Penale

Appello con parte civile, sì alla assoluzione nel merito anche se il reato si è prescritto

Per le SU della Cassazione, sentenza n. 36208 depositata oggi, nel giudizio di appello contro la condanna anche al risarcimento dei danni, il giudice è comunque tenuto, vista la presenza della parte civile, a valutare la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito

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di Francesco Machina Grifeo

Nel giudizio di appello contro una sentenza di condanna penale ed al risarcimento del danno, il giudice dell’impugnazione deve poter valutare l’assoluzione nel merito anche qualora il reato si è prescritto in corso di causa, senza dunque doversi limitare a prendere atto della causa estintiva. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali, sentenza n. 36208 depositata oggi, respingendo il ricorso degli eredi di un uomo deceduto a seguito di un incidente nautico e confermando la decisione della Corte di appello di Catania.

Il giudice di secondo grado, premesso che il reato risultava prescritto, in considerazione della presenza delle parti civili, aveva valutato i fatti nel merito, pervenendo alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato in primo grado, l’istruttoria non era giunta alla prova della responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. E così, in riforma della sentenza, aveva assolto l’imputato perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni civili. Contro questa decisione hanno proposto ricorso le parti civili.

La Quarta Sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa al potere del giudice di appello di pronunciare l’assoluzione nel merito ponendo il seguente quesito: “Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l’assoluzione nel merito anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del ’più probabile che non’ ”.

Per risolvere il quesito, prosegue la decisone, occorre valutare se dalla lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 578 cod. proc. pen. operata dalla Consulta (sent. 182/2021) consegua che è precluso al giudice di appello penale, al maturare del termine di prescrizione del reato, l’accertamento a favore dell’imputato dei presupposti per l’assoluzione nel merito nei termini nei quali è stato, invece, ammesso dalla Cassazione (Sez. U, Tettamanti). Ebbene, il Collegio ritiene che alla questione debba essere data soluzione negativa perchè non vi è incompatibilità tra le due pronunce.

Per la Suprema corte, infatti, il principio consacrato in Sez. U., Tettamanti, che assicura la più ampia tutela del diritto di difesa, non può ritenersi in contrasto con la tutela della presunzione di innocenza secondo quanto indicato dalla Corte costituzionale sentenza n. 182/2021.

I giudici hanno dunque affermato il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito ”.

L’intervento della Corte costituzionale, argomenta la decisione, pone come punto fermo che alla pronuncia di estinzione del reato (ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen.) non possa accompagnarsi l’affermazione, sia pur incidentale, della responsabilità penale dell’autore del danno. Tuttavia, prosegue, la tesi che fa derivare da tale esegesi il ripudio del principio espresso da Sez. U, Tettamanti “finisce per imporre al giudice di appello la mera presa d’atto della causa estintiva”. Si tratta, osserva il Supremo Collegio, di un ragionamento che incorre “nel paradosso di negare, in virtù del principio di presunta innocenza, la possibilità per il giudice di valutare i presupposti dell’assoluzione nel merito, che rappresenta l’obiettivo primario del diritto di difesa”.

Tanto più che l’imputato potrebbe aver scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel «diritto vivente» originatosi da tale sentenza e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che vi ha fatto seguito.

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