Comunitario e Internazionale

I brevetti sugli standard essenziali nelle comunicazioni digitali e la concorrenza tra UE e Corte unificata dei Brevetti

In future potremmo assistere – nel delicatissimo tema dell'implementazione delle tecnologie 5G negli stati UE - ad una sorta di dualismo/competizione tra la corte unificata dei brevetti e l'EUIPO

di Mark Bosshard*

E' di qualche giorno fa la pubblicazione delle statistiche relative ai depositi di brevetti europei nell'anno passato. Dai numeri emerge come un gran numero di essi siano stati depositati nel settore delle telecomunicazioni digitali e che, in questo settore, sono in prevalenza imprese statunitensi e dell'estremo oriente, Cina in testa, a farla da padrone.

Si tratta di una circostanza rilevante in quanto il settore presenta un alto grado di standardizzazione, nel senso che, per realizzare apparecchi in grado di trasmettere e ricevere dati in formato digitale sfruttando le reti di telecomunicazione esistenti, occorre rispettare specifici protocolli comunicazione (3G, 4G e – in futuro – 5G). L'adozione di questi protocolli è di fatto obbligatoria per chiunque intenda realizzare apparecchi in grado di trasmettere e ricevere dati, come telefoni cellulari, tablet, ma anche automobili dotate di navigatore o di altre funzioni avanzate. Con l'avvento del 5G, inoltre, si assisterà ad un boom di dispostivi di domotica e di elettrodomestici "smart", ossia in grado di operare sulla base di scambi di dati digitali. E non diversamente accadrà per le cosiddette "citta connesse". Tutto questo, per funzionare, dovrà adeguarsi agli standard del 5G.

E qui sorge il problema, visto che la gran parte di questi standard richiede l'adozione di tecnologie brevettate (per lo più da imprese non europee). Stiamo parlando di centinaia (se non migliaia) di brevetti necessari per poter commercializzare legittimamente ciascun singolo prodotto che rispetti lo standard.

Questo significa che il titolare di ciascun brevetto ha, per effetto dello standard, il potere di impedire l'accesso ad un intero mercato, anche se in realtà la sua tecnologia riguarda una minima frazione dello standard.

Come dunque ottenere il consenso da tutti i titolari di questi brevetti evitando abusi?

La questione – almeno per il settore della telefonia e dell'automotive – è stata risolta dal mercato: chi ha un brevetto di questo genere, se si tratta di brevetto necessario per implementare uno standard, deve notificare il brevetto all'ente (privato) che disciplina lo standard obbligandosi però a darlo in licenza, a chiunque voglia attuare lo standard, a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (cosiddette condizioni "FRAND"). Sono poi nati degli enti (sempre privati) che raccolgono dai titolari dei brevetti l'incarico di negoziare queste licenze: gli enti in questione creano dei pool di brevetti (che includono centinaia di brevetti) che consentono di implementare lo standard e che vengono offerti in blocco in licenza ai potenziali utenti. Ma se l'accordo alla fine non si trova, i titolari dei brevetti possono far valere in giudizio i loro brevetti e, dunque, bloccare il potenziale licenziatario.

Il punto nodale di queste trattative è sempre stato definire cosa si intende per condizioni "eque, ragionevoli e non discriminatorie", dato che titolare del brevetto e potenziale licenziatario hanno sempre idee diverse al riguardo. Altro punto è definire a quale livello della catena produttiva può essere richiesta la licenza: componenti primari (chip), componenti secondari (dispositivi di ricetrasmissione dati digitali) o prodotto finito (telefono mobile o autovettura)?

La royalty dipende infatti dal valore del dispositivo: un chip costa meno di un'automobile e dunque la royalty FRAND è diversa in un caso e nell'altro. I titolari di brevetto vorranno chiedere licenze sui prodotti finali, mentre i fabbricanti di prodotti finali vorranno dirottare le trattative verso chi fabbrica dispositivi di ricetrasmissione dati o chip.

Che accade poi se una licenza viene concessa al fabbricante del chip ma non anche a chi fabbrica il prodotto finale? Occorre anche capire quando i licenziatari trattano in buona fede (restando preclusa la possibilità del titolare del brevetto di agire in giudizio con richieste di cessazione dell'uso della tecnologia) e quando no (caso in cui il titolare può invece agire in giudizio). Infine, non è sempre facile verificare se un certo brevetto è effettivamente essenziale per implementare un dato standard.

Su tutti questi punti sono sorti forti contrasti tra titolari di brevetti e potenziali licenziatari, sfociati in contenziosi dinanzi ai giudici di tutta Europa, ma – in particolare – dinanzi alle corti tedesche, a causa del fatto che si tratta di corti che hanno mostrato di voler più spesso favorire i titolari dei brevetti rispetto ai potenziali licenziatari.

L'imminente entrata in vigore del trattato UPC, che istituisce la corte unificata dei brevetti, secondo gli addetti ai lavori potrebbe contribuire a risolvere il problema, giacché le questioni di cui si è detto verrebbero trattate e decise da un unico giudice specializzato esclusivamente in materia brevettuale in relazione a diversi stati dell'UE, con la conseguenza che si creerebbe nel tempo una giurisprudenza capace di dare indicazioni univoche sia ai titolari dei brevetti che ai potenziali licenziatari.

Sennonché, a complicare le cose, è recentemente intervenuta sul tema anche l'UE, che ha manifestato a sua volta la volontà di adottare dei provvedimenti normativi (non è ancora chiaro di quale genere e con quale contenuto) al fine di affidare all'EUIPO (ufficio che si occupa della concessione di marchi e disegni e modelli UE) delle competenze relativamente all'individuazione dell'effettiva essenzialità dei brevetti per implementare un certo standard e per la definizione delle condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie.

La decisione in questione ha suscitato un certo scetticismo tra gli addetti ai lavori, giacché l'EUIPO non si è mai occupato di brevetti (ma solo di marchi e di design), dunque appare -quanto meno allo stato attuale - molto meno preparato ad affrontare la questione rispetto alla corte unificata dei brevetti.

Insomma: in futuro potremmo assistere – nel delicatissimo tema dell'implementazione delle tecnologie 5G negli stati UE - ad una sorta di dualismo/competizione tra la corte unificata dei brevetti ("vero" giudice comune a diversi Stati Membri e composto da magistrati specializzati in materia brevettuale) e l'EUIPO (organo burocratico dell'UE che mai ha trattato in passato la materia brevettuale). Il che potrebbe non rappresentare la soluzione ottimale, specie considerando – come si diceva all'inizio – che si tratta di tecnologie in relazione alla quali le imprese europee (salvo qualche rara eccezione) si collocano tendenzialmente sul lato del licenziatario e non del titolare del brevetto, dunque sul lato dei soggetti che – essendo esposti al rischio di azioni giudiziarie da parte dei titolari dei brevetti per impedire di sfruttare la tecnologia brevettata – risultano certamente più danneggiati da una situazione di incertezza.

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*A cura dell'Avv. Mark Bosshard – patent specialist, Hogan Lovells, Milano

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