Lavoro

Un avvocato su tre pronto a lasciare la professione

L’avvocatura allo specchio: 140mila dei 241.830 iscritti alla Cassa di previdenza di categoria non raggiungono la soglia dei 30mila euro di reddito. Meno di 16mila avvocati, il 6,5%, si colloca sopra i 100mila euro di reddito

di Maria Carla De Cesari

L’avvocatura allo specchio: 140mila dei 241.830 iscritti alla Cassa di previdenza di categoria non raggiungono la soglia dei 30mila euro di reddito. Meno di 16mila avvocati, il 6,5%, si colloca sopra i 100mila euro di reddito. Nell’anno della pandemia, il reddito complessivo degli avvocati ai fini Irpef si è ridotto del 4,1% e si è attestato intorno agli 8,5 miliardi. Il volume d’affari ha subito una contrazione del 4,6% ed è sceso a 12,8 miliardi.

Il reddito medio dell’avvocato è stato di 38mila euro, il volume d’affari non ha raggiunto i 57mila euro.

Le medie, però, come si è visto prima nascondono una vertiginosa polarizzazione. Che non è, naturalmente, una malattia scoppiata ieri: la novità, semmai, è che il corpo dell’avvocatura, in mezzo alle difficoltà, non è più disposto a sopportare, costi quel che costi. Lo scorso anno – secondo i dati di Cassa forense, che ieri a Roma ha presentato il rapporto 2022 sull’avvocatura, in collaborazione con la Fondazione Censis – sono stati circa 8mila gli avvocati che hanno lasciato l’attività. Di questi circa 6mila sono donne. Le “dimissioni” dalla professione sono state favorite dalla riapertura dopo anni dei concorsi nella pubblica amministrazione, soprattutto nel segmento giustizia. Per questo, per la prima volta dal 1985 il saldo entrate/uscite è in rosso (- 3.200 unità).

Non necessariamente è un male il fatto che molti avvocati abbiano intrapreso la carriera nel pubblico impiego, visto che per anni si è censurato che la professione rappresentava l’unica chance di lavoro soprattutto al Sud. Tuttavia i numeri messi in fila da Cassa forense, insieme con Censis, costituiscono un appello alla responsabilità per le istituzioni di categoria.

Il progressivo ingresso nella professione di donne – uno dei processi che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’avvocatura – ha permesso di contenere l’invecchiamento della categoria, ma se si guarda la situazione dal punto di vista economico – si scrive nel rapporto – il contributo risente dei bassi redditi medi percepiti, circa la metà di quelli degli uomini.

Sui redditi giocano anche altre variabili: di territorio e di anzianità professionale. Nel Nord est, terra di imprenditoria, però, i giovani riescono a rompere il tabù dell’anzianità sul mercato e a raggiungere redditi di buon livello.

L’analisi numerica è stata accompagnata da un’indagine sul campo dei ricercatori Censis, che hanno analizzato circa 30mila questionari da cui emerge la percezione di sé degli avvocati: oltre il 61% di quanti hanno risposto hanno giudicato da molto critica ad abbastanza critica la situazione professionale. Solo poco più del 13% valuta migliorata la propria condizione. Il futuro è a tinte fosche per il 30% degli intervistati. Il 32,8% del campione pensa di lasciare la professione, in gran parte perché «è un’attività che comporta eccessivi costi e non è remunerativa». I mali visti dall’interno parlano di un mercato saturo, ma anche di instabilità normativa, di abnorme durata dei processi, di una burocrazia pervasiva. «L’avvocatura si trova a un punto di frattura – ha commentato Giorgio De Rita , presidente Censis – la fatica della professione che si sintetizza nella caduta dei redditi richiede un grande investimento sociale in competenza e specializzazione». Il rapporto – ha rimarcato Valter Militi, presidente di Cassa forense – ha l’ambizione di fornire uno strumento di lettura obiettivo della situazione in modo che tutte le componenti di categoria possano dare il loro contributo. Da qui la presenza, al seminario di Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense, e di Sergio Paparo coordinatore dell’Ocf, insieme con i rappresentanti delle associazioni.

Alcune risposte prova a suggerirle, in modo indiretto il rapporto: le imprese hanno sottolineato gli spazi professionali della consulenza legale e le aspettative positive verso gli avvocati. Poi ci sono le specializzazioni, anche se molti intervistati contrappongono il rischio di rompere il legame fiduciario con il cliente.

Il sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ha sferzato la platea: sì alle specializzazioni che devono essere gratuite o quasi e aggregazioni che gli Ordini dovrebbero promuovere. Le riforme della giustizia – ha concluso Sisto – hanno rimesso gli avvocati sl centro. «A questo punto dobbiamo essere buoni difensori di noi stessi».

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