Professione e Mercato

Raw Material Agreement – la difficoltà di rinegoziazione e soluzioni

Le chiusure degli impianti estrattivi e produttivi hanno diminuito la disponibilità di materie prime e semilavorati. Poi, la forte ripresa economica, trainata da Cina e Usa, ha causato un'impennata della domanda di commodities, che ha – ovviamente – messo in ginocchio la produzione delle aziende.

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di Isabella Secci*

Nella nostra esperienza professionale, nel biennio che sarà ricordato per sempre per la pandemia di Covid-19 che ha colpito il mondo, vi è un fattore che contribuisce ad ostacolare la ripartenza delle aziende costituito dagli importanti aumenti del costo della materia prima intervenuti in seguito al lockdown.

Le chiusure degli impianti estrattivi e produttivi hanno diminuito la disponibilità di materie prime e semilavorati. Poi, la forte ripresa economica, trainata da Cina e Usa, ha causato un'impennata della domanda di commodities, che ha – ovviamente – messo in ginocchio la produzione delle aziende.

Oggi l'acciaio ha subito un rincaro del 117% rispetto al periodo precrisi, mentre il rame si assesta ad un +17%, i polietileni ad un +40% e i minerali di ferro ad un +88%.

Il sopraccitato aumento dei prezzi ha inciso in particolar modo sui contratti in cui la prestazione richiesta ad una delle due parti era legata a doppio filo alla necessità di entrare velocemente in possesso di tali materiali ottenendo, nello stesso tempo, un prezzo compatibile con le tariffe applicate al cliente finale: è elevatissima, infatti, l'incidenza del costo della materia prima in produzioni effettuate su vasta scala con margini di guadagno che sono sempre negoziati al centesimo.

Molte aziende, nella consapevolezza dell'importanza di questo fattore sul rapporto contrattuale, regolamentano tramite un Raw Material Agreement un aggiornamento periodico dei prezzi, indicizzandoli su listini aventi valenza ufficiale nel settore: quello siderurgico è regolamentato dal MEPS (Management Engineering & Production Services).

La situazione attuale, tuttavia, è derivata da una variabile talmente imprevedibile che l'impatto sul margine di guadagno del prodotto non viene adeguatamente compensato dagli accordi e i nuovi aumenti cui le aziende sono costrette a far fronte non consentono il recupero delle perdite subite nel periodo precedente: diventa quindi imprescindibile ricercare un'adeguata soluzione rispetto a questo fenomeno per consentire un'equilibrata prosecuzione del rapporto.

Normalmente, infatti, di fronte ai contratti c.d. sinallagmatici, le obbligazioni a carico di ciascuna parte denotano un equilibrio che le parti hanno reciprocamente concordato. Nel momento in cui un evento che non può essere ricondotto al normale rischio imprenditoriale (come quello che si sta verificando) colpisce una delle parti rendendo la sua prestazione eccessivamente onerosa, ecco che quell'equilibrio vacilla.

La parte impattata dall'imprevisto può invocare, secondo la legge italiana, l'art. 1467 c.c. – (1) applicabile a tutti i contratti a prestazioni corrispettive e a esecuzione continuata/periodica/differita – che rappresenta il rimedio contro la c.d. eccessiva onerosità sopravvenuta. In particolare, laddove la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (e sempre che tale onerosità non sia dovuta alla condotta di uno dei due contraenti o rientri nell'alea del contratto), la parte che deve compiere la prestazione potrà richiedere la risoluzione del contratto. L'altro contraente, viceversa, potrà evitare la risoluzione nell'ipotesi in cui si offra di modificare equamente le condizioni del contratto.

Sul punto è interessante notare quanto esposto dall'Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione, secondo cui la pandemia causata dal Covid-19 non ha fatto altro che sottolineare come il rimedio previsto dall'art. 1467 c.c. abbia un fine demolitorio più che conservativo rispetto al contratto. Per questa ragione, nelle ipotesi in cui nulla sia stato previsto in merito ad un'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta nelle clausole contrattuali, la giurisprudenza e la dottrina tendono a rimandare agli artt. 1175 (2), 1374( 3) e 1375 ( 4) c.c.: a fronte di sopravvenienze sperequative, e in assenza di specifiche clausole convenzionali, sarebbero l'equità, il dovere di buona fede e la correttezza contrattuale (richiamati dall'art. 1374 sub specie di "legge") a obbligare i contraenti a rinegoziare il contratto. È chiaro che, se le parti agissero sempre mosse dalla buona fede, la rinegoziazione del contratto diverrebbe un passaggio obbligato al fine di adattarlo e di preservare il rapporto economico sottostante. Viceversa, chi si sottraesse all'obbligo di rinegoziare l'accordo, commetterebbe una grave violazione del regolamento contrattuale.

