Violenza sessuale, lo stato di tanatosi della vittima non esclude il reato
Non è l’assenza di dissenso a scriminare la condotta, ma è il consenso esplicito, che non può essere dedotto dall’atteggiamento passivo insufficiente in sé a far presumere una volontà collaborativa all’atto
L’assenso all’atto sessuale è elemento fondante della volontarietà al suo compimento e non può essere desunto dalla mancata espressione di un dissenso esplicito. Quindi se la persona non esprime il proprio no all’invasione della sua sfera sessuale non scatta alcuna presunzione atta a escludere il dolo di chi ne approccia le parti intime o mira al compimento di un rapporto fisico con la stessa. Il necessario consenso non è integrato dall’atteggiamento di tanatosi (cioè del fingersi morto) assunto dalla vittima. Ossia la sua totale inerzia non dimostra la condotta collaborativa che sottinterebbe il consenso all’atto sessuale. È, infatti, totalmente tipico nei casi di aggressione sessuale che la parte attinta da tale comportamento possa - proprio in ragione della percezione della violenza subita - accedere a uno stato d’animo paralizzante qualsiasi espressione genuina di volontà.
Nel caso risolto dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 42821/2024, il ricorrente per quanto affetto da disturbo psicologico si è visto confermare la condanna per violenza sessuale - specificatamente sul punto della sussistenza del dolo - nonostante gli fosse stato riconosciuto il vizio parziale di mente e fosse acclarato che la vittima affetta da un ritardo mentale non avesse espresso alcun dissenso al comportamento attivo dell’imputato che riusciva a portare a compimento gli amplessi proposti con particolare irruenza e prepotenza.
Ed è proprio la condizione di inferiorità psichica, quando questa è manifesta all’agente, che determina l’irrilevanza - al fine di scriminare il reato - di un mancato dissenso esplicito. L’abuso perpetrato su persona inferma di mente pone ulteriormente nel nulla l’argomento difensivo sulla mancata percezione di un dissenso della donna a compiere gli atti sessuali proposti con l’esercizio della forza o con comportamenti manipolativi tesi ad abusare dell’incapacità del soggetto debole di mente che non abbia la corretta percezione della sua sottoposizione al volere dell’agente.