Comunitario e Internazionale

Pay Tv: Corte Ue annulla decisione Commissione su clausole esclusiva Paramount

Annullata sentenza Tribunale che respinse ricorso Canal +

La Corte di giustizia Ue, sentenza C-132/19 ha annullato una decisione della Commissione che legittimava Paramount a non onorare le clausole di esclusiva territoriale nei contratti di licenza da essa stipulati con Sky, Groupe Canal + e altri operatori. In sostanza tale decisione rendeva obbligatori gli impegni offerti per salvaguardare la concorrenza sui mercati. La possibilità, per le controparti contrattuali di un'impresa che si sia impegnata a non rispettare talune clausole contrattuali, di adire il giudice nazionale, secondo la Corte, non è idonea a rimediare agli effetti sui diritti contrattuali delle suddette controparti della decisione della Commissione che ha reso obbligatori detti impegni. La controversia riguarda il settore delle Pay-Tv. La Corte ha annullato la sentenza del Tribunale Ue che aveva respinto ricorso di Groupe Canal +.

Paramount Pictures International Ltd e la sua società madre, Viacom Inc. avevanio concluso accordi di licenza su contenuti audiovisivi con le principali emittenti televisive di contenuti a pagamento dell'Unione europea, tra cui figurano Sky UK Ltd e Sky plc nonché Groupe Canal + SA. Nel gennaio 2014, la Commissione ha avviato un'inchiesta su possibili restrizioni che ostacolavano la fornitura di servizi televisivi a pagamento nell'ambito degli accordi di licenza in questione, al fine di valutare la loro compatibilità con l'articolo 101 TFUE e con l'articolo 53 dell'accordo sullo Spazio economico europeo (See). Tale inchiesta l'ha portata, il 23 luglio 2015, a indirizzare a Paramount una comunicazione degli addebiti relativa a talune clausole contenute negli accordi di licenza che quest'ultima aveva concluso con Sky. Si tratta di due clausole connesse, la prima delle quali mirava a vietare a o limitare la possibilità per Sky di rispondere in modo positivo a domande non sollecitate da parte di consumatori residenti nel See, ma al di fuori del Regno Unito e dell'Irlanda, ai fini della fornitura di servizi di trasmissione televisiva; la seconda imponeva a Paramount di inserire una clausola negli accordi che essa concludeva con le emittenti televisive stabilite nel See, ma al di fuori del Regno Unito, comportante un analogo divieto per tali emittenti televisive in merito a siffatte richieste provenienti da consumatori residenti nel Regno Unito e in Irlanda.

La Commissione ha ritenuto che gli accordi, che davano luogo a un'esclusiva territoriale assoluta, potessero costituire una restrizione della concorrenza «per oggetto» perchè ricostituivano le compartimentazioni dei mercati nazionali e contravvenivano all'obiettivo del Trattato che mira a stabilire un mercato unico. Dal canto suo, Paramount ha offerto impegni per rispondere a tali preoccupazioni dichiarandosi pronta a non rispettare più né ad agire al fine di far rispettare le clausole che davano luogo a una protezione territoriale assoluta delle emittenti televisive contenute negli accordi di licenza. Impegni accettati e resi obbligatori dalla Commissione. Ritenendo che tali impegni, assunti nell'ambito di un procedimento che coinvolgeva soltanto la Commissione e Paramount, non gli fossero opponibili, Groupe Canal + ha adito il Tribunale dell'Unione europea con un ricorso diretto all'annullamento della decisione, respinto con sentenza del Tribunale.

Nella sua sentenza di oggi la Corte dichiara, tuttavia, che «la valutazione effettuata dal Tribunale della proporzionalità della decisione controversa per quanto riguarda il pregiudizio agli interessi dei terzi è viziata da un errore di diritto». Di conseguenza, accogliendo le conclusioni dell'impugnazione proposta da Groupe Canal +, annulla la sentenza impugnata, nonché, statuendo definitivamente sulla controversia, la decisione controversa.

In tale contesto, la Corte fornisce nuove precisazioni sull'articolazione delle rispettive prerogative della Commissione e dei giudici nazionali nell'applicazione delle regole di concorrenza dell'Unione.

In primo luogo, la Corte dichiara che il Tribunale ha giustamente respinto il motivo su uno sviamento di potere, il quale mirava, in sostanza, a dimostrare che la Commissione, adottando la decisione controversa, ha eluso l'iter legislativo vertente sulla questione del blocco geografico.

