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Sea Watch: Corte Ue, ok controlli ma per fermo servono prove

I paletti dei giudici europei nelle sentenza nelle cause riunite C 14/21 e C-15/21. La Cgue sottolinea l'importanza del principio di leale della cooperazione

Le navi di organizzazioni umanitarie con la Sea Watch che fanno attività di ricerca e soccorso in mare possono essere controllate dallo Stato di approdo ma "provvedimenti di fermo possono essere adottati soltanto in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l'ambiente, il che deve essere dimostrato". Lo ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue, sentenza nelle cause riunite C 14/21 e C-15/21, rispondendo alle questioni pregiudiziali che le sono state sottoposte dal Tar della Sicilia nella causa intentata dalla Sea Watch contro l'Italia.

La Sea Watch è un'organizzazione umanitaria con sede a Berlino che svolge un'attività sistematica di ricerca e soccorso di persone nel Mar Mediterraneo, mediante navi di cui è proprietaria e gestore. Tra tali navi figurano la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4, battenti bandiera tedesca e certificate come navi da carico.

Nell'estate del 2020, queste due navi hanno effettuato operazioni di soccorso e hanno sbarcato le persone salvate in mare nei porti di Palermo e di Porto-Empedocle (Italia). Le navi sono state oggetto di ispezioni da parte delle capitanerie, con la motivazione che non erano certificate per l'attività di ricerca e soccorso in mare e avevano imbarcato un numero di persone ampiamente superiore a quello autorizzato. Sono state inoltre riscontrate carenze tecniche e operative che comportavano un pericolo per la sicurezza, la salute o l'ambiente e richiedevano il fermo delle navi.

La Sea Watch ha proposto ricorso dinanzi al Tar per la Sicilia sostenendo che le capitanerie avrebbero violato la direttiva 2009/16. Il Tribunale si è rivolto alla Cgue sottoponendole alcune questioni pregiudiziali.

Per la Corte, riunita in Grande Sezione, la direttiva 2009/16 è applicabile, in linea di principio, a qualsiasi nave che si trovi in un porto o nelle acque soggette alla giurisdizione di uno Stato membro e batta bandiera di un altro Stato membro, ivi comprese le navi gestite dalle organizzazioni umanitarie.

In secondo luogo, la Corte sottolinea che la direttiva 2009/16, il cui scopo è migliorare l'osservanza delle norme di diritto internazionale e della legislazione dell'Unione relative alla sicurezza marittima, alla tutela dell'ambiente marino e alle condizioni di vita e di lavoro a bordo, deve essere interpretata tenendo conto delle norme di diritto internazionale, a cominciare dalla convenzione sul diritto del mare ed alla convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare. La prima sancisce, in particolare, l'obbligo fondamentale di prestare soccorso alle persone in pericolo o in difficoltà in mare. La seconda dispone che le persone che si trovano, a seguito di un'operazione di soccorso in mare, a bordo di una nave, compresa una nave gestita da un'organizzazione umanitaria quale la Sea Watch, non devono essere computate in sede di verifica del rispetto delle norme di sicurezza in mare. Il numero di persone a bordo, anche ampiamente superiore a quello autorizzato, non può dunque costituire, di per sé solo, una ragione che giustifichi un controllo.

Tuttavia, prosegue la decisione, una volta che una nave del genere ha completato lo sbarco, lo Stato di approdo può sottoporla a un'ispezione diretta a controllare il rispetto delle norme di sicurezza. A tal fine, occorre però che tale Stato dimostri l'esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute o la sicurezza.

Infine, per quanto riguarda l'estensione dei poteri dello Stato di approdo, la Corte rileva che quest'ultimo ha diritto per dimostrare l'esistenza di indizi seri di un pericolo, di tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico sono utilizzate per un'attività sistematica di ricerca e soccorso di persone. Per contro, lo Stato di approdo non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione.

Peraltro, lo Stato di approdo non può poi subordinare la revoca del fermo di una nave alla condizione che tale nave disponga di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera.

La Corte conclude poi sottolineando l'importanza del principio di leale cooperazione, secondo il quale gli Stati membri, tra cui quello che riveste la qualità di Stato di approdo e quello che riveste la qualità di Stato di bandiera, sono tenuti a cooperare e a concertarsi nell'esercizio dei loro rispettivi poteri.

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