Lavoro

Lavoratore sportivo o collaboratore sportivo? Problematiche attuali e prospettive di cambiamento

Il 26 febbraio 2021, il Consiglio dei Ministri ha approvato i cinque Decreti Legislativi di riforma del sistema sportivo italiano: tuttavia, come ben noto, con la conversione in Legge del Decreto Sostegni bis (Legge 23 luglio 2021 n. 106), le date di entrata in vigore dei vari provvedimenti relativi alla nuova riforma dello Sport sono nuovamente slittate al 1° gennaio 2023.

di Francesco Cerotto*

Il 26 febbraio 2021, il Consiglio dei Ministri ha approvato i cinque Decreti Legislativi di riforma del sistema sportivo italiano: tuttavia, come ben noto, con la conversione in Legge del Decreto Sostegni bis (Legge 23 luglio 2021 n. 106), le date di entrata in vigore dei vari provvedimenti relativi alla nuova riforma dello Sport sono nuovamente slittate al 1° gennaio 2023.

Il rinvio, per quanto necessario, porta con sé alcuni nodi da sciogliere per i collaboratori sportivi delle associazioni dilettantistiche, congelando un problema atavico dello sport italiano non professionistico.

Infatti, l'art. 25 del D.Lgs. 36 del 2021 ha definito la figura del lavoratore sportivo come: "l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercitano l'attività sportiva verso un corrispettivo", disciplinando e parificando sotto molteplici profili per la prima volta il movimento dei dilettanti a quello dei professionisti.

L'intento è quello di riunire le normative sparse, che riguardano il movimento dei dilettanti, in un corpus unitario che renda più agevole la gestione anche della quotidianità associativa.

Con questa idea è nata anche la "prestazione sportiva amatoriale" e la figura dei c.d. amatori, individuati come "coloro che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro neanche indiretti, ma esclusivamente per finalità amatoriali a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, FSN, DSA ed EPS" (art. 29, D.lgs. in materia di lavoro sportivo).

Sulla scorta di tali definizioni vengono riconosciuti ai volontari / amatori solo i compensi occasionali, ovvero indennità di trasferta e rimborsi spese indicati dall'art. 69, comma 2, del TUIR, ma solo nei limiti di € 10.000,00 (art. 36, comma 7 e 29, comma 2, D.Lgs. 36/2021).

Tuttavia, in riferimento all'erogazione di tali importi (premi e compensi occasionali), la riforma precisa che - qualora le indennità di trasferta e i rimborsi superassero i limiti reddituali normativamente imposti (oggi fissati con un tetto massimo di 10.000 euro) - le prestazioni sportive svolte dall'amatore non rientrerebbero nei redditi diversi di cui al TUIR, bensì in quella del lavoro autonomo, con assoggettamento a tassazione ordinaria dell'importo eccedente e a contribuzione dell'intero importo percepito (articolo 36, comma 6 del DL 36/2021).

Questi passaggi, per quanto articolati, hanno sollevato numerose critiche e rimostranze da parte degli operatori del settore allarmati dalla possibilità - per cercare una sintesi del problema - che, al superare della soglia di 10.000,00 euro di redditi diversi, il c.d. amatore possa "trasformarsi" in un ingestibile costo per l'associazione/società Sportiva.

La lettura coordinata delle normative in effetti presta il fianco quantomeno a dubbi interpretativi, procurando allarme tra gli operatori che vedono lo spettro del default economico di molte associazioni se ciò dovesse avvenire.

Infatti, non sono pochi i casi di Associazioni Sportive Dilettantistiche che poggiano le proprie fondamenta sull'attività dei collaboratori sportivi dilettantistici (in un'accezione che varierà inevitabilmente) ricompensati con somme di poco superiori alla soglia dei 10.000,00 euro di cui all'art. art. 67 comma 1 lett. m) del Tuir relativo ai cd. "redditi diversi" ai fini Irpef.

