Censurabile in Cassazione l'errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 37382 depositata oggi, affermando un lungo principio di diritto
È censurabile in Cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c., l'errore di percezione del giudice sul contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 37382 depositata oggi, affermando un lungo principio di diritto e accogliendo, con rinvio, il ricorso di due architetti.
In particolare, prima il Tribunale e poi la Corte di appello avevano ritenuto che il progetto dei due professionisti, attuali ricorrenti, non contenesse alcuna previsione in merito alla "giusta quota" di imposta della piscina necessaria per contenere il deflusso delle acque con il risultato che parte di esse defluivano nella vasca, e li ritenne responsabili insieme alla ditta che aveva realizzato i lavori. Tuttavia, come chiarito anche dalla Ctu si trattò di un errore di percezione sul contenuto oggettivo delle prove documentali e anche dei risultati peritali.
Diversamente dall'errore revocatorio, prosegue la decisione, "l'errore percettivo, che cada sul contenuto oggettivo della prova (e non sul fatto), assume autonoma rilevanza, rendendo censurabile, in sede di legittimità, lo specifico caso dell'avvenuta utilizzazione, da parte dello stesso giudice, di prove che non esistono nel processo (ovvero che abbiano un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito), che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti (in ciò distinguendosi dall'errore revocatorio) e che tuttavia sostengano illegittimamente la decisione assunta (non già in base a una motivazione viziata, bensì) in violazione di un parametro di fonte legislativa".
Una diversa interpretazione, prosegue la decisione, finirebbe, difatti, "per consolidare un'inemendabile forma di patente illegittimità della decisione, in contrasto con il principio dell'effettività della tutela, qualora essa si fondi sulla ricognizione obbiettiva del contenuto della prova che conduca ad una conclusione irrefutabilmente contraddetta, in modo tanto inequivoco quanto decisivo, dalla prova travisata, sui cui le parti hanno avuto modo di discutere".
Se dunque, la valutazione del materiale probatorio è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità, "viceversa, alla stessa parte deve ritenersi consentita, in applicazione delle norme di cui all'art. 115 e 360 n. 4 c.p.c., la facoltà di denunciare la errata percezione (e la conseguente utilizzazione), da parte del giudice di merito, di prove inesistenti, ovvero di prove non solo riferite a fonti, che non sono mai state dedotte in giudizio dalle parti (un testimone mai addotto o escusso; un documento mai depositato agli atti), ma altresì a prove che, pur riferendosi a fatti/fonti appartenenti al processo (uno specifico documento ritualmente depositato, un testimone regolarmente escusso), si sostanziano nella elaborazione di contenuti informativi non riconducibili in alcun modo a dette fonti, neppure in via indiretta o mediata (ossia di informazioni probatorie delle quali risulti preclusa alcuna connessione logico-significativa con le fonti o i mezzi di prova cui il giudice ha viceversa inteso riferirle), sempre che tali contenuti informativi abbiano, specularmente interpretate, il carattere della decisività".
Dunque, il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c. - postula: a) che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima(demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l'errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocamente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza".
Per la Terza sezione va dunque superata l'interpretazione secondo la quale il travisamento della prova non sarebbe più deducibile in sede di ricorso per cassazione a seguito della novella apportata all'art. 360 c.p.c., n. 5 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012. Per la Corte non va dunque condivisa la tesi per cui non trova più spazio nel sistema vigente un residuo controllo di legittimità "non essendo più consentita la possibilità di censurare per cassazione l'insufficienza o contraddittorietà della motivazione se non quando il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata" (e cioè proprio "a prescindere dal confronto con le risultanze processuali"). Alla luce dei principi sopra esposti, il Collegio rileva come tale interpretazione "sovrapponga, confondendoli, il piano del fatto omesso con il piano della prova travisata, e cioè della obbiettiva (ed erronea) ricognizione del contenuto della prova (che è cosa altra rispetto alla storicità del fatto)".