Amministrativo

Atti di "nonnismo" e suicidi diffusi non giustificano forme di denuncia offensive dell'istituzione militare

Il comportamento del militare, pur in linea teorica riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero di conio costituzionale, non appare privo di possibili riflessi disciplinari

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di Pietro Alessio Palumbo

Nella singolare vicenda affrontata dal Consiglio di Stato (sent.n.5566 del 6 giugno) un militare, quale rappresentante sindacale, aveva rimarcato attraverso interventi televisivi e on-line, nonché lettere alle più alte cariche dello Stato tra cui il Presidente della Repubblica, l'elevato numero di suicidi in ambito militare; il tutto con formule lessicali particolarmente forti nei riguardi dei ranghi militari accusati di diffusi comportamenti di cd. "nonnismo" da parte dei superiori gerarchici nei confronti dei propri sottoposti. Ne era derivata una enorme diffusione mediatica di tali esternazioni; tali da ingenerare – in assenza di prove precise - un clima di sfiducia e di sospetto nei confronti dell'Istituzione militare tutta. Per tali ragioni il militare era stato sanzionato con la perdita del grado per rimozione.

Ebbene il massimo Giudice amministrativo ha osservato che se, da un lato, negli ordinamenti liberali – al novero dei quali quello italiano va ascritto in ragione della sua adesione alle organizzazioni e convenzioni internazionali – in linea di principio non è vietato al cittadino avere opinioni personali di qualsiasi contenuto, anche dissonanti dai principi costituzionali fondanti; neppure è dubbio, d'altra parte, che più stringenti limiti anche in punto di espressione di tali opinioni, possano essere imposti ad alcune categorie di pubblici funzionari per il ruolo di fiducia collettiva di cui necessitano.

A ben vedere quanto dichiarato sui comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici nei riguardi dei propri sottoposti non può escludersi che risulti davvero tale, tuttavia la diffusione mediatica di tali - non comprovati - comportamenti può ingenerare un clima di sfiducia e di 'sospetto' nei confronti dell'Istituzione militare e per ciò che rappresenta per lo Stato ed i cittadini.

Discende che tale oggettiva e astratta riconducibilità della condotta del militare all'evocato principio fondamentale non vale a escludere la possibile rilevanza disciplinare della stessa, in considerazione dei limiti che il suo perimetro applicativo sopporta. La nostra Corte delle Leggi nelle storiche pronunce del 1965 e del 1974 ne ha, infatti, rimarcato, i confini, a tutela, ad esempio, della sicurezza dello Stato, riferita alla tutela della esistenza, della integrità, della unità, della indipendenza, della pace e della difesa militare e civile. Anche la stessa Corte della Nomofilachia ha riconosciuto che viene in considerazione un diritto che non può essere considerato senza limiti. Ne consegue che, a prescindere dalla dimostrazione dell'intento propagandistico che avrebbe spinto il militare a rilasciare le suddette dichiarazioni, queste possono risultare rilevanti sul piano disciplinare.

Secondo il Consiglio di Stato va anche osservato che la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali: la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione ed il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità. L'incidenza della sanzione espulsiva implementa tuttavia l'intensità del sindacato del giudice, potendosi verificare, sia pure secondo criteri di immediata evidenza, la sussistenza di fatti dotati di assoluta gravità come tali idonei a costituirne giustificazione.

Su queste basi nella vicenda vanno evidenziati alcuni aspetti che possono assumere particolare rilievo. Per vero rimarcare l'elevato numero di suicidi in ambito militare costituisce un dato statistico che appare però neutro rispetto alle esigenze di tutela del prestigio e del decoro che sono particolarmente importanti nei contesti militari. Non può escludersi in radice che le esternazioni del militare coinvolto nella vicenda, alla luce delle formule lessicali utilizzate, particolarmente forti e potenzialmente offensive nei riguardi degli alti ranghi militari, possano essere apprezzati quali comportamenti di rilievo disciplinare. In circostanze come quelle nella vicenda consegue che il comportamento del militare, pur in linea teorica riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero di conio costituzionale, non appare privo di possibili riflessi disciplinari - sia pure di gravità non tale da giustificare la sanzione irrogata - in ragione delle espressioni utilizzate in quanto potenzialmente idonee a minare indebitamente, in assenza di precisi riscontri, il clima di fiducia che deve accompagnare l'operato di una Istituzione militare nelle sue articolazioni gerarchiche.

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