Comunitario e Internazionale

Niente rinvio alla Corte Ue se l’interpretazione non è dubbia

Non va dimostrato che gli eurogiudici arriverebbero alle stesse conclusioni

di Marina Castellaneta

I giudici nazionali di ultima istanza possono astenersi dal sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità solo se la corretta interpretazione «si imponga con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio». Detto questo, però, nel contesto del dialogo tra corti, non è necessario dimostrare «in maniera circostanziata» che altri giudici di ultima istanza e la stessa Corte adotterebbero la stessa interpretazione. È quanto ha precisato la Corte Ue con l’ordinanza C-144/22 (analoga alla C-597/21) su rinvio del Consiglio di Stato che voleva un chiarimento sull’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che, nel disciplinare il rinvio pregiudiziale, dispone che i giudici interni che si pronunciano con sentenze definitive sono obbligati a chiedere l’intervento della Corte Ue per i chiarimenti interpretativi del diritto dell’Unione necessari a risolvere la causa.

Il procedimento nazionale aveva al centro una controversia tra una società che gestiva un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, e il comitato tecnico regionale delle Marche. La società era stata regolarmente autorizzata, ma era sorta una controversia prima dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche e poi dinanzi al Consiglio di Stato sulla corretta interpretazione dell’articolo 3, punto 12, della direttiva 2012/18 sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose. Il Consiglio di Stato ha dubbi sull’obbligo di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue e ha chiesto agli eurogiudici di chiarire se i giudici nazionali debbano dimostrare in maniera circostanziata che, dal punto di vista soggettivo, anche altri giudici di ultima istanza di altri Stati membri e la stessa Corte adotterebbero la stessa interpretazione.

Chiarito che i giudici nazionali non hanno l’obbligo di sollevare la questione pregiudiziale se la questione Ue s’impone con evidenza tale da non lasciare ragionevoli dubbi sull’interpretazione, la Corte ha individuato i criteri che devono guidare il giudice interno. In particolare – osserva Lussemburgo – il giudice nazionale «deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici nazionali di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte», senza, però, che sia necessario dimostrare ciò in modo circostanziato. Inoltre i tribunali interni devono valutare il rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dello spazio Ue, considerare le diverse versioni linguistiche degli atti Ue e la terminologia propria del diritto europeo, inserendo ogni norma nel suo contesto e tenendo conto delle finalità. Se, però, esistono diversi orientamenti giurisprudenziali, il giudice nazionale deve «prestare particolare attenzione» prima di escludere il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo per non incorrere in una violazione del diritto dell’Unione.

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