo (ipotesi di cui al precedente numero 2)).

Inoltre, richiamando l'art. 32, c. 2 della Costituzione, ai sensi del quale ‘nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge', l'Istituto ha rilevato come la legislazione vigente non contempli, almeno per il momento, alcun espresso obbligo del lavoratore di aderire al programma vaccinale, ribadendo come la sottoposizione a misure di profilassi non possa che essere espressione della libera scelta del lavoratore.

Invece, con riferimento alla gestione da parte del datore di lavoro dei lavoratori che non hanno aderito al piano vaccinale, è opportuno precisare come in data 17 febbraio 2021 il Garante per la protezione dei dati personali abbia espressamente puntualizzato che il datore non può acquisire, neppure tramite il medico compente, né i nominativi dei lavoratori vaccinati né copia delle certificazioni vaccinali (anche quando il lavoratore interessato abbia a ciò prestato il proprio consenso).

Dunque, quando nel corso dello svolgimento dell'attività di sorveglianza sanitaria il medico competente giudichi inidoneo alla mansione specifica il lavoratore in ragione del suo espresso rifiuto a sottoporsi al programma di vaccinazione, il datore di lavoro non potrà che adibire, ove possibile, il lavoratore stesso a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, inferiori, garantendo il trattamento retributivo corrispondente alle mansioni ‘di provenienza' (art. 42 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

Qualora non sia possibile adibire a mansioni equivalenti o inferiori detto lavoratore senza pregiudicare il regolare ed efficace funzionamento del sistema di prevenzione e protezione e del protocollo sanitario aziendale, il datore di lavoro non potrà che dispensare lo stesso dal prestare l'attività lavorativa sino a quando il medico non abbia giudicato l'interessato nuovamente idoneo allo svolgimento delle proprie mansioni.

Nel caso di specie, il datore di lavoro potrà valutare l'eventualità che durante il periodo di sospensione dell'attività di lavoro al lavoratore interessato non sia corrisposta la retribuzione.

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*A cura di Luca Barbieri e Aurora Beatrice Mamprin di ArlatiGhislandi e AG Studi e Ricerche

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