Tuttavia, sebbene da un punto di vista normativo, tale problematica sia esplosa solo negli ultimi tempi, la realtà racconta di contrasti che vanno avanti da molti anni, coinvolgendo Agenzia delle Entrate, Magistratura, Enti Previdenziali, Lavoratori, Associazioni Sportive virtuose e non.

Vi è da dire che, dalle indicazioni che giungono dal "Tavolo Tecnico" sul lavoro sportivo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, appare molto probabile l'eliminazione della figura dell'amatore che tanto preoccupava gli addetti ai lavori.Tuttavia, ciò non toglie che, ad oggi, permane il nodo atavico della c.d. collaborazione sportiva dilettantistica, da intendersi come il rapporto contrattuale tra un Ente Sportivo dilettantistico e un collaboratore che si obbliga a effettuare una prestazione normata esclusivamente, da un punto di vista fiscale, dal combinato disposto dell'art. 67, comma 1 del TUIR, e art. 35, comma 5, del d.l. n. 207 del 2008, convertito dalla legge n. 14 del 2009.Non esistendo una definizione giuslavoristica, per potersi operare l'esonero dell'obbligo contributivo, diviene fondamentale, da un lato, la valutazione della natura dell'ente che eroga i compensi (non solo iscritto nel Registro Coni, ma anche la sostanziale natura di ente senza scopo di lucro che realizza attività sportive dilettantistiche) e, dall'altro, la non professionalità dell'esercizio dell'attività di collaborazione prestata in favore delle associazioni/società sportive.

Su questi due punti nodali, in attesa di comprendere la posizione definitiva della riforma dello sport, negli ultimi anni vi sono state molte decisioni di merito e legittimità, che hanno tentato di far chiarezza sull'argomento, con il rischio però di ingenerare ancor più confusione nell'operatore del diritto e del settore.

Infatti, tutta la giurisprudenza formatasi nel periodo 2019-2021, ha ormai cristallizzato il principio secondo cui "osta alla qualifica dei compensi come redditi diversi, il carattere professionale della prestazione svolta abitualmente dagli istruttori oltre al carattere non occasionale dell'attività lavorativa che richiede il possesso di specifiche competenze tecniche oltre alla non marginalità dei compensi" (sul punto: Corte di Appello di Roma n. 2423/2021, ma anche, Commissione Tributaria di primo grado, Trento, sez. 2, sentenza dell'11 marzo 2021, n. 55, Corte di Cassazione, Sez. lavoro, n. 21535/2019 e Corte di Cassazione, sez. lavoro, n. 11375/2020, che pone l'accento sulla "abitualità della prestazione" che esclude l'applicabilità dell'esonero previsto dell'art. 67, comma 1, lett. m del TUIR).

Questa la linea di demarcazione tracciata dalla giurisprudenza che, seppur astrattamente condivisibile da un punto di vista giuridico, apre scenari poco comprensibili per gli operatori del settore, ove si consideri che la maggior parte delle Associazioni sportive dilettantistiche fonda la propria attività sul contributo dei collaboratori sportivi e volontari.

Infatti, volendo estremizzare il punto di non ritorno a cui si è giunti, siamo ormai vicini al paradosso secondo cui la ricerca di specializzazione e professionalità dell'istruttore/collaboratore verrebbe sacrificata sull'altare del regime fiscale più vantaggioso per poter far sopravvivere l'associazione sportiva già colpita duramente dalla pandemia.

Appare a questo punto ancor più necessario l'intervento del Legislatore affinché regolamenti la figura del collaboratore sportivo, dal momento che le maglie della normativa fiscale hanno ormai cinto mortalmente e definitivamente il mondo dell'associazionismo sportivo dilettantistico, senza che la distinzione tra rapporti lavorativi sportivi evidenziata nella riforma dello sport (art. 25, comma II del decreto che identifica: a. rapporto di lavoro subordinato, b. rapporto di lavoro autonomo, c. rapporto di lavoro parasubordinato) possa realmente essere dirimente sul punto.

*a cura dell'avv. Francesco Cerotto, of counsel di Lexalent

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