Professione e Mercato

Law and Economics sul tema della (non) insolvenza delle imprese italiane ai tempi della crisi da Covid-19

Articolo tratto dall'approfondimento Law and Economics sul tema della (non) insolvenza delle imprese italiane ai tempi della crisi da Covid-19, a cura del'Avv. Gianandrea Rosati del Foro di Prato e del dott. Alessio Monticelli, Dottore commercialista, Revisore contabile, Economista d'impresa

di Gianandrea Rosati, Alessio Monticelli



[…] I got a job working construction
For the Johnstown Company,
But lately there ain't been much work
On account of the economy […]
Bruce Springsteen, The River (1979


I futuri libri di storia ricorderanno il 2020 come un anno spartiacque tra un prima e un dopo: la pandemia da Covid-19 ed il lockdown per arginarla hanno messo in crisi l'Uomo e alcune delle sue strutture, tra le quali le Imprese. I Governi hanno assunto eccezionali misure restrittive: il lockdown, di fatto, rappresenta l'emergenza sanitaria che cambia pelle e diventa emergenza economica. La natura assolutamente straordinaria della crisi in atto è testimoniata anche dal Fondo Monetario Internazionale che, nell'ultimo outlook di aprile, stima una diminuzione del Pil mondiale pari al -3% nel 2020 (var.% annua 2020 vs. 2019), con ampie contrazioni negli Stati Uniti (-5,9%) e, soprattutto, nell'Euro-zona (-7,5%).

L'economia italiana, che accusa già una contrazione del Pil nel primo trimestre (-4,8% su base tendenziale), presenta un outlook per l'anno 2020 pesantemente negativo e pari al -9,1% (IMF, World Economic Outlook, aprile 2020). In effetti, lo straordinario shock macroeconomico dovuto al Covid-19 si è abbattuto su un'economia italiana già fragile e con una crescita ancorata all'orbita "zero" nell'ultimo biennio. A fine 2019 restavano ampi gap in termini di produzione industriale e il Pil italiano risultava ancora inferiore di -4 punti percentuali rispetto ai valori pre-crisi (2007). Inoltre, il tasso di disoccupazione, seppur in calo rispetto al picco del 2014, appare ancora relativamente e "strutturalmente" elevato (2019: 10%; dati Istat, 2020).


Le autorità fiscali e monetarie internazionali hanno così adottato policy straordinarie di tipo espansivo, per sostenere i redditi (di famiglie e imprese), l'offerta di credito e immettere liquidità sui mercati. La Commissione Europea ha sospeso (temporaneamente) il Patto di Stabilità e Crescita (PSC), con l'attivazione della cd. General Escape Clause. Con riferimento alle policy, il professor Mario Draghi in una recente intervista ha sottolineato come "public debt levels will have increased. But the alternative — a permanent destruction of productive capacity and therefore of the fiscal base — would be much more damaging to the economy and eventually to government credit" (Draghi M., Draghi: we face a war against coronavirus and must mobilise accordingly, "Financial Times", 25 marzo 2020).


L'Italia è intervenuta con tre decreti: "Cura Italia" (ora L. 27/2020), "Liquidità" (D.L. 23/2020) e "Rilancio" (D.L. 34/2020).


Nell'ottica che delinea i tratti essenziali della presente trattazione, ovvero quella della continuità aziendale e della salvaguardia del "potenziale" economico, sono particolarmente interessanti alcune norme del D.L. 23/2020, tra le quali ci limitiamo ad esaminare quella di cui all'art. 10 (che ha sancito la improcedibilità, nel periodo tra il 9.03.2020 ed il 30.6.2020, dei ricorsi per dichiarazioni di fallimento -art. 15 L.F.- , nonché per accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa -art. 195 L.F.- o ad amministrazione straordinaria -art. 3 D. Lgs. 270/99-) e, seppure solo con piccoli cenni, quelle di cui agli artt. 5 e, soprattutto, 6 e 7.


La Relazione illustrativa del predetto Decreto-Legge espone chiaramente l'intento della norma (art. 10), che è quello di evitare la proliferazione di istanze di fallimento presentate da, o contro imprenditori, che potrebbero ben venirsi a trovare in una situazione di insolvenza determinata dall'attuale crisi da Covid-19 (va precisato che, per ovvie ragioni, sono escluse dalla improcedibilità le istanze di fallimento presentate dal P.M. con richiesta di emissione di provvedimenti cautelari o conservativi).


