Professione e Mercato

Il giurista d’impresa deve essere multitasking

di Elena Pasquini

Approfondita conoscenza del business. Pragmaticità. Capacità di individuare i rischi, prevenirli, gestirli all’interno dell’operatività aziendale. Velocità, precisione ed efficacia, anche nelle comunicazioni. Leadership. Mille temi sulla scrivania che impongono una conoscenza trasversale del diritto. Il passaggio dallo studio all’ufficio legale aziendale è una sfida anche per chi era abituato a muoversi come professionista in grandi realtà internazionali: parola di chi, a un certo punto e per varie ragioni, ha deciso di misurarsi con un unico committente (il datore di lavoro) e tanti “clienti” (i colleghi).

Manager e dipendente

Il mercato, le dinamiche competitive, gli obiettivi di breve e lungo periodo affollano l’agenda del legale in house, mescolandosi con il contesto socio-politico di riferimento: si trascende la strategia legale in senso stretto e ci si avvicina al business. Fondamentale è allora la capacità di creare collaborazione con tutte le funzioni aziendali, dalle operative fino al management.

Per riuscirci è utile essere pragmatici, veloci e buoni traduttori di processi giuridicamente complessi a chi “parla altre lingue”. «Arrivata in Terna – racconta Francesca Covone, ex of counsel Hogan Lovells, ora responsabile degli affari legali e societari della società – ho dovuto capire le dinamiche interne e come relazionarmi con il management e le strutture aziendali. Con me ho portato la velocità nelle decisioni dello studio legale internazionale e la lunga esperienza di matrice inglese e americana orientata alla costruzione di team specifici per ogni necessità».

«Spostandosi in azienda i colleghi diventano i tuoi clienti – afferma Eduardo Di Mauro, ex DLA Piper e ora manager degli affari legali di Pernigotti – e serve un’attitudine caratteriale nella gestione delle persone con caratteristiche e background professionali trasversali. Si è, poi, coinvolti su qualsiasi tipo di tematica legale: si acquista dinamicità nell’approccio perdendo la possibilità di “settorializzarsi” in alcuni rami del diritto».

Lì dove gli avvocati intervengono nella gestione/risoluzione di problemi, il general counsel lavora anche sulla prevenzione, “educando” con training, attività di governance e di strutturazione dei processi. «I ritmi sono frenetici – racconta Stefania Gallo, Legal and corporate affairs director di Kering Eyewear dopo aver lavorato in Masotti Berger Cassella – e bisogna avere un’impostazione solida e trasversale: le occasioni di puro apprendimento qui vanno create ad hoc. L’esperienza in studio, che consiglio sempre, aiuta anche nella giusta interfaccia con interlocutori diversi, skill indispensabile in azienda».

Rimane fondamentale il supporto dei professionisti esterni. «La velocità con cui corre il business oggi richiede un supporto continuo e costante e rapido da parte degli studi professionali nelle varie aree di competenza – spiega Thomas Micarelli, Regional Counsel-Southern Europe per Uber ed ex Hogan Lovells – e la conoscenza delle dinamiche interne delle law firms permette alla collaborazione di essere efficiente ed economicamente sostenibile per entrambi».

Addio all’Albo

Gli avvocati che entrano in azienda devono, se iscritti, lasciare l’Albo. Infatti, benché sul biglietto da visita possa restare il titolo di “avvocato” - così come prevede la legge professionale (la 247 del 2012) - il rapporto di lavoro subordinato rende incompatibile l’attività forense. «Lo status di “giurista d’impresa” non consente l’iscrizione all’Albo»: così ha scritto il Consiglio nazionale forense nel parere n. 1124 del 10 marzo 2017.

Dunque, chi passa lascia lo studio per l’azienda deve cancellarsi da Albo e Cassa e traslocare all’Inps la propria previdenza. E si apre la questione del ricongiungimento, oneroso, delle due posizioni. «Meglio non aspettare il momento della pensione – spiega Angelo Strano, responsabile del servizio istruttorie previdenziali della Cassa forense – perché il quantum cresce con l’avvicinarsi della quiescenza».

L’unica eccezione è per gli avvocati negli uffici legali degli enti pubblici, iscritti in un elenco speciale annesso all’Albo. Tre, secondo il Cnf, i requisiti per accedervi (si veda la sentenza 188 del 2016): l’esistenza di un ufficio legale autonomo; l’attività del singolo, abilitato all’esercizio della professione forense, limitatamente alle cause e agli affari propri dell’ente; l’inquadramento stabile.

Cambio di prospettiva

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