Violenza sessuale; abuso di autorità anche nei rapporti privati o di fatto
Nei reati sessuali l'abuso di autorità scatta anche nei rapporti privati e di fatto, e non solo in caso di una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, se c'è una situazione di supremazia sfruttata per costringere la vittima a subire o compiere atti sessuali. Le Sezioni unite della corte di cassazione, con la sentenza 27326, escludono la necessità della natura formale e pubblicistica dell'autorità di cui l'agente abusa per commettere il reato, previsto dall'articolo 609-bis del Codice penale. Chiarendo poi che l'autorità “privata” non è solo quella che deriva dalla legge ma anche quella di fatto. Per il Supremo collegio è importante l'esistenza oggettiva di un rapporto autoritario. E va dimostrata in modo inequivoco, attraverso un'analisi concreta della dinamica dei fatti “idonea a porre in luce un rapporto di soggezione effettivamente intercorrente tra l'agente e la vittima del reato”. Va poi provata anche l'arbitraria utilizzazione del potere, dando conto della relazione tra abuso di autorità e conseguenze sulla capacità di autodeterminazione della persona offesa “poiché una condotta che dovesse diversamente estrinsecarsi dovrebbe inevitabilmente essere inquadrata nei contermini ipotesi di minaccia o induzione”. In linea con questa conclusione le Sezioni unite precisano che per la configurabilità del reato, pesa la valenza coercitiva e dunque non è neppure rilevante che la posizione di preminenza dell'agente sia venuta meno, perché resta una sudditanza psicologica che deriva dall'autorità da questo esercitata in passato e dalla relazione di dipendenza indiretta tra autore e vittima “quando il primo abusando della sua autorità concorre con un terzo che compie l'atto sessuale non voluto dalla persona offesa”.
Corte di cassazione – Sezioni unite – Sentenza 1 ottobre 2020 n.27326