Comunitario e Internazionale

Corte Ue, sì ai ricorsi di Clark e Puma contro dazi antidumping da Cina e Vietnam

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di Francesco Machina Grifeo

Doccia fredda della Corte Ue sui dazi doganali per i prodotti provenienti dalla cosiddette economie emergenti. Per i giudici di Lussemburgo (sentenza 4 febbraio 2016, Causa C-659/13 e C-34/14), infatti, il regolamento che istituisce un dazio antidumping sulle importazioni nell'Unione europea di alcuni tipi di calzature di cuoio originarie della Cina e del Vietnam è parzialmente invalido. Il Consiglio e la Commissione, infatti, non hanno rispettato le norme procedurali che avrebbero imposto di pronunciarsi anche sulle domande di trattamento individuale presentate da alcuni grandi marchi che, pur operando in economie prive dello status di economia di mercato, hanno rivendicato per sé il riconoscimento della prevalenza di condizioni concorrenziali. Una pronuncia che arriva due dopo le polemiche che hanno investito anche la Commissione europea sul numero di posti di lavoro a rischio in caso di riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina, - per Bruxelles sarebbero 190mila e non milioni come sostenuto da alcuni opeatori.

Il 5 ottobre 2006, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il regolamento n. 1472/2006 che istituisce un dazio antidumping del 16,5% per le calzature prodotte dalle società stabilite in Cina (per la Golden Step è stato invece fissato al 9,7%) e al 10% per quelle prodotte dalle società stabilite nel Vietnam. Così, la società britannica Clark e la tedesca Puma hanno chiesto rispettivamente 60 e 5 milioni di euro alle amministrazioni del Regno Unito e della Germania a titolo di rimborso del dazio antidumping versato per l'importazione di calzature e altri articoli nell'Ue

Con la sentenza di oggi la Corte ricorda che per accertare il dumping, l'Ue prevede la determinazione del valore normale di un prodotto sulla base dei prezzi che gli acquirenti indipendenti devono pagare nei paesi esportatori. E che tale criterio si applica anche ai prodotti provenienti da paesi non retti da un'economia di mercato e membri dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), come la Cina e il Vietnam, «qualora, previo esame delle domande debitamente documentate presentate da uno o più produttori stabiliti in tali paesi ed oggetto dell'inchiesta, sia dimostrata la prevalenza di condizioni di mercato per il produttore o per i produttori in questione». In tal modo anche questi produttori possono beneficiare di uno status corrispondente alla loro situazione individuale, piuttosto che a quella complessiva del paese in cui sono stabiliti.
Nel caso affrontato, però, il Consiglio e la Commissione non si sono pronunciati sulle relative domanda, cosa a cui sono tenuti invece anche quando nelle grandi inchieste sul dumping si ricorre alla tecnica del «campionamento», essendo troppo elevato il numero di operatori economici interessati per affrontarli insieme. Infatti, anche se la Commissione può decidere di limitare l'inchiesta ad un numero ragionevole di parti, con l'utilizzazione di campioni di produttori-esportatori statisticamente rappresentativi, deve però rispondere alle singole domande.

La Corte ricorda altresì che il Consiglio e la Commissione sono tenuti a precisare in un regolamento che istituisce dazi antidumping, l'importo imposto a ogni produttore-esportatore interessato, a meno che un siffatto trattamento individuale non sia irrealizzabile.
E se per i paesi non retti da un'economia di mercato, un tale regolamento si limita a precisare l'importo del dazio imposto a livello del paese fornitore interessato, le istituzioni devono comunque calcolare un dazio individuale per i produttori-esportatori che dimostrino, in base a richieste debitamente motivate, di soddisfare i criteri della concorrenza.

Cgue – Sentenza 4 febbraio 2016 C-659/13 e C-34/14

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