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Ue: fatta la BREXIT, è tempo di riforme e dell'Italia di Draghi

Lo scorso 30 dicembre 2020 è stata firmata la complessiva intesa sulle future relazioni tra l'UE e l'Euratom, da una parte, e il Regno Unito dall'altra. L'intesa, per il momento, conclude un tormentone lungo quattro anni e mezzo, da quel 23 giugno 2016, quando, contrariamente a quanto si pensasse, prevalse il sì referendario all'uscita del Regno dall'Unione.

di Carlo CURTI GIALDINO*


Lo scorso 30 dicembre 2020 è stata firmata la complessiva intesa sulle future relazioni tra l'UE e l'Euratom, da una parte, e il Regno Unito dall'altra. L'intesa, per il momento, conclude un tormentone lungo quattro anni e mezzo, da quel 23 giugno 2016, quando, contrariamente a quanto si pensasse, prevalse il sì referendario all'uscita del Regno dall'Unione.

Si tratta, in particolare di tre accordi internazionali: a) l'accordo sugli scambi e la cooperazione (di seguito ASC); b) l'accordo sulle procedure di sicurezza per lo scambio e la protezione di informazioni classificate, che si configura come un accordo integrativo del primo, cui è intrinsecamente collegato; c) l'accordo sugli usi pacifici e sicuri dell'energia nucleare.

Gli accordi in questione riguardano materie di competenza esclusiva dell'Unione o concorrente dell'Unione e degli Stati membri e non incidono sulla competenza riservata a questi ultimi, perciò sono stati conclusi solo a titolo dell'Unione, secondo la formula "EU only", escludendo l'accordo misto, che avrebbe richiesto, invece, la ratifica dei 27 Stati membri, con l'autorizzazione dei parlamenti nazionali e, in alcuni casi, anche di quelli regionali. Nessuno poteva prevedere quanto tempo sarebbe stato necessario. Invece, dal 1.o gennaio gli accordi sono applicati "provvisoriamente" in attesa della loro conclusione, che, allo stato, richiede soltanto il perfezionamento delle procedure interne all'Unione europea, vale a dire l'autorizzazione del Parlamento europeo alla conclusione degli accordi e le successive decisioni del Consiglio dell'Unione.

L'ASC istituisce la base per un'ampia ed equilibrata relazione tra l'Unione europea e il Regno Unito, con diritti ed obblighi reciproci, azioni comuni e procedure speciali e si contraddistingue per avere la caratteristica, eccezionale ed unica nel novero degli accordi di associazione dell'Unione, di non riguardare uno Stato terzo che in prospettiva desideri aderire, ma uno Stato che ne esce. L'ASC, va ben oltre gli abituali accordi di libero scambio, in quanto disciplina non solo gli scambi di merci e servizi, ma anche un'ampia gamma di settori d'interesse dell'Unione, quali gli investimenti, la concorrenza, gli aiuti di Stato, la trasparenza fiscale, i trasporti aerei e stradali, l'energia e la sostenibilità, la pesca, la protezione dei dati, il coordinamento in materia di sicurezza sociale, il commercio digitale, la proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, la cooperazione delle autorità di polizia e giudiziarie in materia penale e la partecipazione del Regno Unito a taluni programmi dell'UE.

L'uscita del Regno Unito apre ora prospettive di approfondimento dell'integrazione politica dell'UE, che il governo di Londra – inutile disconoscerlo - negli ultimi trent'anni ha sempre bloccato, privilegiando la connotazione mercantile dell'Unione e tarpando le ali a qualsiasi iniziativa volta a dotare l'Unione di una autonoma politica estera e di difesa comune.

È ora tempo di introdurre puntuali riforme costituzionali, in primis il superamento del voto all'unanimità nelle istituzioni dove sono presenti gli Stati membri, e di attribuire all'Unione più incisive competenze, anche in tema di sanità e di lotta alle pandemie, che per definizione non conoscono frontiere.

Notoriamente, ogni riforma dell'Unione è stata frutto di iniziative partite o comunque promosse dalla Germania e dalla Francia. Tuttavia, la spinta tedesca potrebbe mancare in ragione della fine della leadership di Angela Merkel, che nel prossimo settembre, dopo aver dato il meglio di sé nel recente semestre di presidenza del Consiglio UE, non si ricandiderà per la quinta volta alla cancelleria. Per altro verso, in Francia, che avrà la guida dal gennaio al giugno 2022 della presidenza del Consiglio UE, si terranno, tra fine aprile ed inizio maggio 2022 le elezioni presidenziali.

In questo contesto, un ruolo di primissimo piano potrebbe essere svolto proprio dall'Italia. Invero, la guida nettamente pro-europea impressa dal presidente della Repubblica nella formazione del nuovo governo affidato ad una personalità d'assoluta eccezione, qual è Mario Draghi, insieme al sostegno "post-ideologico" che la stragrande maggioranza del Parlamento si appresta a dare, unito alle novità nell'atteggiamento di alcune forze politiche e, pure, la loro concretizzazione in sede europea costituiscono altrettanti fattori da non disperdere, nell'ottica di un contributo di alto profilo del nostro Paese alla costruzione dell'Unione, profittando anche della presidenza del G20, che costituisce, tra l'altro, una occasione straordinaria per promuovere la nostra immagine nel mondo.

*di Carlo CURTI GIALDINO Vicepresidente dell'Istituto Diplomatico Internazionale

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