Comunitario e Internazionale

Per interesse pubblico gli Stati possono limitare il cambio del cognome

Senza un diritto assoluto pesano le ragioni della richiesta di variazione

di Marina Castellaneta

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo non riconosce un diritto assoluto al cambiamento del cognome, che è parte dell’identità personale. Di conseguenza, gli Stati possono prevedere limiti per ragioni di sicurezza giuridica e per motivi di interesse pubblico e negare un cambiamento richiesto per sole ragioni di natura soggettiva e sentimentale. È la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire sull’esercizio del diritto di scelta del cognome e sui limiti ai cambiamenti, con la sentenza depositata il 7 febbraio nella causa Jacquinet e altro contro Belgio (n. 61860/15) i cui principi devono essere utilizzati in tutti i casi di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione europea, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

A rivolgersi a Strasburgo sono stati padre (francese) e figlio (belga), residenti in Francia, a seguito del rifiuto delle autorità di Liegi sulla richiesta del padre di abbandonare il cognome paterno e sostituirlo con quello della madre che lo aveva cresciuto. Secondo il dipartimento per i cambiamenti di nome e cognome non era stato dimostrato che il cognome fino quel momento utilizzato «fosse diventato così insopportabile» da richiederne la sostituzione che era stata presentata unicamente per ragioni affettive, senza che sussistessero motivi seri, idonei a giustificare il cambiamento. Dello stesso avviso il Consiglio di Stato, con la conseguenza che i due richiedenti si sono rivolti alla Corte europea che, già in passato, ha riconosciuto il diritto al cambiamento di cognome in quanto incluso nel diritto al rispetto della vita privata e familiare. Chiarito che il rifiuto di autorizzare il cambiamento di cognome può rientrare nella violazione degli obblighi positivi imposti agli Stati in base all’articolo 8 della Convenzione, Strasburgo ha precisato che il cognome è l’elemento principale che permette di identificare una persona nella società. Gli Stati, tuttavia, in questo campo hanno un ampio margine di discrezionalità perché ogni Paese tiene conto delle particolarità della società, delle tradizioni e di fattori storici, linguistici, religiosi e culturali. È così «impossibile trovare un denominatore comune tra gli Stati», con la conseguenza che, sul piano interno, è attribuito agli Stati un più ampio potere di intervento. Le autorità nazionali, infatti, possono porre limiti ai cambiamenti se ciò è necessario per l’interesse pubblico. La Convenzione, d’altra parte, non riconosce un diritto incondizionato al cambiamento del cognome e le autorità interne possono considerare necessario limitare i cambiamenti anche per esigenze di uniformità nei registri di stato civile e per evitare confusioni e assicurare l’ordine della società e della famiglia. Detto questo, però, gli Stati sono tenuti a garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco, con la conseguenza che un approccio meramente formalista è incompatibile con la Convenzione così come un’analisi che non prenda in considerazione, prima della decisione, gli aspetti identitari della domanda di cambiamento. Di qui la possibilità per gli Stati di fissare condizioni nel rispetto, però, del bilanciamento tra i diritti in gioco. Se la richiesta del cambiamento del cognome è giustificata per il solo fatto che un individuo non ha avuto stretti legami con il padre e che sentiva la necessità di riprendere il cognome della madre che l’aveva cresciuto per sentirsi “meglio con sé stesso”, il rigetto dell’istanza e il no al cambio del cognome non sono contrari alla Convenzione.

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