Professione e Mercato

Avvocati, maxi tagli ai compensi (70%) per le cause ripetitive e con esito negativo

Lo ha ribadito la Corte di cassazione, ordinanza n. 19025 depositata oggi, per le liquidazioni operate dal giudice nella vigenza del Dm 55/2014

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

Nella vigenza del Dm 55/2014, sì alla riduzione del compenso del legale anche del 70% - dunque al di sotto dei valori minimi - per le cause prive di particolare complessità, ripetitive e il cui esito è negativo, con la società cliente che versa in difficoltà. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, ordinanza n. 19025 depositata oggi, richiamando la discrezionalità del giudice di merito.

La II Sezione civile ricorda che nel caso specifico non si applicava, per questioni di tempo, lo sbarramento contenuto nel Dm n. 55 del 2014, come modificato dal Dm n. 37 del 2018, che fa divieto al giudice, in assenza di diversa convenzione delle parti, di scendere al di sotto dei valori minimi in quanto inderogabili (n. 9815/2023).

Trovava invece applicazione il Dm n. 55 del 2014, nella formulazione antecedente, che consentiva al giudice di tener conto dei valori medi, previsti dalle tabelle allegate, e di poterli aumentare “di regola” fino all’80% (100% per la fase istruttoria) o diminuire fino al 50% (70% per la fase istruttoria). E che, anche alla stregua della relazione illustrativa, secondo cui la locuzione “di regola” era stata utilizzata per chiarire la non vincolatività dei parametri, è stato interpretato nel senso che il giudice può derogare ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi, rispetto ai valori medi, non essendo questi vincolanti per il giudice, che può discostarsene nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purché ne dia conto in motivazione (n. 10438/2023), onde consentire il controllo e le ragioni giustificatrici dello scostamento e della relativa misura (n. 14198/2022) e sempre nel rispetto del disposto dell’art. 2233, secondo comma, cod. civ., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (n. 30286/2017).

Come dunque più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nella vigenza delle previsioni di cui al Dm n. 55 del 2014, “l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente”, mentre la motivazione è doverosa “allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (n. 14198/2022), restando però in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione” (n. 28267/2018).

Così tornando al caso concreto, i giudici di merito hanno calcolato il compenso sullo scaglione minimo, che hanno ridotto del 70%, sul presupposto che tutte le opposizioni riguardassero “contestazioni del credito similari, proponibili anche unitariamente e non, come avvenuto, scaglionate; che l’esito fosse stato per tutte infausto; che nessuna delle cause presentasse questioni giuridiche o fattuali particolarmente complesse; e che la società debitrice si trovasse in una condizione complessa in quanto soggetta a custodia giudiziaria”.

“Orbene – conclude la decisione -, la riduzione del 70% delle spettanze, decisa dai giudici di merito, non dà luogo ad alcuna violazione di legge, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, avendo essi dato ampiamente conto delle ragioni dell’operata riduzione, evidenziando all’uopo la ridotta difficoltà delle cause, le similitudini tra esse, l’esito infausto e la condizione della società debitrice, ciò che comporta l’infondatezza della censura”.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©