Immobili

In caso di violazione delle distanze legali il danneggiato non ha l'onere della prova

Il principio è stato ribadito dalla sezione II della Cassazione con l'ordinanza 20048/2022

di Mario Finocchiaro

La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l'onere di provare la sussistenza e l'entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso. Lo ha sottolineato la Sezione II della Cassazione con l'ordinanza 21 giugno 2022 n. 20048.

I precedenti conformi
Principio ripetutamente affermato nella più recente giurisprudenza.
Nello stesso senso, oltre Cassazione, ordinanza 9 novembre 2020, n. 25082, e sentenza 16 dicembre 2010, n. 25475, cfr. Cassazione, sentenza 31 agosto 2018, n. 21501, secondo la quale in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l'effetto, certo e indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà, tutte richiamate in motivazione, nella pronunzia in rassegna.
Sempre nel senso che in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria, Cassazione, sentenza 7 maggio 2010, n. 11196.

... e quelli contrari
In termini opposti - la violazione delle norme codicistiche sulle distanze legali (ovvero delle norme locali richiamate dal codice), mentre legittima sempre la condanna alla riduzione in pristino, non costituisce di per sé fonte di danno risarcibile, essendo al riguardo necessario che chi agisca per la sua liquidazione deduca e dimostri l'esistenza e la misura del pregiudizio effettivamente realizzatosi - peraltro, Cassazione, sentenza 24settembre 2009, n. 20608.
Sempre in termini opposti, rispetto alla pronunzia in rassegna e, in particolare, per l'affermazione che l'articolo 872 comma 2 Cc - secondo cui colui che per effetto della trasgressione di norme edilizie ha subito danno deve essere risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino in ipotesi di violazione delle norme contenute nella sezione successiva dello stesso capo del codice civile o da essa richiamate - deve interpretarsi nel senso che l'onere della prova dell'effettiva sussistenza del danno inerisce esclusivamente al diritto al risarcimento, il quale compete se e nella misura in cui si sia verificato il danno, mentre il diritto alla riduzione in pristino, mediante la demolizione della costruzione fino al limite della distanza legale, sorge per il solo fatto della indicata violazione, indipendentemente dall'effettiva sussistenza del danno, e non è neanche condizionato dall'autonomo potere della Pa di ordinare in via amministrativa la demolizione totale o parziale della costruzione abusivamente realizzata, Cassazione, sentenza 2 agosto 1990 n. 7747, nonché Cassazione, sentenze 9 aprile 1987, n. 3503 e 23 marzo 1982 n. 1838.
Per una soluzione intermedia, cfr. Cassazione, sentenza 15 dicembre 1994, n. 10775, secondo la quale il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile e integrative di queste relative alle distanze nelle costruzioni si identifica nella violazione stessa, costituendo un asservimento de facto del fondo del vicino al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria,. Nel caso, invece, di violazioni di norme speciali di edilizia non integrative della disciplina del codice, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, il proprietario di questo è tenuto a fornire una prova precisa del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro.
In quest'ultimo senso, Cassazione, sentenza 11 febbraio 2008, n. 3199, in Rivista notariato, 2009, II, p. 1006, con nota di Zavettieri G., In tema di distanze legali tra fabbricati costruiti in confine con le piazze e le vie pubbliche.
Nel senso, ancora, che l'azione di risarcimento dei danni prevista dall'articolo 872, comma 2, Cc, come unico mezzo di tutela per colui che abbia subito danno in conseguenza della violazione di norme di edilizia e di ornato pubblico non concernenti le distanze legali, può trovare accoglimento solo se il danno risulti concretamente dimostrato, Cassazione, sentenze 5 giugno 1998, n. 5514 e 5 maggio 2000, n. 5666, in Rassegna locazioni e condominio, 2001, p, 135, con nota di De Tilla M., Sul pari uso del condominio.
Per la precisazione che le prescrizioni in tema di distacchi delle costruzioni dalle strade di cui all'articolo 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, non rientrando fra quelle concernenti le distanze nelle costruzioni richiamate nel comma secondo dell'articolo 872 Cc, non conferiscono al proprietario del fondo confinante il diritto di chiedere la demolizione dell'opera realizzata in violazione di esse, ma gli consente di richiedere il risarcimento del danno conseguente alla suddetta violazione, se tale danno risulti concretamente provato, Cassazione, sentenza 7 marzo 2002, n. 3341.

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