E' comunque assai probabile che le difficoltà economiche arrecate alle attività imprenditoriali dall'effetto combinato della crisi da Covid-19 sui mercati e dal cd. lockdown, non termineranno, come per incanto, il 30.06.2020 ed anzi, molto probabilmente, subiranno un progressivo aggravamento, soprattutto con riferimento agli aspetti strettamente finanziari. Anche qualora si realizzino le più ottimistiche previsioni di contenimento del virus, le aziende dovranno fare i conti con numerosi insoluti, annullamenti di ordini e più in generale con un probabile ridimensionamento produttivo e lavorativo.


In altre parole, dopo il 30.06.2020, tutte quelle esigenze evidenziate nella relazione illustrativa e che hanno portato il Governo a decidere la misura temporanea della improcedibilità dei ricorsi per dichiarazioni di fallimento, saranno ancora presenti e sempre più pressanti. Ma le imprese non avranno più la tutela e lo scudo protettivo di cui all'art. 10 predetto e si vedranno pertanto esposte alle pressioni del ceto creditorio (o anche alla difficile decisione di presentare eventuali istanze di fallimento in proprio, al verificarsi dei relativi presupposti), che, con molte probabilità, anche in considerazione delle generalizzate difficoltà economiche che colpiranno tutti indiscriminatamente, ricorrerà in massa ai ricorsi per dichiarazioni di fallimento, nei confronti dei propri debitori insolventi.


Ciò potrebbe determinare un concreto rischio di perdita e dispersione di un importante patrimonio produttivo, provocando così ricadute negative in termini di perdite occupazionali, di quote di mercato e di impoverimento generalizzato delle persone; il tutto andrà a svantaggio anche dello stesso ceto creditorio, perché le liquidazioni dei beni e degli asset avverrebbero in un mercato povero, con poche disponibilità di spesa e/o di investimento.


Secondo gli scriventi, è opportuna pertanto una approfondita disamina sui rischi di fallibilità, post 30.06.2020 e secondo il diritto vigente, per le imprese colpite dalle conseguenze pregiudizievoli della emergenza sanitaria Covid-19, al fine di valutare se siano o meno necessari o quantomeno opportuni ulteriori interventi legislativi.


Al riguardo, è doveroso premettere che la giurisprudenza, in maniera oramai statuaria, riconduce la dichiarazione di fallimento delle imprese al mero accertamento della relativa insolvenza, prescindendone dalle relative cause (questo perché nella definizione di insolvenza di cui all'art. 5 della L.F. manca qualsiasi riferimento alle relative cause ed anche perché alla dichiarazione di fallimento non conseguono effetti di natura sanzionatoria dai quali si possa trarre motivo per dare rilevanza alla addebitabilità o meno della insolvenza a colpa o fatti attribuibili all'imprenditore medesimo). In altri termini, la insolvenza incolpevole, sia pure anche se attribuibile a caso fortuito o forza maggiore, comporta comunque la dichiarazione di fallimento, secondo il diritto vigente.


Le cause della insolvenza possono invece essere prese in considerazione e assumono rilievo, in ottica di esclusione della dichiarazione di fallimento, soltanto nel caso in cui dimostrino il carattere temporaneo, ovvero non strutturale, della decozione.


Ebbene, nello scenario sopra ipotizzato, vi saranno casi in cui i Tribunali potranno (seppure con evidenti difficoltà, dispendio di energie e complesse attività di accertamento e di stima) accertare una situazione meramente provvisoria di insolvenza, in quanto causata esclusivamente dall'evento eccezionale (Covid-19) evitando di dichiarare il fallimento della singola impresa destinataria dell'istanza; ma come si comporteranno nei casi in cui una situazione economica-finanziaria aziendale, già precedentemente critica, venga aggravata e resa strutturale?


Al fine, pertanto, di salvaguardare ogni possibile evenienza, sarebbe opportuno un duplice nuovo e tempestivo intervento normativo, che, da un lato, disponga una proroga della statuizione della improcedibilità di cui sopra per un periodo temporale più consistente rispetto a quello che, ad oggi, terminerebbe il 30.06.2020 (potremmo ipotizzare una proroga fino al 31.12.20, analogicamente anche a quanto disposto per le altre misure agevolative previste nel D.L. 23/2020, di cui si darà conto nel seguito) e, dall'altro lato, vada a modificare ed integrare l'art. 5 della L.F., rendendo non fallibile la impresa che sia colpita da insolvenza, per causa di forza maggiore, che, nello specifico, potrebbe essere rappresentata dalla emergenza sanitaria "Covid-19" e dai conseguenti provvedimenti restrittivi assunti.


