Corte Ue: ricorribile il “no” dello Stato membro al nulla osta di sicurezza
di Francesco Machina Grifeo
Il caso (sentenza nella causa C-333/22) era quello di un cittadino belga a cui la polizia aveva negato il pass, chiesto a fini professionali, per aver partecipato ad alcune manifestazioni

Più trasparenza sul trattamento dei dati personali e ricorribilità delle decisioni prese, sulla base degli stessi, dalle Polizia (o comunque dall’autorità nazionale preposta alla sicurezza). Tali decisioni infatti devono considerarsi giuridicamente vincolanti e dunque i giudici devono poterne verificare la motivazione e gli elementi di prova. Lo ha stabilito la Corte, sentenza nella causa C-333/22 | Ligue des droits humains) giudicando il caso di un cittadino belga a cui l’autorità nazionale di sicurezza aveva negato il nulla osta di sicurezza, chiesto a fini professionali con la motivazione che egli aveva partecipato ad alcune manifestazioni.
Invocando il diritto di accesso ai propri dati, il cittadino si è rivolto all’Organo di controllo delle informazioni di polizia, il quale gli ha comunicato che egli disponeva soltanto di un accesso indiretto e che l’organo stesso avrebbe verificato la legittimità del trattamento dei suoi dati. Tuttavia, al termine della verifica, come consentito dalla legge belga, l’organo si è limitato a rispondergli di aver eseguito le verifiche necessarie. Il cittadino ha quindi proposto un ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice di primo grado, il quale si è dichiarato incompetente per materia.
La Corte d’appello di Bruxelles (Belgio), adita dall’interessato e dalla Ligue des droits humains (Lega dei diritti umani), ha allora chiesto alla Corte di giustizia se il diritto dell’Unione imponga agli Stati membri di prevedere che la persona interessata dal trattamento dei suoi dati possa impugnare la decisione dell’autorità di controllo qualora quest’ultima eserciti i diritti di detta persona con riguardo al trattamento di cui trattasi.
Per la Corte Ue, informando l’interessato dell’esito delle verifiche, l’autorità di controllo competente adotta una decisione giuridicamente vincolante che deve poter essere oggetto di ricorso. Solo in questo modo l’interessato può infatti contestare la valutazione compiuta dall’autorità di controllo sulla legittimità del trattamento di dati e sulla decisione di esercitare o meno i poteri correttivi.
La Corte rileva poi che il diritto dell’Unione impone all’autorità di controllo di informare l’interessato, «perlomeno, di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o un riesame» e del suo «diritto di proporre ricorso giurisdizionale». Inoltre, a meno che non vi siano ragioni di interesse pubblico, l’interessato ha diritto ad ricevere informazioni ulteriori rispetto a quelle “minime” in modo da poter difendere i propri diritti e decidere se adire o meno il giudice competente.
Infine, gli Stati membri devono comunque garantire che il giudice competente, al fine di verificare la fondatezza dei motivi che hanno giustificato una siffatta limitazione di tali informazioni, possa effettuare un bilanciamento tra gli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (sicurezza nazionale, prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati) e la necessità di garantire ai cittadini il rispetto dei loro diritti procedurali. Nell’ambito di tale controllo giurisdizionale, le norme nazionali devono consentire al giudice di prendere conoscenza della motivazione e degli elementi di prova all’origine della decisione dell’autorità di controllo, ma anche delle conclusioni che essa ne ha tratto.
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