Ma cosa accade nei contratti internazionali?

Nell'ambito della contrattualistica internazionale è diffuso l'inserimento di clausole di c.d. hardship, il cui utilizzo aiuta le parti ad individuare le ipotesi ove l'equilibrio del contratto viene alterato e ne prevede i rimedi. Proprio in questa prospettiva di tutela delle imprese, la Camera di Commercio Internazionale (ICC) ha, nel 2020, aggiornato la clausola di hardship elaborata nel 2003 inserendo, tra i rimedi possibili, la possibilità di rinegoziare il contratto.

In merito al tema specifico qui trattato, occorre quindi domandarsi quali azioni vadano attuate nel caso in cui una delle parti – che magari abbia negoziato il prezzo dei prodotti impegnandosi per lunghi periodi – venga a trovarsi in una posizione di forte svantaggio che, di fatto, impedisca la prosecuzione del rapporto laddove la controparte contrattuale rifiuti di ragionare su termini differenti, aggiornati alle condizioni di mercato.

In primo luogo, occorrerà verificare negli accordi contrattuali l'eventuale presenza di una clausola di hardship e la riconducibilità del caso di specie alle circostanze che ne prevedono l'attivazione.

Accade, però, spesso che una tale clausola sia assente.

In questo caso, laddove le parti abbiano scelto la legge che disciplinerà il contratto, ne saranno applicate le previsioni (non solo leggi nazionali, ma anche convenzioni internazionali, quali ad esempio la Convenzione di Vienna del 1980, i principi generali del commercio internazionale c.d. lex mercatoria o i Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali). Viceversa, laddove non sia stata scelta alcuna legge regolatrice del rapporto, si dovranno applicare le norme del diritto internazionale privato (in Italia contenute dalla Legge n. 218/95).

Avendo trattato la fattispecie in concreto ed avendo, comunque, approfondito gli orientamenti giurisprudenziali sul tema, non si nasconde come, in assenza di una norma specifica, vi sia sempre un'importante tendenza alla conservazione delle pattuizioni intervenute tra le parti, proprio al fine di non turbare la libera contrattazione che le stesse hanno voluto esprimere obbligandosi reciprocamente.

Avendo trattato la fattispecie in concreto ed avendo, comunque, approfondito gli orientamenti giurisprudenziali sul tema, non si nasconde come, in assenza di una norma specifica, vi sia sempre un'importante tendenza alla conservazione delle pattuizioni intervenute tra le parti, proprio al fine di non turbare la libera contrattazione che le stesse hanno voluto esprimere obbligandosi reciprocamente.

Ad avviso di chi scrive, il legale che dovesse concretamente approcciarsi con il problema e percepisse il proprio assistito vittima di una situazione paradossale indotta dalla necessità di scegliere tra la risoluzione del contratto – ed il rischio di incorrere in richieste di risarcimento del danno – o la prosecuzione dello stesso a condizioni antieconomiche, dovrebbe spingere la trattativa con la controparte manifestando una pragmatica disponibilità al ragionamento al fine di utilizzare questa condotta virtuosa nel richiedere successivamente l'intervento diretto del giudice o dell'arbitro sul contratto che risultasse squilibrato. Detto intervento sarebbe possibile in virtù di un potere di eterointegrazione correttiva del contratto secondo equità, utilizzando il principio della buona fede il cui valore – in quasi tutti gli ordinamenti – costituisce presupposto della libertà contrattuale nei regimi liberali.

Note

1 : Il testo dell'art. 1467 c.c. prevede che: "Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'art.

1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto".
2 - "Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza".
3 - "Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità".
4 "Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede".

*a cura dell'Avv. Isabella Secci, Partner di LegisLAB

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