La predetta prima tipologia di misure (che potrebbe essere prevista anche in sede di conversione del Decreto-Legge) sarebbe funzionale anche a dare agli imprenditori un lasso di tempo ragionevole per poter mettere a frutto gli aiuti, in termini di immissioni di liquidità, previsti dai D.L. adottati e comunque per risollevare le proprie sorti ed, al contempo, a dare allo Stato la possibilità di attuare anche ulteriori politiche espansive, volte a favorire un rilancio delle aziende. Al contempo, sarebbe utile anche a ridurre il carico giudiziario dato dalle istanze di fallimento, che verrebbero altrimenti presentate presso i Tribunali Italiani. Più imprese riusciranno a rilanciarsi, meno istanze di fallimento finiranno davanti ai Giudici e più salvaguardato sarà l'intero tessuto socio-economico del Paese e, di conseguenza, il potenziale dell'economia italiana. Una pecca di tale tipologia di misura è quella del correlato fisiologico blocco che pone anche a quelle istanze di fallimento, che risultino giustificate da una piena e strutturale insolvenza che si sia invece manifestata, già in epoca antecedente al periodo di emergenza sanitaria - Covid-19. E' tuttavia vero che, anche in tali fattispecie, il superamento di un certo periodo temporale di blocco potrebbe rivelarsi vantaggioso anche per il ceto creditorio, perché potrebbe garantire la possibilità di una miglior soddisfazione delle proprie ragioni creditizie, attraverso un esito più favorevole della liquidazione degli asset delle imprese dichiarate fallite (date le attuali difficoltà di realizzazione legate alle gravissime alterazioni del mercato).


Una ulteriore pecca è quella del blocco posto anche alle istanze di fallimento in proprio, poiché, in taluni casi, i singoli imprenditori potrebbero avere interesse a presentarle (anche ad esempio al fine di bloccare le esecuzioni dei creditori); al riguardo però va preso atto di quanto già deciso in una recentissima sentenza del Tribunale di Piacenza (Sez. Fall. 8/5/2020) in ordine al fatto che il mancato esplicito richiamo, da parte dell'art. 10 predetto, all'art. 14 della L.F. potrebbe far ritenere che per le istanze di fallimento in proprio non sia stata letteralmente prevista la misura della improcedibilità. In ogni caso, sarebbe stato preferibile che, per tali tipologie di istanze, fosse espressamente prevista soltanto una temporanea sospensione dell'obbligo della relativa presentazione, al verificarsi dei presupposti di legge (anziché la improcedibilità).


La norma di cui al comma 3 dell'art. 10 (che dovrebbe anch'essa essere prorogata) salvaguarderebbe poi i diritti dei creditori, attraverso la sterilizzazione del periodo di blocco, ai fini del calcolo sia dei termini per la fallibilità a decorrere dalla cancellazione dal Registro Imprese (art. 10 L.F.), sia di quelli per la proponibilità delle azioni revocatorie di cui all'art. 69 bis L.F. In sede di proroga anche di tale misura (o comunque in fase di conversione in Legge), sarebbe auspicabile altresì una sua parziale modifica, onde renderla applicabile a tutte le istanze di fallimento presentate dopo il periodo di improcedibilità, atteso che, altrimenti, ovvero, mantenendo la formulazione attuale di tale comma, la neutralizzazione dei termini di cui agli artt.10 e 69 bis L.F. sarebbe limitata a quelle istanze di fallimento che, dopo essere state depositate nel periodo dal 09.03.20 al 30.6.20 e dopo essere state dichiarate da un Giudice improcedibili, vengano poi ripresentate e accolte successivamente.


La modifica legislativa dell'art. 5 della L.F., ove dovesse intervenire, sarebbe, invece, la manifestazione di una precisa scelta politico/normativa, finalizzata a dare alle imprese una tutela di ordine generale rispetto ad un abuso e/o ad un uso strumentale della istanza di fallimento, pur mantenendo inalterata la possibilità dei Giudici di valutare singole specificità, dalle quali eventualmente emerga un ricorso strumentale alla causa di forza maggiore per evitare il fallimento.


