Penale

Carcere duro: esclusa la videoconferenza per i colloqui con i familiari

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di Patrizia Maciocchi

Il tribunale di sorveglianza non può autorizzare i colloqui visivi con un congiunto attraverso la videoconferenza, per il detenuto sottoposto al carcere duro previsto dal 41-bis. Spetta, infatti al legislatore, in virtù delle nuove tecnologie prevedere o meno questa opportunità, dopo aver analizzato che non ci siano i rischi per la sicurezza interna. La Cassazione, con la sentenza 16557, accoglie il ricorso del ministero della Giustizia contro l'ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza aveva dato il via libera alla richiesta di un colloquio visivo con il fratello, anche lui carcerato, di un detenuto in regime di 41-bis. Per Via Arenula il sistema della videoconferenza è stato introdotto a fini processuali e non può essere usato per altri scopi, che introdurrebbero anche una nuova fonte di spesa, in violazione dell'articolo 81 della Costituzione. Il Tribunale dal canto suo aveva, invece affermato che non c'era aggravio di costi perché si trattava di un banale videocollegamento: una sorta di skype, realizzabile con mezzi artigianali che necessitava solo di un computer, un microfono e una connessione internet. Per il Tribunale di Sorveglianza, inoltre la decisione presa era in linea con l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul rispetto della vita privata e familiare e con un precedente (sentenza 7654/2015) nel quale la Cassazione affermava che il regime differenziato non esclude la possibilità di colloqui visivi con un altro familiare detenuto in modo da consentire la coltivazione dei legami affettivi. La Suprema corte sottolinea però che la praticabilità di tale soluzione avrebbe dovuto essere verificata anche in sede di merito. Si trattava di un'affermazione di principio, nella quale si evocava la videoconferenza ossia “forme di comunicazione controllabili a distanza e tali da impedire il compimento di comportamenti tra presenti, possibile fonte di pericolo per la sicurezza interna dell'istituto o per quella pubblica, in quanto correlati all'attività di organizzazioni criminose di stampo mafioso ancora attive ed operanti nelle aree geografiche di provenienza dei detenuti coinvolti”. Verifiche che, nel caso specifico, il magistrato di sorveglianza non aveva fatto. La Cassazione senza sconfessare i principi dettati, ritiene necessario un approfondimento della questione alla luce della normativa vigente. L'ordimento penitenziario attuale prevede che i colloqui siano svolti in luoghi attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti: previsione evidentemente riferita ai colloqui personali e non a distanza. Inoltre le norme penitenziarie regolamentano le visite e le telefonate in quanto a frequenza e a durata. Un ambito, quindi, regolato dalla legge che non contempla per i detenuti né in regime ordinario né speciale la videoconferenza. Il mezzo artigianale tipo skype, conclude la Corte, non si attaglia al regime carcerario e ancora meno al 41-bis. Con questo i giudici non negano l'interessa all'evoluzione tecnologica, auspicato dal Tribunale, ma precisano che deve essere una legge o un regolamento a disciplinare la materia, stabilendo gli strumenti da adottare guardando alle voci di spesa e soprattutto alla sicurezza: possibilità di registrare i colloqui, rischio di intercettazioni e potere della polizia penitenziaria di interrompere le conversazioni non consentite.

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