In secondo luogo, la Corte dichiara che il Tribunale si è basato su una sufficiente motivazione, scevra da qualsivoglia errore di diritto, nel respingere gli argomenti di Groupe Canal + diretti a dimostrare la liceità delle clausole pertinenti con riferimento all'articolo 101, paragrafo 1, del Trattato Ue e, pertanto, l'assenza di fondamento delle preoccupazioni all'origine della decisione controversa. Poiché gli accordi di licenza contenevano clausole dirette ad eliminare la prestazione transfrontaliera dei servizi di radiodiffusione dal contenuto audiovisivo interessato e, a tal fine, conferivano alle emittenti televisive una protezione territoriale assoluta garantita da obblighi reciproci, il Tribunale ha potuto giustamente affermare che tali clausole, fatta salva un'eventuale decisione di accertamento definitivo dell'esistenza o dell'assenza di una violazione del Trattato a seguito di un esame approfondito, sono idonee a far sorgere, in capo alla Commissione, preoccupazioni in materia di concorrenza. Nella stessa ottica, la Corte sottolinea il carattere preliminare proprio della valutazione della natura anticoncorrenziale del comportamento in questione nell'ambito di una decisione adottata ai sensi dell'articolo 9 del regolamento n. 1/2003. Di conseguenza, altrettanto giustamente il Tribunale ha dichiarato che l'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato Ue si applica solo se ne è stata previamente constatata la violazione per dedurne che non gli incombeva pronunciarsi su censure relative alla sua applicazione.

In terzo luogo, la Corte condivide la valutazione del Tribunale secondo cui le clausole pertinenti potevano validamente far sorgere in capo alla Commissione preoccupazioni in materia di concorrenza riguardanti l'insieme del See, senza essere soggetta all'obbligo di analizzare uno per uno i mercati nazionali interessati.

In quarto luogo, la Corte esamina la censura relativa a un errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso, in particolare alla luce del principio di proporzionalità, nella sua valutazione dell'incidenza della decisione controversa sui diritti contrattuali dei terzi, come Groupe Canal +. La Corte ricorda che la Commissione deve verificare gli impegni offerti non soltanto sotto il profilo della loro idoneità a rispondere alle sue preoccupazioni in materia di concorrenza, ma anche con riguardo alla loro incidenza sugli interessi dei terzi, in modo che i diritti di questi ultimi non siano svuotati di contenuto. Come osservato dallo stesso Tribunale, il fatto che la Commissione renda obbligatorio l'impegno di un operatore a disapplicare talune clausole nei confronti della sua controparte contrattuale, come Groupe Canal +, che aveva soltanto la qualità di terzo interessato, senza che tale controparte contrattuale vi abbia acconsentito, «costituisce un'ingerenza nella libertà contrattuale di detta controparte contrattuale che va oltre le disposizioni dell'articolo 9 del regolamento n. 1/2003».

In tale contesto, la Corte considera che il Tribunale «non poteva rinviare tali controparti contrattuali ai giudici nazionali al fine di far rispettare i loro diritti contrattuali senza violare le disposizioni dell'articolo 16 del regolamento n. 1/2003 che vietano a tali giudici di prendere decisioni che siano in contrasto con una precedente decisione della Commissione in materia». Infatti, una decisione di un giudice nazionale che obbligasse un operatore a contravvenire ai suoi impegni resi obbligatori con decisione della Commissione «sarebbe manifestamente in contrasto con quest'ultima». Inoltre, dato che l'articolo 16, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento n. 1/2003 invita i giudici nazionali ad evitare di adottare decisioni in contrasto con una decisione che la Commissione intende adottare per l'applicazione, in particolare, dell'articolo 101 del Trattato, il Tribunale «ha commesso un errore di diritto anche nel considerare che un giudice nazionale potrebbe dichiarare le clausole pertinenti conformi, quando invece la Commissione potrebbe ancora, in forza dell'articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, riaprire il procedimento e, come essa aveva inizialmente previsto, adottare una decisione che comporti la constatazione formale dell'infrazione».

Di qui il vizio di errore di diritto della sentenza impugnata «quanto alla valutazione della proporzionalità della decisione controversa per ciò che riguarda il pregiudizio agli interessi dei terzi». E di conseguenza la necessità che sia annullata. Quanto al motivo di annullamento relativo alla violazione del principio di proporzionalità, la Corte rileva il carattere essenziale degli obblighi diretti a garantire l'esclusiva territoriale accordata alle emittenti televisive, che sono pregiudicati dagli impegni resi obbligatori dalla decisione controversa, giungendo alla conclusione che "la Commissione ha svuotato di contenuto i diritti contrattuali dei terzi, tra cui quelli di Groupe Canal +, nei confronti di Paramount, e ha quindi violato il principio di proporzionalità ».

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