Appare infatti assolutamente ingiusto, soprattutto in uno Stato di diritto, che un Governo imponga, oltretutto in maniera tassativa e pressoché immediata, ad un imprenditore di cessare la propria attività (sia pure per comprovate e giustificate ragioni), per un determinato periodo di tempo e che poi un Giudice di quello stesso Stato, nello stesso periodo o comunque in un arco temporale più o meno prossimo, ne dichiari il fallimento, senza tener conto che la impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali verso clienti, piuttosto che verso fornitori, dipendenti o quant'altri, possa essere stata causata proprio dal lockdown e/o, in generale, dagli effetti più o meno direttamente ascrivibili alla crisi economica conseguente all'emergenza sanitaria.


Gli interventi correttivi e normativi di cui sopra risulterebbero apportati in coerenza sistematica anche rispetto alla tipologia ed al più ampio orizzonte temporale previsto per alcune delle altre misure disposte nel Capo II del D.L. 23/2020, ovvero, in particolare, quelle di cui all'art. 5 (rinvio della entrata in vigore del Codice della Crisi di Impresa e dell'insolvenza al 01.09.2021) e artt. 6 e 7, che dispongono, rispettivamente, la sospensione, fino al 31.12.2020 degli effetti giuridici delle eventuali, probabili e generalizzate perdite di capitale delle imprese verificatesi nell'esercizio corrente e la sospensione temporanea dell'applicazione di taluni principi e criteri di redazione dei bilanci (bilancio di esercizio al 31.12.2020 e, stando al tenore del secondo comma dell'art. 7, anche bilancio 2019), in particolare, quelli afferenti alla continuazione dell'attività.


Guardando al tempo, prospettiva essenziale nelle crisi, nel breve termine è opportuno un approccio che guardi a policy orientate allo stimolo della domanda aggregata, oltre che a politiche monetarie espansive e all'attuazione di misure di salvaguardia e di aiuto, mentre nel medio-lungo termine può tornare sulla scena la "legge del mercato", con la ricerca dei necessari equilibri di bilancio, la riduzione dei livelli d'indebitamento e - purtroppo - anche la - possibile - fallibilità delle imprese (cfr. Roubini N., Mihm S., La crisi non è finita, 2010). Tale prospettiva è sostanzialmente rispettata nelle misure di cui agli artt. 5, 6, 7 e 9 del D.L. 23/20; mentre, solo in parte, nell'art. 10. Ma per evitare il rischio di dispersione del patrimonio produttivo, con le relative ricadute anche sul ceto creditorio, dovremo pensare, oggi, perché domani potrebbe essere tardi, alle due ulteriori misure, sopra descritte e trattate: una proroga verso un orizzonte temporale più ampio della improcedibilità di cui sopra (analogicamente alle altre misure agevolative del D.L. 23/20) e una modifica dell'art. 5 L.F., volta a rendere non fallibile l'impresa colpita da insolvenza per causa di forza maggiore (nella quale, sub judice, potrebbe rientrare il binomio "Covid-19+lockdown").


I predetti interventi sarebbero quindi utili anche a stabilizzare il sistema economico ed a preservare l'attuale "potenziale" produttivo (in termini di numero d'imprese e posti di lavoro), evitando che i nuovi fallimenti lo riducano. Del resto, un quadro normativo e regolamentare che generi elementi di (relativa) maggiore sicurezza, potrebbe, pur in un contesto economico-sociale estremamente volatile e fragile come quello attuale, creare i presupposti per una mitigazione dell'incertezza e una difesa del "clima di fiducia" degli operatori. Per questa via, quindi, tali misure possono anche supportare il sentiment (animal spirits keynesiani) e, in ultima analisi, la propensione a investire da parte degli imprenditori.


Il legislatore è già, in parte, intervenuto a difesa del valore economico-sociale dell'impresa; appare ora necessario proseguire su questa via, attraverso provvedimenti giuridicamente sostenibili ed equi.


Per chiudere con una piccola nota musicale (in continuità alla citazione iniziale), allo Stato (ed agli Stati) il difficile compito di saper suonare il riff di armonica che, in "The River" di Bruce Springsteen, alimenta la speranza di riscatto di ogni uomo.

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