Lavoro

Alle S.U. la restituzione della indennità di mobilità se la reintegra non è effettiva

La Cassazione, ordinanza interlocutoria 25399 del 23 settembre, ha posto la questione della ripetibilità dei trattamenti di disoccupazione percepiti a seguito di licenziamento dichiarato illegittimo nel caso in cui sia mancata l’effettiva ricostituzione del rapporto

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di Francesco Machina Grifeo

Va alle Sezioni unite la ripetibilità della indennità di mobilità in caso di reintegra per illegittimità del licenziamento senza però che vi sia stata una effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro. Il 21 agosto scorso, ordinanza n. 22985, la Sezione lavoro aveva invece rimesso al “Massimo consesso” la questione relativa alla ripetizione dell’indennità di disoccupazione in caso di nullità dell’apposizione del termine, giudizialmente accertata.

In quel caso, la questione posta era “se sia venuto meno lo stato di involontaria disoccupazione nel tempo intercorrente tra la scadenza del termine del contratto e la sentenza che ne accerta l’illegittimità, quando la tutela apprestata non sia tale da assicurare, seppur ex post e a fronte di un rapporto di lavoro formalmente rispristinato ex tunc, la realizzazione della finalità di sostegno al reddito a cui è ordinariamente finalizzata l’indennità di disoccupazione involontaria, la cui natura previdenziale ha la funzione di fornire ai lavoratori e alle loro famiglie un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell’art. 38, comma 2, della Costituzione”.

Con l’ordinanza interlocutoria 25399 del 23 settembre, la IV Sezione, avendo rilevato contrastanti orientamenti, ha dunque rinviato alle Sezioni unite la questione della ripetibilità dei trattamenti di disoccupazione, e in particolare dell’indennità di mobilità, percepiti dal lavoratore a seguito di licenziamento dichiarato illegittimo, nel caso in cui all’ordine di reintegrazione non sia conseguita l’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro.

L’Inps ha proposto ricorso contro la decisione della Corte di appello che aveva dichiarato l’insussistenza del diritto dell’Istituto ad ottenere la restituzione del trattamento di integrazione salariale e dell’indennità di mobilità per il periodo febbraio 2009-luglio 2013. Secondo il giudice territoriale, infatti, se è vero che una pronuncia giudiziale aveva riconosciuto ai lavoratori licenziati, a seguito del fallimento della società, la continuazione del rapporto di lavoro con la Srl subentrante, che aveva rimesso in attività lo stabilimento, nei fatti lo stato di disoccupazione non era venuto mai meno. Infatti, i lavoratori, pur avendo conseguito un provvedimento che dichiara illegittimo il licenziamento e dispone la reintegrazione nel posto di lavoro, hanno continuato a non svolgere alcuna prestazione e a non percepire alcuna retribuzione.

Per l’Inps però il rapporto di lavoro doveva considerarsi comunque ripristinato «a prescindere dall’incompleto ed inesatto adempimento dell’obbligazione retributiva da parte del datore di lavoro». Tale interpretazione sarebbe l’unica compatibile con l’esigenza di garantire la tutela sociale alle situazioni di effettivo bisogno, che non si raccorderebbero alla mera inattività, ma all’estinzione del rapporto di lavoro.

Dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, per la Cassazione si profila l’alternativa “tra la sufficienza del dato eminentemente formale della ricostituzione de iure del rapporto di lavoro” e “la necessità di ponderare, per contro, una ricostituzione effettiva e di tenere comunque nel debito conto anche il carattere satisfattivo della tutela che il lavoratore abbia medio tempore conseguito”.

Non solo, nel contesto di questa seconda scelta, occorre poi chiarire quale incidenza abbiano il contegno e la diligenza del lavoratore, e cioè per esempio se egli si sia attivato o meno per dare esecuzione alla sentenza sulla reintegra. Un aspetto quest’ultimo “enfatizzato dalla difesa dell’Istituto”.

Le questioni dibattute, prosegue la decisione, si pongono “al crocevia tra tematiche di capitale importanza, che attengono alle interferenze, da sempre problematiche, tra le vicende del rapporto di lavoro, anche in connessione con i loro esiti contenziosi, e la tutela contro la disoccupazione, garantita dallo Stato sociale”.

La corretta ricostruzione dell’assetto prefigurato dal legislatore si riverbera sull’attuazione stessa dei principi presidiati dall’articolo 38, secondo comma, Cost., che prescrive non solo l’astratta previsione, ma anche la concreta garanzia dei sussidi contro la disoccupazione. La Carta fondamentale, infatti, impone che non siano soltanto “preveduti”, ma che siano anche “assicurati” “mezzi adeguati” e pone al legislatore uno stringente vincolo di scopo, che non può non orientare anche l’interpretazione della disciplina vigente.

Su questi temi, conclude la Corte, la giurisprudenza di questa Corte “si rivela quanto mai frastagliata e corrisponde a linee direttrici non sempre convergenti, che rispecchiano la diversa tutela che il legislatore a vario titolo appresta, sul versante negoziale, per l’illegittima cessazione del rapporto e, in un àmbito eminentemente pubblicistico, per sovvenire al bisogno generato dalla disoccupazione”.

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