Lavoro

Scuola, non c'è mobbing se il preside modifica l'orario del docente

Lo precisa il Tribunale di Rovigo con la sentenza n. 114/2021

di Andrea Alberto Moramarco

Non è vittima di mobbing né di straining la docente che si sente colpita da un piano persecutorio posto in essere nei suoi confronti dal nuovo preside, il quale esercitando il suo ruolo di superiore gerarchico, titolare del potere organizzativo e disciplinare all'interno della scuola, modifica l'orario scolastico dell'insegnante e adotta nei suoi confronti diversi procedimenti disciplinari a seguito di esposti presentati dagli alunni. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Rovigo n. 114/2021.

Il caso
La singolare vicenda riguarda una docente di ruolo di una scuola superiore la quale, a partire dal momento della nomina del nuovo dirigente scolastico, avvertiva un atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, a tal punto da ricorrere all'autorità giudiziaria chiedendo un risarcimento del danno per mobbing, ovvero per straining per il forte stress provocato dalle condotte datoriali.
L'insegnante faceva notare, infatti, una sequela di atti posti in essere dal preside per estrometterla dalla struttura organizzativa con il preciso intento di «perseguitarla e demolirne la personalità e la professionalità». In particolare, la docente lamentava una modifica del suo orario lavorativo di 12 ore settimanali, distribuito su quattro giorni e non su tre come era sempre stato negli anni precedenti; l'adozione in rapida successione di tre procedimenti disciplinari a seguito di rimostranze da parte degli alunni sulla regolarità delle verifiche orali; la sostituzione arbitraria dei voti proposti per gli studenti in occasione degli scrutini; l'emarginazione da parte dei colleghi che avevano appoggiato le contestazioni degli studenti nei suoi confronti.

La decisione
Il Tribunale rigetta in maniera perentoria la domanda risarcitoria dell'insegnante, sottolineando come nella fattispecie non si configuri affatto una fattispecie di mobbing né tantomeno di straining. Ebbene, spiega il giudice, per la sussistenza del mobbing, è «necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione»; mentre per la sussistenza della figura più lieve dello straning, è necessario dimostrare la presenza di «iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene"».
Tale dimostrazione nel caso specifico manca, in quanto alle «lamentate condizioni lavorative» ha contribuito per buona parte la condotta della stessa attrice, che ha instaurato con i colleghi e con gli studenti un rapporto teso e conflittuale che ha finito per penalizzarla. La stessa docente, infatti, ha tenuto in occasione dei procedimenti disciplinari un atteggiamento non improntato al criterio della collaborazione, circostanza che ha contribuito a tenere alta la tensione tra docente, dirigente e alunni, questi ultimi giunti «all'esasperazione» per via dell'atteggiamento ostile dell'insegnante nei loro confronti.
In sostanza, chiosa il giudice, le condotte stigmatizzate dall'insegnante non hanno avuto intento persecutorio nei suoi confronti, «trovando invece le stesse ampia spiegazione nello svolgimento del ruolo di superiore gerarchico spettante al Dirigente, titolare del potere organizzativo e disciplinare all'interno dell'Istituto», nonché «nella conflittualità delle relazioni personali all'interno dell'ufficio, che nel caso dell'Istituto scolastico vedono nel rapporto con i discenti la prima fonte di conflitto».

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