Lavoro

Vietato licenziare ancora proroga del blocco per le aziende

Approvato il Decreto Legge n. 41 del 22 marzo 2021 recante "misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali connesse all'emergenza da COVID-19" (c.d. "Decreto Sostegni") che, tra le misure, stabilisce un ulteriore prolungamento del blocco dei licenziamenti sino al 30 giugno, con conseguente allungamento anche della cassa integrazione ordinaria fino a tale data e di quella in deroga fino al 31 dicembre.

immagine non disponibile

di Marco Proietti *

Approvato il Decreto Legge n. 41 del 22 marzo 2021 recante "misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali connesse all'emergenza da COVID-19" (c.d. "Decreto Sostegni") pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 70 del 22 marzo 2021 ed entrato in vigore il 23 marzo 2021 che, tra le misure, stabilisce un ulteriore prolungamento del blocco dei licenziamenti sino al 30 giugno, con conseguente allungamento anche della cassa integrazione ordinaria fino a tale data e di quella in deroga fino al 31 dicembre.

Si congelano i licenziamenti e la libertà di iniziativa economica privata.

Il divieto di licenziamento è stato introdotto inizialmente dal Decreto Cura Italia
(D.L. 18/2020) con decorrenza dal 17 marzo 2020, poi prorogato al 31 marzo 2021 con la Legge di Bilancio 2021 la n. 178/2020 e infine, come visto, portato fino al 30 giugno 2021; avrebbe dovuto essere una misura emergenziale, quindi transitoria, ed invece si è tramutata in un blocco di oltre un anno trasformandosi per una nuova occasione di confronto sui licenziamenti economici, gli unici effettivamente colpiti dalla misura in questione.

E' stata giustamente mossa più di una critica a questa misura, sia sul piano giuridico e di legittimità costituzionale, sia sul piano della politica economica in quanto lo scopo dichiarato del blocco è quello di evitare il disagio (per usare un eufemismo) che potrebbe essere arrecato da numerosi licenziamenti connessi alla crisi economica conseguente alle chiusure e, più in generale, alla situazione generata dalla pandemia.

Andiamo con ordine per vedere, in primo luogo in cosa consiste il divieto e quali sono i licenziamenti vietati fino al 30 giugno 2021, salvo proroghe.


IN COSA CONSISTE IL DIVIETO E LE FATTISPECIE ESCLUSE.

Il divieto colpisce tutti i licenziamenti economici siano essi individuali o collettivi, a prescindere dalle ragioni per le quali vengono intimati.

Riepilogando, infatti:

- tutte le procedure di licenziamento collettivo ex l. 223/1991 avviate dopo il 23 febbraio 2020 ma prima del 17 marzo 2020, sono sospese fino alla scadenza del divieto di licenziamento;

- tutte le procedure di licenziamento collettivo ex l. 223/1991 avviate dopo il 17 marzo sono semplicemente precluse, quindi l'azienda interessata dovrà procedere con una nuova comunicazione di apertura del collettivo al termine del blocco;

- i licenziamenti individuali determinati da ragioni economiche sono vietati, e le eventuali procedure avviate ai sensi della Legge Fornero sono sospese (art. 7, l. 604/1966).

Vi sono comunque delle eccezioni, ovvero dei licenziamenti che esulano dal blocco:

- licenziamento disciplinare, ovvero per giusta causa;

- licenziamento per intervenuto superamento del periodo di comporto;

- licenziamento a seguito di procedura di cambio appalto con conseguente assunzione da parte della nuova società appaltatrice;

- licenziamento a seguito di cessazione definitiva dell'attività oppure a seguito di fallimento senza esercizio provvisorio;

- risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, siglato con le OO. SS. comparativamente più rappresentativi o anche le RSA, ed erogazione di una somma a titolo di incentivazione all'esodo, con riconoscimento del contributo Naspi.

Il D.L. Sostegni ha prorogato il blocco con alcune modifiche.

Nel dettaglio il blocco dei licenziamenti è prorogato fino:

al 30 giugno 2021 per i lavoratori delle aziende che dispongono di CIG ordinaria e CIG straordinaria (soprattutto industria e agricoltura)

al 31 ottobre 2021 per i lavoratori delle aziende coperte da strumenti in deroga (soprattutto terziario).

Dal 1° luglio e fino al 31 ottobre 2021 il blocco dei licenziamenti è previsto per quei datori di lavoro che accedono alla cassa integrazione per le nuove settimane introdotte dal decreto Sostegni stesso.


COSA SUCCEDE ALL'ESTERO?

