Avvocati, la Cassazione non può mitigare o aggravare la sanzione disciplinare del Cnf
Per le sezioni Unite, sentenza n. 20650/2023, la determinazione dell'entità della sanzione disciplinare adeguata e proporzionata costituisce tipico apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità
La Corte di Cassazione non può mitigare o aggravare la sanzione disciplinare irrogata dal Consiglio Nazionale forense, giacché la determinazione dell'entità della sanzione disciplinare adeguata e proporzionata costituisce tipico apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici. Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 20650/2023, rigettando il ricorso di un legale contro la sentenza del Cnf che, confermando la sanzione irrogata dal Cdd romano, aveva inflitto al legale la sanzione della sospensione di 20 mesi per diverse condotte tra cui l'appropriazione indebita dei fondi di un cliente.
In particolare, con riguardo al caso specifico, la Suprema Corte afferma che anche l'abrogazione del delitto previsto dall'art. 486 c.p., per effetto del D lgs 15 gennaio 2016, n. 7, e la contestuale previsione di sanzione pecuniaria civile per l'ipotesi di abuso di foglio firmato in bianco pur avendo determinato il proscioglimento dell'imputato nel giudizio penale perché il fatto non è previsto come reato, "non negano al giudice disciplinare la possibilità di attribuire rilievo deontologico al medesimo fatto storico assurto ad elemento costitutivo della condotta, previa autonoma rivalutazione della vicenda".
Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono infatti impugnabili per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite "per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, ovvero per difetto del minimo costituzionale di motivazione, con la conseguenza che l'accertamento del fatto e l'apprezzamento della sua rilevanza ai fini della concreta individuazione della condotte costituenti illecito disciplinare e della valutazione dell'adeguatezza della sanzione irrogata non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza".
Del resto, nel caso specifico le censure non allegano l'omesso esame di fatti storici, sollecitando, piuttosto, un diverso esame, più favorevole al ricorrente, di fatti tutti comunque presi in considerazione. Il Cnf nel giustificare la sanzione della sospensione di venti mesi dall'esercizio della professione, ha così rimarcato che la stessa fosse correlata alla "violazione degli artt. 4, 9, 10, 11 e 30, commi 1 e 2, del vigente CDF, i cui precetti erano contenuti negli artt. 3, 5, 6, 7, 35 e 41 del previgente CDF".
Spetta infatti agli Organi disciplinari la potestà di applicare le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa", valutando il "comportamento complessivo dell'incolpato" ed irrogando un'unica sanzione anche quando siano contestati più addebiti nell'ambito del medesimo procedimento. Tale sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione.
Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari
Così ai fini della determinazione nell'ambito delle rispettive cornici edittali, sono state considerate "le plurime condotte deontologicamente rilevanti poste in essere unitamente alla condanna per calunnia ed il generale comportamento tenuto dall'incolpato".