Professione e Mercato

Corporate governance e prevenzione della crisi nei gruppi di società

di Niccolò Abriani

Un dato ormai acquisito tra i giuristi e gli studiosi di scienze aziendali è il riconoscimento del ruolo centrale che le regole che informano la corporate governance societaria sono chiamate a svolgere nella delicata fase della pre-crisi e della crisi dell'impresa: impresa che viene considerata come struttura complessa, dotata di assetti organizzativi e di sistemi di controllo, che devono risultare adeguati non solo al going concern, ma altresì alla tempestiva rilevazione dello stato di crisi.

In questo quadro, uno dei principali doveri che incombe sugli organi di amministrazione – e sul cui rispetto deve appuntarsi l'attenzione degli organi di controllo – attiene alla predisposizione di una struttura organizzativa in grado di cogliere quei segnali di difficoltà, di crescente tensione finanziaria e di aggravamento degli indici di rischio, che caratterizzano la delicata fase che si colloca in un'area intermedia tra impresa in normali condizioni di esercizio e impresa in condizioni di crisi conclamata, seppure ancora reversibile (cosiddetta twilight zone).

Il disegno di legge - Questo generale principio di corretta amministrazione dell'impresa societaria è destinato ad informare l'assetto organizzativo tanto delle società autonome, quanto delle società di gruppo, chiamate a operare nell'ambito di una direzione e coordinamento che la legge vuole ispirata a «principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale». Al riguardo si possono prospettare alcune questioni interpretative già oggi gravide di corollari applicativi, ma destinate ad assumere ancora maggior rilievo ove venissero approvate le importanti novità prefigurate dal disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rordorf, che dedica alla crisi e all'insolvenza dei gruppi di imprese uno dei suoi articoli più significativi (articolo 3), prevedendo altresì di introdurre nel codice civile il dovere degli organi sociali «di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale» (articolo 13).

L'autovalutazione atomistica in ordine alla liquidità e alla continuità aziendale, che deve essere operata di regola dagli amministratori di ogni singola società, nel confronto con il revisore legale e sotto la vigilanza dell'organo di controllo, è destinata a lasciare il campo a una valutazione complessiva di tale situazione nell'ambito del gruppo ad opera degli organi della holding, sulla base dei flussi informativi ascendenti che devono provenire dalle società del gruppo.

Il primo nodo - Di qui un primo interrogativo: se, quanto meno nelle ipotesi in cui sia presente una gestione accentrata di tesoreria, e vengano dunque realizzate una serie di operazioni di cash pooling, il test di liquidità non debba essere condotto tenendo conto della solvibilità nell'ambito dell'intero gruppo; e ciò in particolare qualora le concrete modalità di funzionamento della tesoreria accentrata determinino restrizioni alla circolazione della liquidità all'interno dello stesso.

Ove poi la società di tesoreria che riceve la liquidità coincidesse, come normalmente avviene, con la capogruppo, il sistema di cash pooling imprimerebbe carattere necessariamente bidirezionale al meccanismo di circolazione delle informazioni infragruppo: il flusso informativo dovrebbe infatti attivarsi non più soltanto in senso ascendente, per permettere il corretto esercizio dell'attività di direzione e coordinamento da parte della holding, ma anche in senso discendente, per consentire agli amministratori delle controllate di adempiere al dovere di monitorare il grado di solvibilità della società verso la quale fanno confluire la loro liquidità e il suo eventuale peggioramento.

L'esigenza di consentire un'analisi del rischio, richiesta in tale circostanza, potrebbe essere presidiata mediante il ricorso a financial covenants, che accordino specifici diritti di informazione alle controllate nei confronti della capogruppo, la cui mancata previsione potrebbe essere, in alcune fattispecie, finanche fonte di responsabilità per gli amministratori di queste ultime. Peraltro, anche in assenza di tali garanzie contrattuali, il sistema normativo sembra comunque imporre alla capogruppo di mettere a disposizione adeguate informazioni quale condizione indefettibile affinché le controllate possano legittimamente realizzare l'operazione di cash pooling e conservare l'iscrizione del prestito nel proprio bilancio al valore di realizzo, quale inizialmente accertato.

I doveri della capogruppo - Al di là di quest'ultima situazione specifica, il riconoscimento di doveri informativi transitivi discendenti da parte della capogruppo in ordine alla sua situazione patrimoniale e finanziaria sembra doversi estendere a ogni ipotesi in cui questa abbia indotto le società controllate a effettuare finanziamenti o concedere garanzie in suo favore. Conclusione, quest'ultima, che induce a rimeditare sulla sorte dei finanziamenti ascendenti erogati dalle società controllate a favore della holding (cosidetti up-stream loans). I finanziamenti ascendenti diretti alla holding si configurano infatti – ancor più dei finanziamenti discendenti (down-stream) e paralleli (cross-stream) – come decisioni influenzate dall'attività di direzione e coordinamento: in quanto tali, impongono agli amministratori delle controllate una verifica in ordine alla situazione patrimoniale e finanziaria della holding non soltanto nel momento genetico del finanziamento, ma anche in costanza del rapporto creditizio. Per tale ragione, pare corretto estendere anche a tali finanziamenti la regola della postergazione legale con la quale la legge declassa i crediti che siano stati effettuati in una situazione di eccessivo squilibrio della società del gruppo (articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile).

Il rapporto di gruppo sembra in ogni caso destinato a influire sulla stessa nozione di insolvenza. Se infatti si accetta la tesi, sempre più diffusa, che esclude l'esigibilità dei crediti postergati sino a quando la società debitrice non sia in grado di superare positivamente il solvency test, è evidente che i relativi debiti dovrebbero rimanere esclusi dal perimetro delle obbligazioni che la società deve essere in grado di soddisfare con regolarità. Mentre, sotto altro versante, andrebbe riconsiderata la “regolarità” dell'attività solutoria svolta mediante l'impiego di risorse soltanto formalmente estranee all'impresa, quali quelle della capogruppo e delle società consorelle.

L'autore è ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Firenze e componente del comitato scientifico Igs

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