Non sembra che all'estero abbiano seguito la strada intrapresa in Italia.
Nessun divieto di licenziamento in Germania, Olanda e Francia, paesi nei quali vige una marcata legislazione sociale, molto simile a quella italiana, e ove è stato previsto unicamente un irrobustimento delle misure di sostegno al reddito; stessa sorte anche in Gran Bretagna, paese a tradizione liberista, ove restano in vigore le ordinarie norme sulla motivazione dei licenziamenti, mentre risulta introdotto un limite solo in Spagna che stabilisce il divieto per i 6 mesi successivi alla fruizione di un ammortizzatore sociale.

Perfino la Grecia non ha introdotto queste misure e come ci ricorda ZAMBELLI in
GL 2/2021, richiamando PROIA: in questo caso, infatti, è previsto un blocco per i licenziamenti solo se l'attività sia stata sospesa a causa di misure governative, ma con l'esonero dal pagamento sia della retribuzione che dei contributi.

Per una migliore disamina: L'Italia è l'unico Paese Ue con un blocco generalizzato

In sintesi, l'Italia è l'unica ad aver introdotto una misura cosi rigida, scaricando – di fatto – sulle imprese tutto il peso della crisi economica e tutti gli oneri, diretti e o indiretti, che derivano dalla impossibilità di licenziare: stremate dalle chiusure e dalle restrizioni per il Covid19, le imprese non possono avvantaggiarsi della possibilità di riorganizzare il proprio organico, alleggerendolo ove necessario, facendosi carico (meglio, sostituendosi) della previdenza sociale statale.

Ma c'è anche un secondo aspetto da analizzare, ovvero i dubbi profili di legittimità costituzionale.


UNA QUESTIONE COSTITUZIONALE.

Il divieto di licenziamento, oramai in vigore da oltre un anno, ha suscitato le perplessità di chi – sia tra i giuslavoristi che i costituzionalisti – considera lo stesso in contrasto con alcuni articoli della Costituzione, stante anche la durata prolungata nel tempo.

In primo luogo, è abbastanza evidente la violazione dell'articolo 41 in materia di libertà di iniziativa economica privata, atteso che – come già ripetuto – un conto è un blocco per alcuni mesi, determinato da ragioni emergenziali, ma diverso è il caso se il blocco prosegue ininterrottamente con una implicita abrogazione della legge 604/1966 che disciplina i licenziamenti individuali; è di dubbia ragionevolezza una norma che comprime il potere di licenziamento con l'intento di salvare i posti di lavoro ma che, evidentemente, rischia di mettere a repentaglio una più ampia platea di lavoratori, acuendo la crisi economica.

Senza considerare che il blocco ha definitivamente sancito una condanna per i rinnovi dei contratti a tempo determinato.

In secondo luogo, vi è chi (PROIA, GRANGOLI e ZAMBELLI) giustamente hanno rilevato una violazione o elusione dei principi sanciti negli articoli 38 e 42. Nel primo caso, riguardo agli obblighi previdenziali che sarebbero conseguenti ai licenziamenti (erogazione Naspi), nel secondo caso invece si è puntualmente evidenziato che il divieto prolungato di licenziamento costituisce una sostanziale forma di espropriazione della proprietà privata senza alcun indennizzo, in quanto all'imprenditore sarebbero sottratti gli strumenti finanziari per riorganizzare la propria attività e, se del caso, perfino di cessarla: in questo caso, fa notare giustamente ZAMBELLI come la tesi si possa considerare superata dal Decreto Agosto, seppur – ed è opinione di chi scrive – la violazione dell'art. 42 sembra permanere a tutti gli effetti in ragione dell'ingessamento a cui sono costrette le aziende.


QUALCHE RIFLESSIONE CONCLUSIVA

Come visto, il tema ha aperto un ampio dibattito. Sicuramente il blocco dei licenziamenti produce un effetto immediato, e di impatto psicologico, per chi – nonostante non stia lavorando – continui a conservare il posto di lavoro con l'auspicio, o la speranza, di poterlo riprendere quanto prima e senza nuove interruzioni; tuttavia l'effetto del divieto, come giustamente fatto notare da più parti, svolge la funzione del "nascondere la polvere sotto al tappeto", perché la crisi economica di interi settori impiegherà anni prima di essere risolta e comunque richiederà un profondo intervento da parte delle aziende, nella riorganizzazione di reparti, mansioni, orari, retribuzioni, quindi un vero e proprio piano industriale con relativi esuberi.

Come dire, licenziare nel 2022 invece che nel 2021, cambierà veramente poco e non vi è alcuna certezza che si potrà evitare questa conclusione.

Per altro, tale situazione finisce per legare la conservazione dei posti di lavoro alla CIG – ovvero congelare le aziende alla fase pre-Covid che, inevitabilmente, sarà diversa al suo termine – procrastinando situazioni di crisi e di precarietà economica che meriterebbero un intervento immediato, senza troppi vincoli ideologici. Liberare le energie del mercato per salvare i posti di lavoro è una scelta ritenuta migliore.

*a cura dell'Avv. Marco Proietti (Giuslavorista)

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©