Professione e Mercato

Accesso alla professione forense, la rabbia delle Associazioni dopo la stroncatura della riforma da parte di Cnf e Ocf

Per i vertici dell'Avvocatura le Pdl Di Sarno e Miceli sono inadeguate a produrre un avvocato all'altezza

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di Francesco Machina Grifeo

Dopo la bocciatura di ieri in Commissione del Cnf e dell'Ocf delle proposte di riforma dell'accesso alla professione forense, presentate dagli onorevoli Di Sarno (M5S) e Miceli (PD), colpevoli di produrre legali "non all'altezza", arriva la reazione dei Giovani avvocati e dei praticanti che non si rassegnando alle regole di un tirocinio e di un esame che considerano ormai superati dai tempi.

Per il Presidente dell'Aiga, Antonio de Angelis, è vero che la riforma dovrebbe partire dall'Università ma avrebbe "tempi lunghissimi, e allora, prosegue, "lavoriamo tutti insieme alla riforma del percorso universitario di Giurisprudenza" ma intanto "riformiamo l'esame, non rendendolo più facile ma più snello: una prova scritta anziché tre; più moderno: utilizzando strumenti informatici e banche dati, anziché fogli protocollo e codici costosi; più giusto: con l'obbligo motivazionale rafforzato". Riguardo poi al tema del compenso, in risposta alla affermazione del Consigliere Cnf Di Maggio secondo cui almeno inizialmente il valore del praticante è "zero", De Angelis ricorda che "l'articolo 40 della legge professionale già lo prevede. Basterebbe soltanto applicarlo".

Per Federica Airò Farulla, Responsabile della Consulta nazionale praticanti Aiga, "urge assolutamente modificare l'esame alla luce del fatto che dal 2022 la frequentazione delle scuole forensi (tra l'altro a spese del praticante) diventerà obbligatoria". "Dunque - prosegue - per i praticanti riuscire ad abilitarsi sarà veramente difficoltoso in quanto gli stessi dovranno svolgere sia le prove della Scuola forense sia le tre prove previstenell'attuale esame di abilitazione, più la prova orale che consta di ben sei materie". "Alla luce di questo, le proposte degli Onorevoli Miceli e Di Sarno ben rappresentano le esigenze di riforma". Mentre, aggiunge "è veramente triste sentire dal Cnf che il praticante non va pagato", quando "è la stessa Legge Professionale forense a prevedere che un rimborso o una sorta di compenso debba essere corrisposto al praticante". Non si comprende, conclude Farulla, come gli organi istituzionali possano affermare che l'attuale esame "garantisce dimostrare di essere all'altezza di un avvocato moderno".

Per l'onorevole Miceli, presentatore di una proposta che semplifica l'esame (una sola prova scritta; due materie obbligatorie, deontologia e una delle due procedure, e tre facoltative per l'orale) ieri non è stata una buona giornata per l'Avvocatura. "Chi ha il dovere di rappresentare questo mondo – afferma – deve farlo per intero, tutelando anche i praticanti". "È mortificante –prosegue – sentire che il praticante vale ‘zero'". Miceli boccia poi l'equazione secondo cui la riduzione delle prove scritte equivarrebbe a produrre avvocati di qualità inferiore. "Si può discutere delle riforma dell'Università – dove manca assolutamente la parte pratica – ma non si può dire che l'esame così com'è sforni maghi del foro". Per Miceli dunque va superata la "logica dell'esame filtro", la stessa che porta a criticare quei Fori che hanno numeri di promossi alti. Mentre "è fuori dal mondo" essere contro l'informatizzazione dell'esame perché, come sostenuto ieri dal Cnf, è impensabile avere un pc per ogni praticante.

La settimana prossima in Commissione giustizia della Camera sarà audita l'Aiga ma si sta pensando di dare spazio anche alle Associazioni dei praticanti per sentire direttamente la loro voce.

Per Claudia Majolo presidente UPA: "Non è solo la bocciatura senza appello della riforma dell'esame d'avvocato che colpisce al cuore migliaia di praticanti ma le parole dure, oserei definire quasi spietate, dall'Avvocato Vincenzo Di Maggio, consigliere del C.N.F. secondo cui "il valore economico del praticante quando arriva in studio è zero all'inizio. Dovrebbero invertirsi i rapporti, poi il suo apporto cresce con il tempo". "E' inutile ribadire – prosegue - quanto tali parole abbiano contribuito a gettare ancor più nello sconforto l'intera categoria dei praticanti avvocati, i quali non solo si ritrovano privi di qualsiasi forma di tutela o assicurati dalla previsione di misure emergenziali per disciplinare la sessione d'esame 2020/2021, già fortemente compromessa dalla pandemia, ma vedono anche naufragare l'aspettativa di una riforma che possa snellire una vetusta e arcaica procedura d'esame oramai divenuta figlia del Secolo scorso". "Chiedere un cambio di rotta riguardo a un esame così vecchio e obsoleto, già da più parti auspicato e caldeggiato, non significa affatto richiedere una scorciatoia o di sostenere un esame svuotato di ogni significato come qualcuno, a torto, ritiene", conclude Majolo.

Intanto un'altra Associazione di praticanti, l'Aipavv, nei giorni scorsi ha depositato un Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro lo stop all'esame di abilitazione forense per consentire a migliaia di ragazzi rimasti esclusi di abilitarsi alla professione. Al centro dell'azione legale l'attuale impostazione dell'esame che violerebbe i vincoli comunitari e il mancato rispetto della cosiddetta libertà professionale e di concorrenza, introducendo ostacoli ingiustificati all'accesso al lavoro. Secondo i ricorrenti l'attuale sistema "crea una concorrenza sleale a favore dei giovani legali europei che avendo percorsi di studio ed esami più agevoli, si abilitano e accedono al mercato in tempistiche assai più brevi di quelle italiane con effetti disastrosi sui guadagni". "Il ricorso dunque – spiegano i legali dello studio Leone-Fell - suggerisce al legislatore di conformarsi alla normativa europea e di eliminare quegli ostacoli irragionevoli e ingiustificati all'accesso al lavoro e alle professioni in generale, tra i quali, per le modalità con cui è congeniato, rientra senza dubbio l'esame di abilitazione forense".

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