Avvocati, la fattura deve essere contestuale alla riscossione (anche dell'anticipo)
Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense (pres. Masi, rel. Pizzuto), con la sentenza n. 84 del 1° giugno 2022
L'avvocato ha l'obbligo, sanzionato dagli artt. 16 e 29 codice deontologico (già art. 15 cod. prev.), di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi, restando irrilevante l'eventuale tardivo adempimento da parte del legale, non preso in considerazione dal codice deontologico. Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense (pres. Masi, rel. Pizzuto), con la sentenza n. 84 del 1° giugno 2022 (che richiama un precedente del 30 novembre 2021 n. 210).
Il caso parte dell'esposto di un cliente che dopo la sospensione della patente, per due anni, per guida in stato di ebbrezza, aveva dato mandato al legale di proporre opposizione alla sanzione davanti al giudice di pace per tentare di mitigarne il tenore. L'avvocato confermata l'esistenza dei presupposti per il ricorso aveva ricevuto il mandato e la somma di 500 euro a titolo di acconto, per la quale non emetteva alcuna fattura.
Non avendo ricevuto più notizie, dopo alcuni mesi, il cliente andava personalmente a informarsi in tribunale sull'iter del procedimento scoprendo che nessuna opposizione era stata depositata e che i termini ormai erano scaduti. A quel punto promuoveva un esposto contro il professionista.
All'esito della discussione il CDD riteneva integrate le violazioni contestate; irrogando la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per la durata di quattro mesi. Il CDD rilevava infatti che, le seguenti circostanze potevano ritenersi pacifiche: (i) il conferimento del mandato; (ii) la consegna al legale di un acconto di € 500,00; (iii) l'omessa emissione della fattura rispetto al suddetto acconto; (iv) l'omesso deposito del ricorso; (v) l'avvenuta consegna di copia del ricorso e la relativa rassicurazione sul deposito, corredata dall'indicazione del magistrato designato.
Contro questa ricostruzione l'avvocato ha proposto ricorso e il Cnf l'ha respinto, riducendo tuttavia la sanzione.
Per il Collegio l'Avvocato deve svolgere la propria attività "con lealtà e correttezza". Mentre nel caso di specie è stato acclarato il mancato adempimento dell'incarico. E la condotta dell'avvocato che, dopo avere accettato l'incarico difensivo, abbia omesso di dare esecuzione al mandato professionale e abbia fornito all'assistito, a seguito delle sue ripetute richieste, false indicazioni circa lo stato delle cause "integra un inadempimento deontologicamente rilevante al mandato (art. 26 Ncdf già art. 38 Cdf) e la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 Ncdf, già artt. 5 e 8 Cdf)".
Il comportamento tenuto, inoltre, prosegue la decisione, è stato grave poiché è stata fornita dall'incolpato all'assistito una "falsa informazione e la stessa è stata supportata dall'invio di un ricorso, redatto in apparente esecuzione del mandato, ma non depositato, nonché da rassicurazioni sulla pendenza della lite". Si deve infatti considerare che l'art. 27 cdf (già art. 40 codice previgente), nel disciplinare gli obblighi di informazione, "impone in ogni caso una corretta e veritiera informazione a prescindere dalla innocuità reale o virtuale delle comunicazioni non corrispondenti al vero".
Infine, anche con riguardo al terzo capo di incolpazione, e cioè la violazione delle norme in tema di obblighi fiscali (art. 16 e 29 c.3 NCDF), sussiste, come visto la prova dell'illecito.
Il Collegio ha tuttavia accolto la tesi secondo cui la sanzione sarebbe "sproporzionata". Correttamente, si legge, il CDD del Veneto ha individuato quale comportamento più grave quello tenuto in violazione del dovere di informazione (art. 27 comma 1 e comma 6), e ha ritenuto la sussistenza dell'ipotesi aggravata di cui all'art. 22 comma 2 lettera b. Tuttavia, nella individuazione della sanzione concretamente applicata occorre tenere conto "da un lato dalla sussistenza di più illeciti disciplinari e dall'altro, però, della assenza di precedenti, delle condizioni personali, anche di salute, dell'incolpato e della mancanza di danno, dato che il ricorso non aveva ragionevoli probabilità di essere accolto" (il cliente infatti era stato trovato in possesso anche di 0,30 gr cocaina, ndr). Pertanto, in parziale accoglimento del ricorso, la sanzione è stata rideterminata in due mesi di sospensione, "che appare adeguata alle violazioni contestate ed accertate".