Immobili

Esecuzioni immobiliari, la Consulta ricorda gli interessi dei creditori

Per la Corte costituzionale, la irragionevolezza della disposizione emerge dal confronto con altre discipline

di Alessandro Auletta e Giovanni Esposito

Con la decisione 128/2021 (si veda il Sole 24 Ore di ieri), la Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità dell’articolo 13, comma 14, del Dl 183/2020. Normativa concernente le procedure esecutive immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore prevedendone, sostanzialmente, la generalizzata sospensione dapprima fino ad ottobre 2020, poi fino al 31 dicembre 2020 e infine fino al prossimo 30 giugno.

Per la Corte costituzionale, la irragionevolezza della disposizione che ha previsto la seconda proroga della sospensione delle procedure immobiliari riguardanti la prima casa emerge dal confronto con altre discipline dettate per regolare l’incidenza della pandemia sul processo civile, in genere, o su alcuni procedimenti civili, in specie; discipline che, con l’evolversi della situazione emergenziale, sono state progressivamente adattate al mutato contesto, diversamente da quanto accaduto per il plesso normativo rimesso all’esame della Consulta.

Si allude, per ciò che concerne le disposizioni di carattere generale, al passaggio da una normativa della prima fase (fino all’11 maggio 2020) – che ha previsto il rinvio d’ufficio delle udienze di trattazione della quasi totalità dei procedimenti civili – ad una normativa regolante la seconda fase (fino al 30 giugno 2020) – caratterizzata dal riconoscimento ai Presidenti dei Tribunali della facoltà di adottare misure organizzative inclusa la indicazione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze civili (o il loro possibile rinvio) – ad una disciplina della terza fase (inizialmente fino ad ottobre 2020, poi prorogata) volta ad agevolare, anche con il ricorso alla telematica, la ripresa delle attività giurisdizionali in materia civile.

Ma anche le disposizioni concernenti specifici procedimenti civili sono state via via adattate al mutato contesto dell’emergenza.

L’esempio emblematico in tal senso è costituito dall’articolo 103, comma 6, del Dl 18/2020: tale disposizione dapprima prevedeva una generale sospensione dei procedimenti di sfratto degli immobili ad uso abitativo e non abitativo (fino al 1° settembre 2020); poi, dopo una prima proroga, la sua efficacia temporale è stata estesa fino al 30 giugno 2021 ma limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze nonché ai decreti di trasferimento adottati ex articolo 586 del Codice di procedura civile.

Come anticipato sul Sole 24 Ore del 28 aprile scorso nel caso del processo esecutivo è mancata una seppur minima indicazione di adeguati criteri selettivi, previsti ad esempio in materia di riscossione esattoriale.

La proroga dell’articolo 54-ter è avvenuta, infatti, in modo generalizzato (rilevando la mera ricorrenza del presupposto abitativo) e senza la specificazione – pure a fronte della evoluzione della pandemia – dei presupposti soggettivi ed oggettivi di una misura radicale che investe, secondo la Corte, l’intero procedimento esecutivo determinandone la paralisi.

La compressione del diritto di agire, anche in via esecutiva, che ne discende – in quanto indiscriminatamente prorogata – si pone al di fuori del contesto di un ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco, avuto riguardo ad esigenze obiettive da soddisfare e alle finalità perseguite.

La sentenza, dagli impercettibili effetti pratici (è arrivata a ridosso della scadenza), è un chiaro monito al legislatore ad astenersi da un ulteriore intervento ove si tenga in esclusivo conto (in modo quindi irragionevole) degli interessi del debitore e non anche di quelli del creditore.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©