Lavoro

Pubblica amministrazione: se il contratto di collaborazione ha natura subordinata va pagato anche il Tfr

Il Tfr compete all'interessato per il fatto stesso di avere ricevuto un compenso corrispondente al valore delle mansioni lavorative svolte, a condizione che tali mansioni siano riconducibili a un rapporto di natura subordinata e a prescindere dalla qualificazione formale dello stesso a opera delle parti contraenti

di Pietro Alessio Palumbo


In tema di pubblico impiego privatizzato, in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, in seguito ad accertamento giudiziario, risulti avere la sostanza di contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non può conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione. Tuttavia – ha chiarito la Corte di Cassazione (ordinanza 4360/2023) – il lavoratore ha diritto a una tutela risarcitoria nonché alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale e alla corresponsione del trattamento di fine rapporto per il periodo pregresso.

Nel pubblico impiego privatizzato, alla violazione di disposizioni imperative che riguardino l'assunzione, sia a seguito di pubblico concorso sia attingendo alle liste di collocamento, non può mai fare seguito la costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato, atteso che la logica della disciplina sul lavoro pubblico, che prevede il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, non risiede esclusivamente nel rispetto delle regole del pubblico concorso, ma anche, più in generale, nel rispetto del principio cardine del buon andamento della pubblica amministrazione. Principio che sarebbe pregiudicato qualora si addivenisse all'immissione in ruolo senza alcuna valutazione dei fabbisogni di personale e senza seguire le linee di programmazione nelle assunzioni, che sono indispensabili per garantire l'efficienza dell'amministrazione pubblica e il rispetto delle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica. Il divieto in questione, peraltro, non può estendersi al diritto a percepire gli importi, di qualunque genere, maturati a titolo retributivo e ricollegati allo svolgimento effettivo dell'attività lavorativa, nonostante il diritto alla loro riscossione si collochi alla fine di un rapporto lavorativo sorto in violazione di disposizioni imperative che riguardino l'assunzione. Ne deriva la necessità di un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa rilevante in materia, che eviti distinzioni immotivate fra dipendente pubblico e privato.

Il Tfr compete all'interessato per il fatto stesso di avere ricevuto un compenso corrispondente al valore delle mansioni lavorative svolte, a condizione che tali mansioni siano riconducibili a un rapporto di natura subordinata e a prescindere dalla qualificazione formale dello stesso a opera delle parti contraenti. Se non conta l'originaria denominazione del rapporto come subordinato, non può, a maggior ragione, rilevare che detta denominazione venga assunta in un secondo momento o che, in seguito all'accertamento del giudice, il medesimo rapporto diventi formalmente subordinato.
Il fatto che la normativa generale riconosca il diritto al Tfr in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato non implica una sua formalizzazione come tale anteriormente alla sua risoluzione, atteso che questa disposizione si limita a individuare il momento a partire dal quale siffatto diritto può essere esercitato, collocandolo alla fine del rapporto; ma non impone di riconoscere il Tfr solo in presenza di un contratto espressamente qualificato come di lavoro subordinato, ben potendo il giudice limitarsi a riconoscerne l'esistenza posteriormente e solo dopo la sua cessazione ricorrendo ad una sorta di fictio iuris.

Se ne ricava il principio per il quale, nel pubblico impiego privatizzato, la violazione delle disposizioni in tema di assunzione del dipendente e, nello specifico, di quelle sulla stipulazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, non può tradursi nella costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma non preclude la maturazione del diritto del lavoratore al Tfr, qualora il giudice accerti che, in fatto, il collaboratore coordinato e continuativo ha eseguito prestazioni di natura subordinata. D'altronde, l'accoglimento di una tesi opposta condurrebbe a un esito singolare. Infatti, il lavoratore che, dopo avere stipulato un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un datore privato, si vedesse riconosciuto giudizialmente lo status di subordinato, avrebbe diritto al pagamento del Tfr, una volta cessato il rapporto di lavoro. Al contrario, ove identico contratto fosse stato concluso con la Pa, egli non potrebbe ricevere, nelle stesse circostanze, il Tfr, pur avendo espletato le medesime mansioni.
Siffatto esito, però, sarebbe palesemente discriminatorio non essendo fondato su differenze oggettive fra le prestazioni lavorative rese, ma solo sulla natura, pubblica o privata, del datore di lavoro. Neppure questo risultato potrebbe essere giustificato alla luce del disposto costituzionale, in base al quale, nel pubblico impiego privatizzato, alla violazione di disposizioni imperative che riguardino l'assunzione, sia per pubblico concorso sia attingendo alle liste di collocamento, non può mai fare seguito la costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato.

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