Penale

Violenza privata se il Pm prospetta il carcere durante l’interrogatorio

L’indagine finita nel mirino dei giudici riguardava le pressioni fatte da due pm tranesi, nel 2015, su tre testimoni di un’inchiesta, relativa al pagamento di tangenti in cambio di appalti pubblici

di Patrizia Maciocchi

Scatta il reato di tentata violenza privata per il pubblico ministero che prospetta il carcere quando ascolta le persone informate sui fatti, quelle offese dal reato o gli indagati. La Cassazione, con la sentenza 20365 (Relatore Alfredo Guardiano) conferma la condanna di due ex pm del Tribunale di Trani, rispettivamente alla pena di 6 mesi e a 4 mesi di reclusione per concorso in tentata violenza privata.

L’indagine finita nel mirino dei giudici riguardava le pressioni fatte dai due pm tranesi, nel 2015, su tre testimoni di un’inchiesta, relativa al pagamento di tangenti in cambio di appalti pubblici.

Nello specifico le parti lese erano state ascoltate come persone informate nei fatti, veste, secondo i giudici, preferita dalla pubblica accusa a quella di indagati che avrebbe comportato tutte le informazioni ai diretti interessati sulle garanzie. In nessun caso gli interrogati potevano comunque essere costretti a dare risposte, e ancora meno risposte che confermassero le ipotesi investigative. Per i giudici di legittimità, indubbie le pressioni e le “minacce” insite nel decantare la bella vista che si godeva dal carcere di Trani o nel riferimento alle arance «genere alimentare associato nella vulgata alla condizione di detenuto». Atteggiamenti che integrano la violenza privata, perché ipotizzano il verificarsi di un male ingiusto, mentre la forma tentata c’è perché l’intento non è andato in porto non per volontà degli imputati. Senza successo la difesa invoca la scriminante dell’articolo 51 del Codice penale, per condotte messe in atto nell’adempimento di un dovere. Nel caso specifico non c’è, infatti, nessuna esimente per azioni commesse violando le norme processuali.

Con l’occasione arriva anche un pro-memoria sulla posizione del Pm, come garante della legalità, nelle varie fasi del processo. Una pubblica accusa che dirige la raccolta di prove, senza perdere di vista anche gli elementi a favore dell’indagato. Per questo, si sottolinea nella sentenza, si può definire il Pm un’autorità giudiziaria. A differenza di quanto avviene per gli organi della pubblica accusa in altri paesi europei come Francia o Olanda. E il ruolo che va svolto correttamente anche in uno dei momenti tipici delle indagini preliminari, come quello dell’assunzione delle informazioni, sovrapponibile anche alla testimonianza. In sede di informazioni sommarie la persona sentita è tenuta a rispondere la verità ma «non può essere obbligata a deporre su fatti dai quali può emergere una sua responsabilità penale». Né il comportamento dei pm si può far passare come un ”bluff tattico” o uno “stress test”. La Cassazione nega qualunque attenuante.

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